Anche il giorno dopo Jasper Gwyn non arrivò. Rebecca sentì le ore passare con una lentezza esasperante. Era sicura di vederlo comparire, ma non accadde, e quando si rivestì, alle otto precise, lo fece con rabbia. Per strada, camminando nella sera, pensò che era scema, e che quello era soltanto un lavoro, cosa gliene importava a lei – ma anche cercava di ricordare se aveva letto qualcosa di strano, in lui, l’ultima volta che si erano visti. Lo ricordava chino sui suoi foglietti, null’altro.
Il giorno dopo arrivò in ritardo, apposta: giusto qualche minuto, ma per Jasper Gwyn, lei lo sapeva, era un’enormità. Entrò, e lo studio era deserto. Rebecca si spogliò ma poi non trovò da nessuna parte il cinismo, o la semplicità, per non pensare a nulla – passò il tempo a misurare l’ansia che cresceva. Non riusciva a fare quello che doveva fare – essere se stessa, semplicemente – benché ricordasse benissimo come le era sembrato facile, il primo giorno, quando lui non si era presentato. Evidentemente qualcosa doveva essere successo – come una peregrinazione. Adesso non le riusciva di tornare indietro da nessuna parte, e nessun cammino pareva possibile, d’altronde, senza di lui.
Sei scema, pensò.
Sarà ammalato. Starà lavorando a casa. Forse ha già finito. Forse è morto.
Ma sapeva che non era vero, perché Jasper Gwyn era un uomo esatto, anche nell’errore.
Si sdraiò sul letto, per la prima volta le parve di avere un inizio di paura, a starsene lì da sola. Cercò di ricordare se aveva chiuso a chiave. Si chiese se era sicura che fossero passati davvero tre giorni da quando l’aveva visto l’ultima volta. Ripercorse con la memoria quei tre pomeriggi pieni di niente. Le parve ancora peggio. Rilassati, pensò. Arriverà, si disse. Chiuse gli occhi. Iniziò ad accarezzarsi, prima lentamente, il corpo, poi in mezzo alle gambe. Non pensava a niente di particolare, e questo le fece bene. Si girò leggermente su un fianco, perché era così che le piaceva farlo. Riaprì gli occhi, davanti a sé aveva la porta d’ingresso. Si aprirà e non smetterò, pensò. Lui non esiste, esisto io, ed è questo che adesso mi va di fare, caro Jasper Gwyn. Mi va di accarezzarmi. Entra solo da quella porta, e poi vediamo cosa ti verrà da scrivere. Continuerò a farlo, fino alla fine, non mi importa se guardi. Richiuse gli occhi.
Alle otto si alzò, si rivestì, e tornò a casa. Pensò che mancava una decina di giorni, forse qualcuno di più. Non le riusciva di capire se era poco o tanto. Era un’eternità minuscola.