Nel vedere la casa di Ramsey, Petra frugò nei ricordi del suo corso di storia dell’architettura cercando l’etichetta giusta. Spagnoleggiante pseudopalladiano? Eclettico mediterraneo postmoderno? Neocoloniale d’avanguardia?
Una montagna di stucco.
La costruzione era appollaiata su una vetta così scoscesa da torcersi il collo per vederne la cima. Rosa, come aveva promesso il guardiano, di una sfumatura un po’ più scura di quella delle colonne, anch’essa dietro colonne e cancello, una gabbia dentro una gabbia. La pavimentazione del viale che saliva alla casa era disegnata in modo da sembrare di adobe, fiancheggiata da palme messicane. Davanti all’ingresso era parcheggiata una Lexus nera e scintillante.
Superato il cancello, si aprì ai loro occhi mezz’ettaro di pendenza erbosa. La casa era di due piani e mezzo, quest’ultimo rappresentato da un campanile costruito sopra i battenti in quercia della porta d’ingresso. La campana in dimensioni naturali sembrava una replica di quella di Filadelfia. Due ali dell’edificio si aprivano su linee oblique rispetto alla facciata, come quelle di un tacchino troppo cotto. Innumerevoli finestre dalle forme più strane, alcune con vetri colorati. Verande e balconi erano protetti da ringhiere in ferro e le tegole erano color ruggine dorato, anticate artificialmente. A destra della porta d’ingresso c’era una grande rimessa con un portellone enorme: adatta a ospitare la limousine aziendale di Ramsey, giudicò Petra.
Nessun’altra abitazione nei paraggi. Re della montagna.
Altre palme crescevano dietro la villa, creando una sorta di capigliatura new age al di sopra del profilo del tetto. Si sentiva odore di cavalli, ma non ne vide. I Santa Susanna facevano in lontananza da quinta color carta da zucchero. Niente querce virginiane, lì, c’erano troppi innaffiatori.
Stu arrivò con il muso della Ford a ridosso del cancello. «Sei pronta, o tu, latrice di infauste notizie?»
«Oh sì.»
Fu lui a suonare. Per un secondo non accadde niente. Poi rispose loro una voce femminile.
«Sì.»
«Il signor Ramsey, prego.»
«Chi è?»
«Polizia.»
Silenzio. «Un momento.»
Trascorse un lungo minuto durante il quale Petra si girò a guardare la macchina dell’ufficio dello sceriffo. Seduto al volante, Hector De la Torre stava dicendo qualcosa che non seppe decifrare. Banks lo stava ascoltando, ma poi la vide e la salutò alzando le dita della mano, proprio nel momento in cui la porta si apriva e sull’ingresso appariva una tozza ispano-americana in divisa rosa e bianca. Scese per qualche passo sul vialetto guardandoli con attenzione. Fra i cinquanta e i sessant’anni, con gambe molto storte. Portava i capelli stretti dietro la nuca e il suo volto era scuro e statico come un calco in bronzo. Azionò un telecomando.
Il cancello si aprì e le due automobili entrarono. Scesero tutti e quattro. L’aria era di qualche grado più calda che a Hollywood. Solo ora Petra notò uno steccato alla sinistra della villa, un recinto per cavalli. Animali in movimento comparvero e scomparvero alla sua vista.
Caldo secco, si sentiva inaridire gli occhi. A nord un piccolo aeroplano sorvolava le montagne. Da una macchia di sicomori si levò bruscamente uno stormo di cornacchie che si dispersero starnazzando, come impaurite.
«Signora…» disse Stu mostrando il distintivo alla domestica.
Lei lo fissava.
«Io sono il detective Bishop e questa è la detective Connor.»
Nessuna risposta.
«E lei chi è, signora?»
«Estrella.»
«Il cognome, prego.»
«Flores.»
«Lei lavora per il Signor Ramsey, signora Flores?»
«Sì.»
«Il signor Ramsey è qui, Signora Flores?»
«Gioca a golf.»
Sembrava spaventata, pensò Petra. Ansia da immigrata? A meno che avesse intenzione di concorrere a qualche carica pubblica, Ramsey non aveva motivo di preoccuparsi dei contributi, perciò era possibile che fosse una clandestina.
O qualcos’altro. Sapeva qualcosa? Problemi in famiglia Ramsey? Movimenti sospetti di Ramsey durante la notte precedente? Petra trascrisse il nome della donna di servizio e vi aggiunse un asterisco. Da ricontattare.
Chiuse il taccuino e sorrise. Estrella Flores non se ne accorse.
«Il signor Ramsey non è qui?» chiese Stu.
In tal caso era in contraddizione con quanto affermato dal guardiano.
«No. Qui.»
«È qui?»
«Sì.» La donna corrugò la fronte.
«Sta giocando a golf qui?»
«Il golf è dietro.»
«Ha un green», intervenne Petra ricordando quanto le aveva raccontato Susan Rose del programma televisivo.
«Possiamo parlargli, signora Flores?»
La donna lanciò un’occhiata ai due aiutanti dello sceriffo, poi si girò a guardare i battenti spalancati della porta d’ingresso. All’interno Petra scorgeva pareti e pavimenti color bianco latte.
«Volete entrare?» domandò Estrella Flores.
«Solo con il permesso del signor Ramsey, signora.»
