28.

Gli venne in mente di portarsi un taccuino. Lo scelse non troppo piccolo, i fogli color crema. Con una matita, allora, ogni tanto scriveva parole, poi strappava il foglietto e lo attaccava con una puntina al pavimento di legno, scegliendo ogni volta un posto diverso, come uno che disponesse trappole per topi.

Scrisse così una frase, a un certo punto, e poi vagò un po’ per la stanza fino a scegliere un punto, per terra, non lontano da dove Rebecca stava in quel momento, in piedi, appoggiata a una parete. Si chinò e lo attaccò con la puntina al legno. Poi alzò lo sguardo su Rebecca. Non le era mai stato così vicino, da quando avevano iniziato. Rebecca lo stava fissando negli occhi. Lo faceva in modo mansueto, senza intenzioni. Rimasero a fissarsi così. Respiravano lenti, nel fiume di suoni di David Barber. Poi Jasper Gwyn abbassò lo sguardo.

Prima di andarsene, Rebecca attraversò la stanza e andò proprio dove Jasper Gwyn si era rincantucciato, seduto per terra, in un angolo. Gli si sedette accanto, lasciando le gambe allungate e nascondendo le mani tra le cosce, i dorsi che si toccavano. Non si voltò a guardarlo, solo rimase lì, la testa appoggiata alla parete. Jasper Gwyn sentì allora la vicinanza tiepida, e il profumo. Lo fece fino a quando Rebecca si alzò, si rivestì, e se ne andò.

Rimasto solo, Jasper Gwyn appuntò qualcosa sui suoi foglietti e andò ad attaccarli per terra, in punti che cercò con minuziosa attenzione.

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