42.

Stava in una nuova laundry che dei pakistani avevano aperto dietro casa sua, quando gli si avvicinò un ragazzo in giacca e cravatta, non avrà avuto più di vent’anni.

– Lei è Jasper Gwyn?

– No.

– Sì che lo è, disse il ragazzo, e gli porse un cellulare. E per lei, disse.

Jasper Gwyn lo prese, rassegnato. Ma anche un po’ contento.

– Ehi, Tom.

– Sai quanti giorni è che non ti telefono, fratellone?

– Dimmelo tu.

– Quarantuno.

– Un record.

– Puoi dirlo. Com’è la lavanderia?

– Appena aperta, sai com’è.

– No, non lo so, a me le cose le lava Lottie.

Avevano una scommessa aperta, e così dopo aver sparato un po’ di boiate ci arrivarono. Era quella questione del ritratto.

– Rebecca non scuce niente, quindi ti tocca raccontare, Jasper. Voglio anche i dettagli.

– Qui in lavanderia?

– Perché no?

In effetti non c’era nessuna ragione per non parlarne lì. A parte forse quel ragazzo in giacca e cravatta che rimaneva impettito tra i piedi. Jasper Gwyn gli diede un’occhiata e quello capì. Uscì dalla lavanderia.

– L’ho fatto. E venuto bene.

– Il ritratto?

– Sì.

– E venuto bene in che senso?

Jasper Gwyn non era sicuro di riuscire a spiegarsi. Gli venne da alzarsi, forse camminando avanti e indietro ci sarebbe riuscito.

– Non sapevo esattamente cosa potesse voler dire scrivere un ritratto e adesso lo so. C’è un modo di farlo che ha un senso. Poi magari ti può venire meglio o peggio, ma è una cosa che esiste. Non sta solo nella mia testa.

– Che diavolo di trucco ti sei inventato, si può sapere?

– Niente, una cosa molto semplice. Ma in effetti non ti viene in mente fino a quando non ti viene in mente.

– Chiarissimo.

– Dai, poi un giorno te lo spiego meglio.

– Be’, dimmi almeno qualcosa.

– Cosa vuoi sapere?

– Quando restituiamo a John Septimus Hill il suo bello studio e firmiamo qualche bel contratto.

– Mai, credo.

Tom stette per un po’ zitto, e questo non era un bel segno.

– Ho trovato quello che cercavo, Tom, è una bella notizia.

– Non per il tuo agente!

– Io non scriverò mai più libri, Tom, e tu non sei il mio agente, sei un mio amico, e mi sa anche che sei runico, attualmente.

– Devo scoppiare a piangere?

Si sentiva che era scocciato, ma non lo disse con cattiveria, era solo imbarazzo o una cosa del genere. Devo scoppiare a piangere?

– Dai, Tom…

Tom stava pensando che questa volta non la raddrizzava più.

– E adesso?, chiese.

– Adesso cosa?

– Cosa succede adesso, Jasper?

Ci fu un lungo silenzio. Poi Jasper Gwyn disse qualcosa che però Tom non capì bene.

– Parla nel telefono, Jasper!

– non lo so con precisione.

– Ah, ecco.

– Non lo so con precisione.

Ma era vero fino a un certo punto. Qualche idea ce l’aveva, e anche abbastanza dettagliata. Mancava magari qualche passaggio, ma un’ipotesi su come procedere l’aveva ben stampata in mente.

– Immagino che inizierò a fare ritratti, semplificò.

– Non ci posso credere.

– Troverò dei clienti e gli farò dei ritratti.

Tom Bruce Shepperd appoggiò la cornetta sul tavolo e partì in retromarcia sulla sua sedia a rotelle. Uscì dal suo ufficio, infilò con abilità sorprendente il corridoio e lo risalì fino a quando non si trovò davanti alla porta, aperta, della stanza dove lavorava Rebecca. Quel che aveva da dire lo gridò senza tanti complimenti.

– Si può sapere cosa cazzo c’ha in testa quell’uomo e dove vuole arrivare e soprattutto perché, perché si deve inventare tutte quelle stronzate pur di non fare quel che…

Si accorse che Rebecca non c’era.

– Ma vaffanculo.

Girò su se stesso e tornò in ufficio. Riprese la cornetta in mano.

– Jasper?

– Sono qua.

Tom cercò una voce tranquilla e la trovò.

– Io non ti mollo, disse.

– Lo so.

– C’è qualcosa che posso fare per te?

– Sicuro, ma adesso non mi viene in mente.

– Pensaci con calma.

– D’accordo.

– Sai dove trovarmi.

– Anche tu.

– In lavanderia.

– Tipo.

Stettero un attimo in silenzio.

– Jasper, secondo te quelli che fanno ritratti hanno un agente?

– Non ne ho la più pallida idea.

– Mi informo.

Ma poi, per giorni e settimane, non tornarono a parlarne perché sapevano che quella storia dei ritratti li allontanava, e così finivano per girarci intorno senza mai avvicinarsi al cuore della faccenda, nel timore che a farlo sarebbe stato inevitabile allontanarsi ancora di più, prestando il fianco a un dolore che non volevano in sorte.

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