64.

Tre volte all’alba Rebecca lo trovò in un’enorme libreria di Charing Cross, e per la prima volta pensò che quegli odiosi supermercati del libro forse avevano un senso. Non resistette alla tentazione, e si mise a sfogliarlo lì, seduta per terra, in un angolo tranquillo dove c’erano testi di puericultura.

L’editore aveva in effetti un nome di quelli là. La vigna e l’aratro. Orrendo, pensò. Sul risvolto di copertina c’era la nota biografica di Akash Narayan. Diceva che era nato a Birmingham e che lì era morto a novantadue anni, dopo aver speso la sua vita a insegnare musica. Non specificava quale. Poi diceva che Tre volte all’alba era il suo unico libro, e che era stato pubblicato postumo. Nient’altro. Neanche l’ombra di una fotografia.

Anche la quarta di copertina non diceva un granché. Svelava che la storia si svolgeva in una non precisata città inglese, e che era tutta raccolta in un paio d’ore. Ma in due ore molto paradossali, aggiungeva, in tono volutamente enigmatico.

Dando un’occhiata al frontespizio scoprì che il libro era stato scritto in lingua hindi, e solo in un secondo momento tradotto in inglese. Il nome del traduttore non le disse niente: Ma invece lesse con molta soddisfazione la dedica, curiosa, che compariva in testa al primo capitolo.


A Caterina de’ Medici e al maestro di Camden Town.


– Ben ritrovato, Mr Gwyn, disse a bassa voce.

Poi corse a casa, perché aveva un libretto da leggere.

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