Perplessità.
«Perché non va ad avvertire il signor Ramsey che siamo qui, signora Flores?»
Petra le sorrise di nuovo. Questa volta servì. Estrella Flores tornò alla casa dondolando sulle gambe storte.
Non molto più tardi uscì correndo Cart Ramsey, seguito da un uomo biondo.
Il detective dei teleschermi indossava una polo verde mela, jeans e scarpe da corsa. Forma fisica tutt’altro che disprezzabile per un uomo della sua età, che Petra giudicava tra i quarantacinque e i cinquanta. Quasi un metro e novanta di statura, un centinaio di chili addosso, spalle potenti, fianchi stretti, ventre piatto, vita asciutta, niente maniglie dell’amore. Bruno, capelli ricci, teleabbronzatura.
La mascella.
I baffi. Come si chiamava il suo personaggio? Dack Price.
Il suo compagno era più o meno della stessa età, altrettanto prestante, stessa categoria di spalle squadrate, ma fianchi più larghi. Più aderente all’immagine classica della mezza età: significativo rigonfiamento sopra la cintura, allentamento della pelle sotto la mascella, tremolio pettorale nella corsa. I capelli biondi andavano diradando, lunghicci sul collo, qualche spiraglio di cute rosata all’apice. Portava un paio di occhialetti da sole rotondi con le lenti nere. Indossava una sgargiante camicia di seta blu a maniche lunghe, di un paio di numeri troppo grande, e i calzoni neri di cotone con le pince gli stringevano la vita. Ramsey lo precedette senza fatica e raggiunse l’automobile senza affanno.
«Polizia? Che cosa c’è?» Voce profonda da TV.
Stu gli mostrò il distintivo. «Spiacente, signore, ma abbiamo qualche brutta notizia.»
Un lampo di irrequietudine mosse gli occhi celesti di Ramsey. Sbatté due volte le palpebre, s’immobilizzò. Occhi molto chiari, che contrastavano in modo particolare con l’abbronzatura color terra di Siena bruciata, anche se da vicino Petra constatò che i suoi capelli erano di un nero un po’ troppo denso perché il colore fosse naturale e la pelle era granulosa con i pori aperti nelle guance e venuzze che si diramavano intorno al naso. Troppe vodka da camerino? Troppi anni di trucco teatrale?
«Che notizie? Di che cosa si tratta?» la voce di Ramsey aveva cominciato ad appesantirsi di panico.
«La sua ex moglie…»
«Lisa? Cos’è successo?»
«È morta, signore.»
«Cosa?» Occhi sgranati. Le sue mani si chiusero in pugni enormi e i suoi bicipiti si gonfiarono. Con un’espressione debitamente contrita, Petra gli esaminò le braccia a caccia di tagli o lividi. Niente. Lo stesso stavano facendo De la Torre e Banks, senza che l’attore se ne rendesse conto. In quel momento si stava coprendo il volto, chinandosi in avanti.
Arrivò ansimando il biondo in camicia blu, con gli occhiali da sole storti. I suoi capelli erano troppo biondi, un altro lavoro di tintura, con tutta probabilità. «Che c’è, Cart?»
Cart non rispose.
«Cart?»
Ramsey parlò da dietro la mano. «Hanno detto… Lisa…» Con una strozzatura della voce tra le parole.
«Lisa? Che cosa le è successo?»
Ramsey abbassò la mano e si girò verso di lui. «È morta, Greg! Mi stanno dicendo che è morta!»
«Oh mio Dio!… Cosa… Come!…» Greg guardò i poliziotti a bocca spalancata.
«È morta Greg!» urlò Ramsey «Guarda che qui non siamo sul set!» E per un momento parve che intendesse aggredirlo.
Si girò invece all’improvviso dall’altra parte. «Siete sicuri che sia lei?» domandò a Petra.
«Temo di sì, signor Ramsey.»
«Come potete?… Io non… lei… come? È pazzesco… dove? Cos’è successo? Che cosa diavolo è successo? Un incidente d’auto?»
«È stata assassinata, signor Ramsey», rispose Petra. «È stata ritrovata stamattina al Griffith Park.»
«Assassinata?» Ramsey tornò a piegarsi sulle ginocchia e si coprì la bocca, questa volta con entrambe le mani. «Gesù, Dio mio», farfugliò. «Griffith Park… cosa diavolo ci faceva?»
«Non lo sappiamo, signore.»
Sarebbe stato un buon attacco per Ramsey, ma l’attore si limitò a ripetere: «Stamattina? Oh Dio, non posso crederci!»
«Nelle prime ore del mattino, signore.»
Ramsey prese a scuotere la testa. «Griffith Park? Non capisco. Perché sarebbe andata al parco nelle prime ore del mattino? È stata… come è stata…»
Greg il biondo si avvicinò per accarezzargli una spalla. Ramsey lo scacciò, ma l’altro non reagì. Ci era abituato?
«Entriamo, Cart», gli consigliò. «Possono raccontarci i particolari in casa.»
«No, no, devo sapere», protestò Ramsey. «Le hanno sparato?»
«No, signore», rispose Stu. «Accoltellata.»
«Oh, Cristo.» Ramsey si abbassò di qualche altro centimetro. «Sapete chi è stato?»
«Non ancora, signore.»
