Stava in una nuova laundry che dei pakistani avevano aperto dietro casa sua, quando gli si avvicinò un ragazzo in giacca e cravatta, non avrà avuto più di vent’anni.
– Lei è Jasper Gwyn?
– No.
– Sì che lo è, disse il ragazzo, e gli porse un cellulare. E per lei, disse.
Jasper Gwyn lo prese, rassegnato. Ma anche un po’ contento.
– Ehi, Tom.
– Sai quanti giorni è che non ti telefono, fratellone?
– Dimmelo tu.
– Quarantuno.
– Un record.
– Puoi dirlo. Com’è la lavanderia?
– Appena aperta, sai com’è.
– No, non lo so, a me le cose le lava Lottie.
Avevano una scommessa aperta, e così dopo aver sparato un po’ di boiate ci arrivarono. Era quella questione del ritratto.
– Rebecca non scuce niente, quindi ti tocca raccontare, Jasper. Voglio anche i dettagli.
– Qui in lavanderia?
– Perché no?
In effetti non c’era nessuna ragione per non parlarne lì. A parte forse quel ragazzo in giacca e cravatta che rimaneva impettito tra i piedi. Jasper Gwyn gli diede un’occhiata e quello capì. Uscì dalla lavanderia.
– L’ho fatto. E venuto bene.
– Il ritratto?
– Sì.
– E venuto bene in che senso?
Jasper Gwyn non era sicuro di riuscire a spiegarsi. Gli venne da alzarsi, forse camminando avanti e indietro ci sarebbe riuscito.
– Non sapevo esattamente cosa potesse voler dire scrivere un ritratto e adesso lo so. C’è un modo di farlo che ha un senso. Poi magari ti può venire meglio o peggio, ma è una cosa che esiste. Non sta solo nella mia testa.
– Che diavolo di trucco ti sei inventato, si può sapere?
– Niente, una cosa molto semplice. Ma in effetti non ti viene in mente fino a quando non ti viene in mente.
– Chiarissimo.
– Dai, poi un giorno te lo spiego meglio.
– Be’, dimmi almeno qualcosa.
– Cosa vuoi sapere?
– Quando restituiamo a John Septimus Hill il suo bello studio e firmiamo qualche bel contratto.
– Mai, credo.
Tom stette per un po’ zitto, e questo non era un bel segno.
– Ho trovato quello che cercavo, Tom, è una bella notizia.
– Non per il tuo agente!
– Io non scriverò mai più libri, Tom, e tu non sei il mio agente, sei un mio amico, e mi sa anche che sei runico, attualmente.
– Devo scoppiare a piangere?
Si sentiva che era scocciato, ma non lo disse con cattiveria, era solo imbarazzo o una cosa del genere. Devo scoppiare a piangere?
– Dai, Tom…
Tom stava pensando che questa volta non la raddrizzava più.
– E adesso?, chiese.
– Adesso cosa?
– Cosa succede adesso, Jasper?
Ci fu un lungo silenzio. Poi Jasper Gwyn disse qualcosa che però Tom non capì bene.
– Parla nel telefono, Jasper!
– non lo so con precisione.
– Ah, ecco.
– Non lo so con precisione.
Ma era vero fino a un certo punto. Qualche idea ce l’aveva, e anche abbastanza dettagliata. Mancava magari qualche passaggio, ma un’ipotesi su come procedere l’aveva ben stampata in mente.
– Immagino che inizierò a fare ritratti, semplificò.
– Non ci posso credere.
– Troverò dei clienti e gli farò dei ritratti.
Tom Bruce Shepperd appoggiò la cornetta sul tavolo e partì in retromarcia sulla sua sedia a rotelle. Uscì dal suo ufficio, infilò con abilità sorprendente il corridoio e lo risalì fino a quando non si trovò davanti alla porta, aperta, della stanza dove lavorava Rebecca. Quel che aveva da dire lo gridò senza tanti complimenti.
– Si può sapere cosa cazzo c’ha in testa quell’uomo e dove vuole arrivare e soprattutto perché, perché si deve inventare tutte quelle stronzate pur di non fare quel che…
Si accorse che Rebecca non c’era.
– Ma vaffanculo.
Girò su se stesso e tornò in ufficio. Riprese la cornetta in mano.
– Jasper?
– Sono qua.
Tom cercò una voce tranquilla e la trovò.
– Io non ti mollo, disse.
– Lo so.
– C’è qualcosa che posso fare per te?
– Sicuro, ma adesso non mi viene in mente.
– Pensaci con calma.
– D’accordo.
– Sai dove trovarmi.
– Anche tu.
– In lavanderia.
– Tipo.
Stettero un attimo in silenzio.
– Jasper, secondo te quelli che fanno ritratti hanno un agente?
– Non ne ho la più pallida idea.
– Mi informo.
Ma poi, per giorni e settimane, non tornarono a parlarne perché sapevano che quella storia dei ritratti li allontanava, e così finivano per girarci intorno senza mai avvicinarsi al cuore della faccenda, nel timore che a farlo sarebbe stato inevitabile allontanarsi ancora di più, prestando il fianco a un dolore che non volevano in sorte.