Recentemente è uscito un altro libro di Klarisa Rode, incompiuto. Pare che la morte l’avesse sorpresa quando ancora doveva scriverne, secondo i piani contenuti nei suoi appunti, una buona metà. E un testo curioso perché, contro ogni logica, la parte mancante è l’inizio. Ci sono due capitoli su quattro, ma quelli finali. Dunque per il lettore si tratta di un’esperienza che si avrebbe ragione di definire singolare, e che tuttavia sarebbe scorretto giudicare assurda. Non diversamente si conoscono i propri genitori, d’altronde, e talvolta perfino se stessi.
Il protagonista del libro è un meteorologo dilettante convinto di poter prevedere il tempo in base a un metodo tutto suo, statistico. Si intuisce che nella prima parte del libro, quella inesistente, si sarebbe dato conto delle origini di questa sua fissazione, ma esse non sembrano poi così importanti quando si attacca la parte che la Rode effettivamente scrisse, e in cui si ricostruiscono le ricerche, durate anni, compiute dal protagonista: l’obiettivo che si era prefissato era stabilire il tempo che aveva fatto, ogni giorno, in Danimarca, negli ultimi sessantaquattro anni. Per raggiungerlo aveva dovuto mettere insieme una mole di dati impressionante. Con cocciutaggine e pazienza, nondimeno, ne era venuto a capo. Nella parte finale del libro si riferisce che, in base alle statistiche raccolte, il meteorologo dilettante era in grado di stabilire, ad esempio, che il 3 marzo, in Danimarca, le probabilità di sole erano del 6 per cento. Quelle di pioggia il 26 luglio, praticamente nulle.
Per raccogliere i dati che gli servivano, il meteorologo dilettante usava un metodo che è poi una delle ragioni del fascino del libro: chiedeva alla gente. Era giunto alla conclusione che in media ogni umano ricorda distintamente il tempo di almeno otto giorni della sua vita. Lui andava in giro e chiedeva. Poiché ciascuno collegava il ricordo del tempo atmosferico a un momento particolare della sua vita (il matrimonio, la morte del padre, il primo giorno di guerra), Klarisa Rode finisce per costruire un’impressionante galleria di personaggi, magistralmente disegnati in pochi tratti, ma salienti. Un affascinante mosaico di vita reale e perduta, come l’ha definito un autorevole critico americano.
Il libro finisce in un paesino sperduto, dove il meteorologo dilettante si è ritirato, soddisfatto dei risultati ottenuti e solo parzialmente deluso dalla scarsa eco che la loro pubblicazione aveva registrato presso la comunità scientifica. A qualche pagina dalla fine muore, in una giornata di vento freddo, dopo una notte di stelle.