Ramsey si passò una mano sui capelli. Macchie sul dorso, notò Petra. Ma una mano grande, forte, con dita grosse e potenti, solide unghie squadrate.
«Oh, merda! Lisa! Non ci credo! Oh, Lisa, che cosa hai fatto mai?» Rivolse la schiena ai detective, compì qualche passo, si piegò di scatto come in procinto di vomitare, poi rimase così. Petra vide un fremito che gli percorreva la schiena ampia.
Il biondo si lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. «Io sono Greg Balch, mi occupo degli affari del Signor Ramsey.»
Ramsey ruotò all’improvviso su se stesso. «Qualcosa a che fare con gli stupefacenti?»
Un secondo di silenzio. «Perché», chiese allora Stu, «la signora aveva qualche problema di droga?»
«No, no, solo che qualche tempo fa… per la verità non è… non era più la signora Ramsey. Abbiamo divorziato sei mesi fa e lei aveva ripreso il suo nome da nubile. È stata una separazione amichevole, ma… non ci frequentavamo.» Si coprì di nuovo la faccia e cominciò a piangere. Grandi, straziati singhiozzi baritonali. Petra non poté vedere se c’erano lacrime.
Balch gli passò un braccio intorno alle spalle e l’attore si lasciò riaccompagnare in casa. I poliziotti li seguirono. Qualche istante dopo Petra riuscì a intercettare lo sguardo di Ramsey e vide che i suoi occhi erano asciutti, presenti, nessun arrossamento del bianco, limpide iridi cerulee.
In casa c’era odore di bacon. La prima cosa che Petra notò, dopo che ebbe assimilato il soffitto a cinque metri d’altezza e gli oggetti pseudoartistici e gli innumerevoli elementi di arredamento tutti color latte come se fossero passati in una tinozza di yogurt, fu la rimessa.
Perché una parete era costituita da una vetrata dalla quale si dominava il box attiguo. Che definire box sarebbe stato come dire che Leonardo da Vinci era un vignettista.
Un hangar, piuttosto, con le pareti bianco calce e i pavimenti di granito nero, faretti neri a rotaia montati sul soffitto. Cinque posti macchina, dei quali solo quattro occupati. E nessuna limousine, tutte vetture da collezione: decappottabile Ferrari rossa con muso aggressivo, Porsche grigio antracite sportiva con il numero di gara sulla portiera, Rolls-Royce berlina nera, con finiture bordeaux, sinuosi parafanghi da togliere il fiato e gigantesco, abbacinante radiatore cromato e, a fare da mascotte, con il cofano di cristallo, probabilmente Lalique, una Corvette decappottabile, forse anni Cinquanta, dello stesso blu della camicia di seta del manager Greg Balch.
Nello spazio vacante solo una vaschetta di ghiaia per le gocce d’olio.
Alle pareti erano appesi manifesti di corse d’automobili e aerografie di automobili falliche.
Stu e gli aiutanti dello sceriffo avevano smesso di guardare. Uomini e macchine. Petra era una delle rare donne in grado di comprendere quella sindrome. Forse per via dei quattro fratelli, forse per il suo senso estetico, la conoscenza dell’arte funzionale. Una delle ragioni per cui era andata d’accordo con Nick era stata la sua capacità di nutrire con naturalezza la sua stima di sé. Glielo doveva: quel bastardo non aveva un’anima, ma sapeva creare capolavori. Il suo prediletto era la Stingray del ’67, l’apice del design, la definiva. Quando Petra lo aveva informato di essere incinta, lui l’aveva contemplata come se fosse una Edsel…
Greg Balch li precedeva di qualche passo, intento a guidare Ramsey nella stanza successiva, mentre i detective si riprendevano dalla vista dell’interno della rimessa. Lo fece sedere su un ultraimbottito divanetto rivestito di raso color panna e lì l’attore rimase raccolto in sé come in preghiera, capo chino, le mani intrecciate sul ginocchio destro, i muscoli tesi nel collo taurino.
I quattro poliziotti si accomodarono davanti a lui su un divano di tre metri, spostando i cuscini per farsi spazio. Uno di essi finì nel vasto grembo di De la Torre e le sue tozze dita scure cominciarono a tamburellarne il tessuto luccicante. Banks sedeva tranquillo. A delimitare lo spazio fra i poliziotti e Ramsey c’era un tavolino composto da un blocco di granito su cui era appoggiata una lastra di cristallo. Balch andò a occupare una poltrona.
Petra si guardò intorno. Il locale era di dimensioni grottesche, se voleva essere solo uno studio. Presentava una fuga di tre spazi ugualmente cavernosi, tutti arredati con uguali mobili sproporzionati, tutti ugualmente pallidi, rilievi in legno decolorato, gigantesche, terribili opere astratte in colori pastello alle pareti. Attraverso porte a vetri vedeva erba e palme, una vasca in pietra con fontana, un campo da golf di quattro buche, dove l’erba era rasata a zero, quasi grigia.
Sul green erano abbandonati due ferri cromati. Dietro al minigolf c’era il recinto dei cavalli e una graziosa piccola stalla rosa.
Dov’era il veicolo numero cinque? Nascosto in attesa di essere ripulito delle macchie di sangue?
