41.

La sera Jasper Gwyn rilesse i sette fogli quadrati che, su due colonne, contenevano il testo del ritratto. L’idea era quella di avvolgerli poi nella carta velina e riporli nella cartellina con gli elastici. A quel punto il lavoro era finito.

– Come le sembra?

– Proprio niente male, rispose la signora con il foulard impermeabile.

– Sia sincera.

– Lo sono. Voleva fare un ritratto e c’è riuscito. Francamente non ci avrei scommesso un penny.

– No?

– No. Scrivere un ritratto, che idea è? Ma adesso ho letto i suoi sette fogli e so che è un’idea che esiste. Lei ha trovato il modo di farla diventare un oggetto reale. E devo ammettere che ha trovato un sistema semplice e geniale. Chapeau.

– E merito anche suo.

– Dice?

– Molto tempo fa, forse non se lo ricorda, lei mi disse che se proprio dovevo fare il copista cercassi almeno di copiare la gente, e non dei numeri, o dei referti medici.

– Certo che me lo ricordo. E l’unica volta che ci siamo incontrati in vita mia.

– Disse che mi sarebbe riuscito benissimo. Copiare la gente, dico. Lo disse con una sicurezza priva di ombre, come se non fosse neanche il caso di discuterne.

– Quindi?

– Non credo che mi sarebbe mai venuta in mente questa idea dei ritratti se lei non mi avesse detto quella frase. In quel modo. Sono sincero: non sarei qui, senza di lei.

La signora allora si voltò verso di lui ed aveva la faccia di quando certe vecchie maestre sentono suonare alla porta ed è quel vigliacco del secondo banco che le viene a ringraziare, il giorno che si è laureato. Fece un gesto come una carezza, guardando da un’altra parte, però.

– Lei è un bravo ragazzo, disse.

Rimasero un po’ zitti. La signora con il foulard impermeabile tirò fuori un grande fazzoletto e si soffiò il naso. Poi posò una mano sul braccio di Jasper Gwyn.

– C’è una cosa che non le ho mai raccontato, disse. La vuole sentire?

– Certo.

– Quel giorno, quando lei mi accompagnò a casa… Continuavo a pensare alla storia che lei non voleva più scrivere libri, non riuscivo a farmi passare dalla mente che era un dannato peccato. Non ero nemmeno sicura di averle chiesto perché, o comunque non mi ricordavo che lei mi avesse spiegato veramente come mai non voleva più saperne. Insomma, mi era rimasto qualcosa di traverso, ha presente?

– Sì.

– E durata qualche giorno. Poi una mattina vado dal solito indiano sotto casa, e vedo la copertina di una rivista. C’era tutta una pila di quella rivista, appena arrivata, l’avevano appoggiata sotto le patatine al formaggio. In quel numero avevano intervistato uno scrittore, così sulla copertina c’era il suo nome e una frase, il suo nome bello grande e la sua frase tra virgolette. E la frase diceva: “In amore mentiamo tutti”. Giuro. E guardi che era un grande scrittore, potrei sbagliarmi ma credo che sia addirittura un Nobel. Nel resto della copertina c’era un’attrice non tanto svestita, che prometteva di raccontare tutta la verità. Non ricordo su che stupida faccenda.

Tacque per un po’, come se cercasse di ricordarselo. Ma poi disse un’altra cosa.

– Non significa niente, lo so, ma spostavi la mano di dieci centimetri e potevi prendere delle patatine al formaggio.

Esitò un attimo.

– In amore mentiamo tutti, mormorò scuotendo la testa. Poi la frase dopo la urlò.

– Ben fatto, Mr Gwyn!

Disse che si mise a urlarlo proprio lì dall’indiano, con la gente che si voltava. L’aveva ripetuto tre o quattro volte. Ben fatto, Mr Gwyn! L’avevano presa per matta.

– Ma è una cosa che mi capitava sovente, disse. Essere presa per matta, chiarì.

Allora Jasper Gwyn disse che non c’era nessuno come lei, e chiese se le andava di festeggiare insieme, quella sera.

– Prego?

– Che ne dice di venire a cena con me?

– Non dica sciocchezze, io sono morta, i ristoranti mi odiano.

– Almeno un bicchiere.

– Che razza di idea.

– Lo faccia per me.

– Adesso è proprio ora che vada.

Lo disse con voce dolce, ma ferma. Si alzò, prese la borsa e l’ombrello, che era sempre marcio, e andò verso la porta. Trascinava un po’ i piedi, in quel suo modo che si poteva riconoscere da lontano. Quando si fermò era perché aveva ancora una cosa da dire.

– Non faccia il maleducato, porti quei sette fogli a Rebecca, e glieli faccia leggere.

– Lei crede che sia necessario?

– Certo.

– Cosa dirà?

– Sono io, dirà.

Jasper Gwyn si chiese se l’avrebbe mai più rivista, e decise che sì, da qualche parte, ma fra molti anni, in un’altra solitudine.

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