Ogni tanto gli arrivavano contratti da firmare, si riferivano ai libri che aveva già scritto. Rinnovi, nuove traduzioni, adattamenti per il teatro. Li lasciava sul tavolo, e alla fine gli apparve chiaro che non li avrebbe firmati mai. Con un certo turbamento scoprì che non solo non voleva più scrivere libri ma, in qualche modo, non voleva neanche averli scritti. Cioè, gli era piaciuto farli, ma non desiderava affatto che sopravvivessero alla sua decisione di smettere, e anzi lo infastidiva che quelli andassero, con una forza propria, dove lui si era ripromesso di non metter piede mai più. Iniziò a buttare i contratti senza nemmeno aprirli. Ogni tanto Tom gli girava lettere di ammiratori che educatamente lo ringraziavano per quella pagina, o quella particolare storia. Perfino questo lo innervosiva, e non mancava mai di registrare come nessuno di loro facesse accenno al suo silenzio – non sembravano esserne informati. Un paio di volte si prese la briga di rispondere. Ringraziava, a sua volta, con parole semplici. Poi annotava che aveva smesso di scrivere, e salutava.
Notò che a quelle lettere nessuno rispose.
Sempre più spesso, tuttavia, gli ritornava quel bisogno di scrivere, e la mancanza di una quotidiana cura con cui mettere in ordine pensieri nella forma rettilinea di una frase. In maniera istintiva, allora, finì per compensare quella mancanza con una sua privata liturgia, che non gli sembrò priva di una qualche bellezza: prese a scrivere mentalmente, mentre camminava, o sdraiato nel letto, la luce spenta, aspettando il sonno. Sceglieva parole, costruiva frasi. Poteva succedergli di proseguire per giorni dietro a un’idea, arrivando a scriversi in testa intere pagine, che poi gli piaceva ripetere, talvolta a voce alta. Avrebbe potuto, allo stesso modo, farsi scrocchiare le dita, o ripetere degli esercizi ginnici, sempre gli stessi. Era una cosa fisica. Gli piaceva.
Una volta gli accadde di scrivere, in quel modo, un’intera partita a poker. Uno dei giocatori era un bambino.
In particolare gli piaceva scrivere mentre aspettava in lavanderia, in mezzo ai cestelli che giravano, al ritmo di riviste sfogliate distrattamente su gambe accavallate di donne che non sembravano coltivare alcuna illusione che non riguardasse la sottigliezza delle loro caviglie. Un giorno stava scrivendo mentalmente un dialogo tra due amanti in cui l’uomo spiegava che fin da bambino aveva la curiosa facoltà di sognare le persone solo quando ci dormiva insieme, proprio mentre ci dormiva insieme.
– Vuoi dire che sogni soltanto quelli che sono nel tuo letto?, chiedeva la donna.
– Sì.
– Che stronzata è?
– Non lo so.
– E se uno non è nel tuo letto tu non lo sogni.
– Mai.
A quel punto si era avvicinata una ragazza grassa, piuttosto elegante, lì nella lavanderia, e gli aveva porto un cellulare.
– E per lei, aveva detto.
Jasper Gwyn aveva preso il cellulare.