E non potevano nemmeno parlarne. Aveva visto quanto tempo impiegavano i tecnici per controllare con la dovuta cura un veicolo. Se l’indagine fosse giunta al punto da richiedere un mandato di perquisizione, solo per esaminare tutte le automobili di Ramsey avrebbero dovuto impiegare uno squadrone per chissà quanti giorni.
I suoi occhi tornarono al recinto. Balle di fieno, impilate con precisione. Due cavalli a passeggiare, uno dal pelo scuro, uno bianco. Immaginò Lisa in sella a quello bianco, con una giacchetta e calzoni da cavallerizza su misura, i capelli dorati al vento.
Si rese conto di non sapere niente di lei.
Due cavalli. Cinque automobili. E… a che cosa era riservato il posto macchina vuoto?
Ramsey era ancora chino in avanti e taceva. De la Torre, Banks e Stu lo osservavano senza dare nell’occhio. Balch sembrava a disagio, un braccio destro che non sapeva come rendersi utile. De la Torre si girò a guardare di nuovo le automobili. Faccia dura, molto professionale, ma indugiò sulle cromature, gli smalti, le pelli lubrificate, i copertoni color liquirizia. Banks se ne accorse, sorrise. Incrociò gli occhi di Petra e sorrise un po’ di più.
Stu era una sfinge. La sua espressione era quella che lui stesso chiamava della tabula rasa. Che fosse l’interlocutore a riempire gli spazi. Forse lo trovava facile con Ramsey perché non aveva un debole per le automobili, non che Petra sapesse, in ogni caso. Il suo mezzo di trasporto personale era una piccola Chevy, un’utilitaria bianca con due seggiolini per bambini e giocattoli dappertutto. Petra vi aveva viaggiato un paio di volte, ospite a cena di Bishop, se si può definire cena rimorchiarsi dietro sei bambini al Chuck E. Cheese. Ma i videogame erano stati divertenti. Il mondo dell’infanzia le piaceva…
Si ritrovò a sfiorarsi il ventre, ritrasse la mano e riportò la sua attenzione su Ramsey.
L’attore continuava a scuotere la testa come per negare la verità a se stesso, facendo dondolare i riccioli neri. Era una scena a cui Petra aveva assistito molte volte. La negazione. Vera o falsa. Ramsey era un teleinvestigatore privato. Gli attori svolgevano le loro ricerche, doveva saperne qualcosa anche lui.
Greg Balch gli posò di nuovo una mano affettuosa sulla schiena. La sua espressione era ancora quella desolata del lacchè impotente.
Ma Petra tornò a riflettere su Ramsey. E se fosse stato innocente? Se si fosse trovata per le mani un caso irrisolvibile?
Poi ricordò a se stessa che quell’uomo aveva picchiato Lisa. Recitava per guadagnarsi da vivere.
Tornò a guardare quelle grandi stanze informi. Tana uno, tana due, tana tre… di quante tane aveva bisogno un lupo?
Finalmente Ramsey si raddrizzò. «Grazie per essere venuti», mormorò. «Immagino che dovrò chiamare i suoi… oh, Gesù…» Alzò le braccia.
«Dove vivono i suoi genitori?» chiese Stu.
«A Cleveland. Nei pressi, un posto che si chiama Chagrin Falls. Suo padre è medico. Dottor John Boehlinger. Non li ho più sentiti da quando abbiamo divorziato.»
«Chiamo io», si offrì Stu.
«No, no, dev’essere qualcuno che… Lei si occupa di solito di queste cose? Voglio dire fa parte della procedura normale?»
«Sì, signore.»
«Oh…» Ramsey inalò e soffiò aria, si asciugò l’occhio con l’anello che portava al mignolo. «No, credo comunque che dovrei farlo io… anche se… il problema è che non siamo esattamente… Io e i genitori di Lisa. Da quando abbiamo divorziato. Sa come vanno queste cose.»
«Tensione?» suggerì Stu.
«Non so se peggiorerei la situazione chiamando io… Gesù, proprio non so che cosa devo fare.» In quel momento parve soffrire. «Ufficialmente, intendo. Non siamo più sposati, dunque qual è il mio ruolo ufficiale?»
«In termini di che cosa?» chiese Stu.
«Identificazione, organizzare le esequie… Sa… io e Lisa… ci volevamo bene e ci rispettavamo, ma eravamo… vivevamo vite diverse.» Alzò di nuovo le mani. «Parlo a vanvera, starò facendo la figura dell’idiota. E chi se ne frega di organizzare qualcosa!» Si calò un pugno nel palmo dell’altra mano. Si girò a destra esibendo il profilo.
Che mascella, pensò Petra. Nel suo mondo affetto e rispetto si traducevano in un occhio nero e in un labbro spaccato. Il suo labbro inferiore cominciò a tremare e se lo morsicò. Possibile che stesse posando?
«C’è niente che potrebbe dirci su Lisa?» intervenne Petra. «Potrebbe esserci d’aiuto, signore.»
Ramsey si girò adagio e la fissò e Petra ebbe l’impressione di scorgere qualcosa di nuovo nei suoi occhi chiari: analisi, pensiero metodico, un indurimento. Poi, trascorso un secondo, l’impressione svanì e le apparve di nuovo colpito dal lutto e si domandò se si fosse immaginata tutto.
