44.

Lì, sulla panchina, rimasero ancora un bel po’, mentre il parco si spegneva. Era qualche giorno che Jasper Gwyn si rigirava nella mente una certa idea e adesso si chiedeva se Rebecca aveva voglia di sentirla.

– Certo, lei disse.

Jasper Gwyn ebbe una breve esitazione, poi disse quello che aveva in testa.

– Mi servirà un aiuto, per metter su questo mio nuovo lavoro. E ho pensato che nessuno meglio di lei potrebbe darmelo.

– Sarebbe?

Jasper Gwyn le spiegò che c’erano un sacco di cose pratiche da mettere a punto e che non immaginava proprio di andarsi a cercare i clienti, o selezionarli, o qualcosa del genere. Per non parlare del compenso, e dei modi per definirlo e riscuoterlo. Disse che aveva assolutamente bisogno di qualcuno che facesse tutto questo per lui.

– Lo so che la soluzione più logica sarebbe Tom, ma adesso mi è difficile parlare con lui di questa storia, non credo che la vorrebbe capire. Mi serve qualcuno che ci creda, che sappia che è tutto reale, e sensato.

Rebecca lo stava ad ascoltare, sorpresa.

– Vorrebbe che io lavorassi per lei?

– Sì.

– Per questa storia dei ritratti?

– Sì. Lei è l’unica persona al mondo che sa davvero cosa sono.

Rebecca scosse la testa. Decisamente a quell’uomo piaceva complicarle la vita. O risolvergliela, chissà.

– Un attimo, disse. Un attimo. Non così in fretta.

Si alzò, lasciò il libro della Rode a Jasper Gwyn e se ne andò verso un chiosco che vendeva gelati, più in là nel viale. Prese un cono a due gusti, e la cosa non fu semplicissima perché non trovava più il portafogli. Tornò alla panchina e si risedette vicino a Jasper Gwyn. Gli avvicinò il cono.

– Vuole assaggiare?, chiese.

Jasper Gwyn fece un cenno per dire che no, non voleva, e da lontano gli tornarono in mente le caramelle della signora con il foulard impermeabile.

– Prima le devo spiegare una cosa, disse Rebecca. Sono uscita da casa per spiegargliela, e adesso gliela spiego. Se vuole continuare a fare ritratti, le servirà.

Stette un po’ a leccare il gelato.

– In quello studio è tutto illogicamente facile, o almeno lo è stato per me. Sul serio, stai lì e non c’è niente che dopo un attimo non diventi, in qualche modo, naturale. E tutto facile.

Tranne la fine. Questa è la cosa che volevo dirle. Se vuole il mio parere, la fine è orrenda. Mi sono anche chiesta perché, e adesso penso di saperlo.

Stava attenta a non far colare il gelato, ogni tanto gli gettava un’occhiata.

– Le sembrerà scemo ma alla fine io mi sarei aspettata che lei almeno mi abbracciasse.

Lo disse così, semplice semplice.

– Forse mi sarebbe piaciuto fare l’amore con lei, lì, nel buio, ma di sicuro almeno mi sarei aspettata di poter finire fra le sue braccia, in qualche modo, di toccarla, ecco, di toccarla.

Jasper Gwyn fece per dire qualcosa, ma lei lo fermò con un cenno della mano.

– Guardi, non si faccia idee sbagliate, io non sono innamorata di lei, non credo, è un’altra cosa, e riguarda solo quel particolare momento, quel buio e quel momento. Non so se riesco a spiegarmi, ma tutti quei giorni in cui praticamente sei il tuo corpo e poco altro… tutti quei giorni mettono addosso una specie di attesa che qualcosa di fisico debba accadere, alla fine. Qualcosa che ti ricompensi. Una distanza colmata, mi verrebbe da dire. Lei la colma scrivendo, ma io?, noi?, tutti quelli che si faranno ritrarre? Li rimanderà a casa come ha rimandato me, nella stessa lontananza del primo giorno? Be’, non è una buona idea.

Diede un’occhiata al gelato.

– Magari mi sbaglio, ma la stessa cosa che ho sentito io la sentiranno tutti.

Diede un’aggiustatina alla crema.

– Un giorno scriverà un ritratto per un uomo anziano, e non farà nessuna differenza, alla fine quell’uomo cercherà un modo per toccarla, contro ogni logica e desiderio, ma sentirà il bisogno di toccarla. Si avvicinerà e le passerà una mano tra i capelli, o le stringerà forte un braccio, anche solo quello, ma avrà bisogno di farlo.

Alzò gli occhi su Jasper Gwyn.

– Be’, glielo lasci fare. In qualche modo glielo deve.

Era arrivata al punto in cui uno può iniziare a sgranocchiare il cono.

– E la parte più buona, annotò.

Jasper Gwyn la lasciò finire poi le chiese se avrebbe lavorato per lui. Ma con il tono con cui avrebbe potuto dire che era incantato da lei.

Rebecca pensò che quell’uomo la amava, solo che non lo sapeva, e non lo avrebbe mai saputo.

– Certo che lavorerò per lei, disse. Se promette di tenere le mani a posto. Scherzo. Me la restituisce là Rode, o vuole tenersela per leggerla?

Jasper Gwyn sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi semplicemente le restituì il libro.

Tre settimane più tardi, su alcune riviste scelte accuratamente da Rebecca, uscì un annuncio che dopo lunghissimi tentativi e discussioni Jasper Gwyn aveva deciso di risolvere in tre, limpide parole.

Scrittore esegue ritratti.

Come riferimento si dava nient’altro che una casella postale.

Non può funzionare, avrebbe detto la signora col foulard impermeabile.

Invece il mondo è strano, e l’annuncio funzionò.

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