Nel frattempo gli occhi di Ramsey si erano inumiditi. «Era una ragazza in gamba», disse. «Siamo stati sposati per quasi due anni.»
«E quella della droga, signore?» domandò Petra.
Ramsey guardò Balch e il suo biondo assistente alzò le spalle.
«Robetta», rispose allora l’attore. «Avrei fatto meglio a non parlarne. Ci manca solo che se ne impossessi la stampa e allora infangherebbero il suo nome… Gesù, è così che andrebbe, vero? Oh, merda! È così stupido, non è mai stata una tossicodipendente, solo…»
Si abbassò lo sguardo sulle ginocchia.
«Ha ragione, signore», convenne Petra, «prima o poi salterebbe fuori, perciò tanto vale conoscere i fatti. Quando ci sono di mezzo le droghe c’è sempre la possibilità di un atto violento, dunque se potesse spiegarci…»
Di nuovo i suoi occhi cambiarono e Petra fu certa che la stesse valutando. I suoi compagni si erano accorti di qualcosa? Non che lo dessero a vedere: De la Torre si stava di nuovo lustrando gli occhi con le automobili, mentre Stu e Banks sedevano al loro posto, indecifrabili.
Petra si toccò i capelli e accavallò le gambe. Ramsey non abbassò lo sguardo, ma le sue pupille si dilatarono per una frazione di secondo al frusciare del crèpe nero. Petra lasciò dondolare la caviglia.
«Non c’è niente da raccontare», affermò lui.
«È stata davvero una cosa da niente», ribadì Greg Balch. Anche lui aveva gii occhi azzurri, ma di una tinta opaca e insipida, che soccombeva nel confronto con quella di Ramsey. «Lisa aveva un piccolo problema di coca, nient’altro.»
Ramsey gli lanciò un’occhiataccia. «Dannazione, Greg!»
«Tanto vale che lo sappiano, Cart.»
Mantenendo lo sguardo torvo, Ramsey trasse un respiro. «E va bene, va bene. Fondamentalmente è stata la coca a mettere la parola fine al nostro matrimonio. Anche se, a essere sinceri, la differenza di età ha pesato non poco. Io appartengo a un’altra generazione, quella di gente che quando andava a un party, ci andava per chiacchierare e ballare. Mi piace bere in compagnia, ma non di più. A Lisa piaceva sniffare… Gesù, non posso credere che non ci sia più!»
Stava per nascondersi di nuovo il volto tra le mani e Petra parlò a voce un pochino più alta per impedirglielo.
«Quanti anni aveva Lisa, signor Ramsey?»
Lui alzò gli occhi, li abbassò sulle ginocchia di lei, poi li levò di nuovo a guardare nei suoi. «Aveva», ripeté. «Aveva… Non posso pensare che da questo momento in avanti dovrà essere era, aveva… Aveva ventisette anni, detective…»
«Connor.»
«Ventisette, detective Connor. L’avevo conosciuta quattro anni fa a un concorso di Miss Simpatia. Io ero nella giuria e lei era Miss Ohio. Suonava il sax e aveva una gran voce. Ci siamo frequentati per un po’, abbiamo vissuto insieme per un anno, ci siamo sposati. Poi divorziati. Prima volta per tutti e due… Si vede che avevamo bisogno di fare pratica… C’è nient’altro? Perché tutto questo è…» Si toccò il collo. «Mi sento a pezzi. Ho veramente bisogno di restare solo.»
«Ragazzi», intervenne Balch. «Possiamo concedere al signor Ramsey un po’ di privacy?»
Ramsey continuò ad accarezzarsi il collo. Il suo volto si era scolorito e la sua espressione stava diventando quella di una persona stordita da un’esplosione ravvicinata.
Petra addolcì il tono della voce. «Scusi, signore, so com’è difficile per lei. Ma alle volte i fatti che emergono sotto stress sono i più preziosi e io so che lei desidera che troviamo l’assassino di sua moglie.»
Aveva scelto volutamente di riferirsi alla moglie e non alla ex moglie per vedere se Ramsey l’avrebbe corretta.
Non lo fece, si limitò ad annuire debolmente.
Balch fece per parlare, ma Petra lo precedette: «Sa chi le procurava la droga, signor Ramsey?»
«No. Non voglio che sembri che era una consumatrice abituale. Sniffava per divertimento, era solo un gioco. Per quel che ne so non la comperava mai. Gliela regalavano.»
«Chi?»
«Non ne ho idea. Non era il mio mondo.» Ramsey si raddrizzò. «Procurarsi stupefacenti nel giro dell’Industria non è difficile. Sono sicuro di non essere io a dovervelo spiegare. C’è forse qualche particolare in quello… quello che è successo… che vi fa sospettare che c’entri la droga?»
«No, signore. Partiamo letteralmente da zero.»
Ramsey aggrottò le sopracciglia e si alzò all’improvviso. Balch lo imitò, piazzandoglisi al fianco.
«Chiedo scusa, ma devo veramente riposare. Sono appena tornato da una trasferta di lavoro a Tahoe, dove non ho avuto occasione di tirare il fiato per due giorni. Ho letto i copioni in aereo, poi Greg mi ha fatto firmare delle carte e ieri siamo crollati di buon’ora tutti e due. Adesso questa storia. Gesù.»
Un alibi dettagliato servito su un piatto d’argento senza che fosse stato sollecitato, pensò Petra. Affaticato, ma sveglio ed efficiente l’indomani mattina, fuori a giocare a golf.
Tutti e quattro i poliziotti ascoltavano con attenzione. Nessuno parlava. A nessuno era consentito sondare troppo a fondo.
Balch riempì il silenzio. «Sono stati due giorni molto lunghi. Siamo schiantati tutti e due come se ci avessero tramortito con una legnata.»
«Lei ha passato la notte qui, signor Balch?» chiese Petra, sapendo di spingersi sul ciglio di un terreno pericoloso. Lanciò un’occhiata a Stu. Lui le rivolse un cenno impercettibile.
«Sì. Del resto non è la prima volta. Vivo alle Rolling Hills Estates e preferisco evitare di fare tutta quella strada quando sono molto stanco.»
Gli occhi di Ramsey stavano diventando vitrei. Erano puntati al pavimento.
Stu lanciò un altro segnale a Petra con un movimento della testa e tutti e quattro si alzarono. Stu porse il suo biglietto da visita a Ramsey, che lo intascò senza guardarlo. Tutti si diressero alla porta. Petra si ritrovò a camminare accanto all’attore. «Dunque chiamerà lei i genitori di Lisa, detective?»
«Sì, signore.» Anche se era stato Stu a offrirsi di farlo.
«Dottor John Everett Boehlinger. Sua madre si chiama Vivian.» Le riferì l’indirizzo e si fermò con lei in attesa che lo trascrivesse. Balch e gli altri li sopravanzavano di qualche metro, già vicini alla vetrata della rimessa.
«Chagrin Falls, Ohio», rilesse Petra.
«Strano nome, vero? Come se gli abitanti si dispiacessero di viverci. Era certamente così per Lisa. Lei amava L.A.»
Petra sorrise. Ramsey contraccambiò.
La giudicava. Ma non come poliziotto. Come donna. L’ex marito devastato dal dolore la stava valutando con gli occhi del maschio che esamina la femmina.
Non era un’analisi di cui era spesso vittima. Petra non si considerava una Venere, ma sapeva quando la stavano vagliando.
«L.A. era il posto giusto per Lisa», riprese Ramsey, mentre s’incamminavano di nuovo. «L’energia che la pervade era in sintonia con il suo carattere.»
Arrivarono alla vetrata. Petra gli tese la mano. «Grazie, signore. Sono rammaricata dal motivo della nostra visita.»
Ramsey le prese la mano, gliela trattenne, gliela strinse. Asciutta e tiepida. «Ancora non riesco a credere che sia successo. È irreale… come un copione.» Si morsicò il labbro inferiore, scosse la testa, le liberò la mano. «Probabilmente non potrò dormire, ma sarà meglio che ci provi prima che mi piombino addosso gli avvoltoi.»
«I giornalisti?»
«È solo questione di tempo. Voi non divulgherete il mio indirizzo o il mio numero di telefono, vero?»
Prima che Petra potesse rispondere, si rivolse a Balch. «Chiama il cancello e di’ alla guardia di non lasciare passare nessuno. Chiama subito.»
«Senz’altro.» Balch scomparve.
Petra toccò il vetro, inarcò le sopracciglia, fece mostra di contemplare le automobili.
Ramsey alzò le spalle. Per un uomo di mezza età, era abile negli atteggiamenti infantili. «Fai collezione di giocattoli e un giorno ti accorgi che non hanno nessun significato.»
«Ma non c’è niente di male nel possedere oggetti preziosi», commentò Petra.
Un guizzo negli occhi celesti di Ramsey. «Suppongo di no.»
«Di che hanno è la Ferrari?»
«Del ’73», rispose Ramsey. «Daytona Spider. Apparteneva a uno sceicco petroliere. L’ho presa a un’asta. Ha bisogno di essere messa a punto tutte le settimane e un’ora al suo volante ti spacca la schiena, ma è un’opera d’arte.»
Nella sua voce era affiorata una vena di entusiasmo. Quasi per essersene reso conto, fece subito una smorfia scuotendo di nuovo la testa.
«E nel posto vuoto che cosa ci va?» domandò Petra cercando di farlo passare per un semplice convenevole.
«La macchina che uso tutti i giorni.»
«La Lexus?»
Lui allungò lo sguardo verso l’atrio dov’erano riuniti gli altri tre poliziotti. «No, quella è la macchina di Greg. La mia è una Mercedes. Grazie di essere stati comprensivi. E di occuparvi voi dei genitori di Lisa. Vi accompagno fuori.»
Le due automobili della polizia si allontanarono lentamente dalla zona residenziale e imboccarono una tranquilla strada secondaria. Stu proseguì fino a quando le case finirono e cominciarono i campi coltivati, poi segnalò agli aiutanti dello sceriffo di accostare. Quando scesero, De la Torre stava fumando.
«Si è già preparato il suo alibi», attaccò subito. «È stato qui tutta notte con il buon vecchio Greg. E poi tutte quelle stronzate sul suo stato confusionale, il ruolo che non sa quale dovrebbe essere…»
«Quello potrebbe essere stato un tentativo di dissociarsi da quanto è avvenuto», osservò Banks. «A beneficio nostro e suo.»
«Possibile», ammise Stu e guardò Petra.
«Sono tutti elementi interessanti», convenne lei. «Come anche l’accenno quasi immediato alla cocaina. Per diventare improvvisamente recalcitrante quando siamo noi a volerne sapere di più, sentendosi in dovere di proteggere la reputazione della ex moglie.»
«Io dico che è marcio», affermò De la Torre. «E quello che puzza di più è proprio l’alibi. Dico io, la tua ex finisce affettata, tu sei pulito, arrivano gli sbirri a darti la notizia e la cosa che ti preme di più è fargli sapere che la notte dell’omicidio sei andato a letto presto?»
«Concordo», annuì Petra. «Solo che qui abbiamo un caso di violenza fra le mura domestiche diventato di dominio pubblico nell’era post-O.J. e lui sa che la sua posizione sarà vagliata attentamente, ha un buon motivo per proteggere se stesso.»
«Troppo comodo», brontolò De la Torre. «Quello produce un poliziesco in televisione. Probabilmente si sente un esperto in materia.» Fece un grugnito e riprese a fumare.
Petra ripensò a come Ramsey l’aveva guardata. Poi aveva fatto in maniera di camminare accanto a lei. Nessuno dei colleghi ne aveva accennato. Avrebbe dovuto farglielo notare? Inutile.
«Io detesto quei polizieschi», brontolò De la Torre. «Quei bastardi che prendono sempre i cattivi prima della terza interruzione pubblicitaria e mi fanno sentire un povero imbecille.»
«Lui non fa il poliziotto in TV», gli rammentò Banks. «È un investigatore privato. Un macho con le ali che protegge la gente quando la polizia non ci riesce.»
«Peggio ancora.» De la Torre si tirò un baffo.
«Grande disperazione, ma molto pratico e presente quando ha ordinato a Balch di chiamare la guardiola», commentò Banks. «Il corpo della moglie non è ancora freddo e lui già si copre il culo con la stampa.»
«Ehi», ribatté De la Torre, «non ti scordare che quello è un divo con le contropalle.» Soffiò fumo verso il suolo. «Allora, che cosa possiamo fare per voi?»
«Controllate che cos’avete in archivio qui, vedete se ci sono altre segnalazioni di violenza domestica… o qualsiasi altra cosa sul suo conto», rispose Stu. «Ma con la massima discrezione. Al momento non dobbiamo lasciargli capire che stiamo indagando su di lui.»
«E la nostra visita che cos’era? Quattro poliziotti che vanno a presentare le loro condoglianze?»
«Proprio così.»
«E se la berrà?»
«Forse. È abituato ai trattamenti speciali.»
«D’accordo», si arrese Banks. «Faremo un giro in archivio in punta di piedi. Nient’altro?»
«Non mi viene in mente niente», rispose Stu. «Ma accetto suggerimenti.»
«Il mio suggerimento», intervenne De la Torre, «è che noi ci teniamo fuori dei vostri piedi, andiamo in chiesa e preghiamo per voi. Perché questo non sarà un giochetto.»
«Pregate pure», replicò Petra. «Accettiamo tutto l’aiuto che ci arriva.»
Banks le sorrise. «Vi ho visti che parlavate davanti alla vetrata. Le ha detto qual è la quinta macchina?»
Petra lo fissò per un momento. «Quella che usa tutti i giorni. Una Mercedes.»
«Pensa che sia l’ora dello shampoo?»
«Può darsi», gli concesse Petra. «Con tutto quel sangue in giro, ci sono buone probabilità che qualcosa si sia sporcato.»
«Impronte di scarpe?»
«Niente», rispose Stu. «È riuscito a evitare di posare i piedi nel sangue.»
«Il che significa che è indietreggiato. Oppure l’ha spinta lontano da sé. In un modo o nell’altro, vuol dire che era preparato.»
Stu meditò. Compresse le labbra. «Sì, mi piacerebbe avere un mandato di perquisizione per la Mercedes, ma non abbiamo uno straccio di prova per ottenerlo.»
«Potrebbe aver imparato qualcosa dal suo show», ipotizzò De la Torre. «Qualche tecnologia avanzatissima per ripulire qualcosa alla straperfezione. Queste celebrità hanno sempre dietro qualcuno che fa le pulizie per loro, dopo che sono passati. Qualche tirapiedi, manager, agente, tuttofare, chiamalo come vuoi… Ehi, ma che cosa vado farneticando? Il caso è vostro. Buona fortuna.»
Giro di strette di mano e gli aiutanti dello sceriffo se ne andarono.
«Mi sembrano brava gente», commentò Petra.
Tornarono alla Ford.
«Ho superato i limiti nell’interrogare Ramsey?» s’informò mentre Stu metteva in moto.
«Spero di no», rispose lui. «Che cosa pensi di tutte quelle macchine da collezione?»
«Prevedibili. Quelli dell’Industria, come la chiamano loro, sono sempre a caccia del Meglio.»
Stu sembrava corrucciato.
«Credi che sia lui?» gli chiese Petra.
«Probabile. Appena rientrati chiamo la famiglia.»
«Se vuoi ci penso io», si offrì Petra, desiderando tutt’a un tratto un contatto con i parenti di Lisa. Un contatto con Lisa.
«No, non mi è di peso.» La macchina si avviò. Stu aveva il colletto inamidato segnato dal sudore e il viso ruvido dello spuntare della barba come paglia novella. Erano più di ventiquattr’ore che non dormivano. Petra si sentiva benissimo.
«Non è un problema nemmeno per me, Stu. Chiamo io.»
Si aspettava una resistenza da parte di lui, invece lo vide arrendersi. «Sei sicura?» le chiese.
«Sicurissima.»
«Hai già avvertito tu per Gonsalez e Chouinard e con Chouinard non è stato molto divertente.»
Dale Chouinard era un manovale, percosso a morte davanti a una taverna del Cahuenga Boulevard. Petra aveva comunicato alla vedova ventiquattrenne che i suoi quattro figli tutti sotto i sei anni erano diventati orfani. Le era parso di essersela cavata bene, aveva consolato la giovane donna, l’aveva tenuta tra le braccia, le aveva dato il tempo di scaricare il suo dolore in lacrime. Poi, in cucina, la signora Chouinard aveva perso la testa e l’aveva aggredita, quasi strappandole un occhio.
«Quanto meno nessuno potrà saltarmi addosso per telefono», commentò.
«Guarda che proprio non mi costa farlo, Petra», ripeté lui.
Ma lei sapeva che non era vero. Fin dal principio, quando erano stati messi a lavorare insieme, le aveva confidato che, fra tutte le sue mansioni, era quella che gli piaceva meno. Forse se gli avesse offerto un segno di amicizia, lui l’avrebbe vista per la partner perfetta che era e le avrebbe confessato cosa lo tormentava.
«Ci penso io, socio. E se non hai niente in contrario, parlo anche con la cameriera.»
«Quella di Lisa?»
«Intendevo quella di Ramsey. Se riesco a tirarla fuori da quella casa senza che si capisca troppo chiaramente che Ramsey è un indiziato. Ma posso sentire anche quella di Lisa.»
«Con quella di Ramsey ti conviene aspettare», l’ammonì Stu. «Troppo pericoloso.» Estrasse il taccuino e sfogliò qualche pagina. «Schoelkopf mi ha dato il nome. Ecco… Patricia… Kasempitakpong.» Scandì molto lentamente il nome impronunciabile. «Probabilmente thailandese. La stanno trattenendo. Ma se chiede di andarsene, non possono impedirle di tornare a Bangkok. O di telefonare al National Enquirer.»
«Ci vado subito dopo aver chiamato i genitori.»
Lui le diede l’indirizzo di Doheny Drive.
«Carini i nostri sceriffi a lasciarci condurre la danza con Ramsey», rifletté lei.
«Dopo tutta la cattiva pubblicità che è piovuta addosso a entrambi i dipartimenti, forse qualcuno ha cominciato a farsi furbo.»
«Speriamo.» Il mese prima gli sceriffi erano stati esposti alla pubblica censura per aver rilasciato alcuni assassini in virtù di un errore burocratico, per aver servito prelibatezze gastronomiche ai detenuti a spese dei contribuenti e per aver perso ogni traccia di alcuni milioni di dollari. Qualche mese prima ancora, alcuni agenti del dipartimento di L.A. erano stati arrestati per una rapina a mano armata condotta durante le ore di libertà e una matricola era stata ritrovata nuda e intontita ad aggirarsi per le colline vicino al posto di polizia di Malibu.
«Quell’indirizzo non mi è nuovo», disse Stu. «È a pochi isolati da Chasen’s. Che demoliscono per costruirci un centro commerciale.»
«Ahimè», sospirò Petra. «Niente più cene in compagnia di personaggi celebri.»
«A me è capitato di andarci davvero una volta», ribatté lui. «Ero nel servizio di sicurezza per il ricevimento di un matrimonio. Si sposava la figlia di non ricordo più quale principe del Foro che si occupava degli interessi di gente dello spettacolo. Gli invitati erano tutti divi importanti.»
«Non sapevo che ti occupassi di quelle cose.» Anche.
«Anni fa. Era quasi sempre solo una scocciatura. Ma di quella volta al Chasen’s non mi posso lamentare. Mi hanno dato da mangiare, chili, puntine, bistecca. Gran bel posto, atmosfera di classe. Il ristorante preferito di Reagan… Va bene, parla alla thailandese e informa i genitori. Io cercherò un modo per indagare con discrezione su Ramsey nel suo mondo, sento la Motorizzazione sulla Mercedes, vedo a che punto sono il coroner e quelli della Scientifica e poi me ne vado a casa. Se è saltato fuori qualcosa di interessante, te lo faccio sapere. Ti va?»
«Io sento anche la società dei telefoni e mi faccio dare i dati sul traffico di Lisa.»
«Buona idea.»
Procedura standard.
«Stu, se è stato Ramsey, come facciamo a incastrarlo?»
Nessuna risposta.
«Credo che quello che vorrei sapere», elaborò allora Petra, «è che speranza abbiamo che una storia come questa migliori la qualità della nostra vita? E come possiamo fare del nostro meglio per Lisa?»
Lui giocò con i capelli, si raddrizzò la cravatta.
«Facciamo un passo alla volta», rispose alla fine. «Mettiamocela tutta. Più o meno quello che dico ai miei figli sulla scuola.»
«E noi siamo come scolaretti davanti a questo caso?»
«In un certo senso.»