Bello l’oceano, ma troppa gente.
Si era applicato una barba posticcia di prima qualità, di peli naturali, simile a quella che aveva usato per la ragazza tedesca, portava un cappello di paglia a tesa larga, un lungo e cencioso impermeabile marrone sopra una camicia bianca sfilacciata e un paio di informi calzoni grigi di cotone. Scarpe da corsa, relativamente nuove, ma debitamente sporcate perché fossero in carattere con il personaggio.
L’andatura che aveva adottato era uno strascicare di piedi pencolante sulle gambe rigide. Camminando fingeva di guardare per terra, ma grazie alla tesa del cappello che gli nascondeva la parte superiore del volto, poteva alzare gli occhi senza che nessuno se ne accorgesse. Se per caso qualcuno incrociava lo sguardo con lui, abbassava le palpebre e fissava il vuoto.
Il Barbone Mentalmente Turbato. Sull’Ocean Front Walk se ne vedevano dappertutto, sulle panchine, mescolati alla folla, a contemplare la sabbia o le palme o l’oceano, come seguendo l’evolversi di qualcosa di importante. Che cosa? Il passaggio di balene immaginarie? L’approdo di sirene dalle enormi tette?
Sua madre era impazzita quando lui aveva quattordici anni. Non aveva mai avuto la curiosità di sapere che cosa pensasse. Se ne stava a distanza di sicurezza, come se fosse contagiosa.
Percorreva la passeggiata a passo lento, avanti e indietro. Ogni tanto si sedeva, fingeva di assopirsi mentre scrutava i passanti.
Nessuno badava a lui. Gli agenti di pattuglia erano attenti a eventuali atti di violenza. Ignoravano chi se ne stava per conto proprio. Anche i turisti erano lieti di far finta di non vederti pur di non essere tormentati da richieste di elemosina.
Il problema era la quantità di persone. Un bel sabato soleggiato e tutti scendevano alla spiaggia in un lento defluire così denso che si stentava a riconoscere i singoli individui.
E turbe di bambini, ma non il bambino. Dopo un’ora li aveva classificati in due gruppi: la prole pasciuta e linda dei turisti da una parte e i drappelli di rumorosi monelli locali, tutti figli di immigrati, che si insinuavano nel flusso dei pedoni probabilmente alla ricerca di tasche da borseggiare.
Perché mai il bambino sarebbe dovuto essere in giro in pieno giorno?
Come mai sarebbe dovuto rimanere lì, se è per questo, dopo la «segnalazione anonima»?
Uno spreco di tempo, ma considerato tutto quello che aveva già sistemato, sentiva di poterla prendere con filosofia.
Bella giornata, goditela. Quanto tempo dall’ultima volta che era stato lì. Ora la passeggiata era stata invasa da nuovi esercizi commerciali, botteghe, snack, ristoranti, c’era persino una sinagoga… strano. C’erano costruzioni che si estendevano fino al vicolo e più in là ancora, fino a Speedway. Altri negozi occupavano il pianterreno di alti condomini di prima della guerra. Il ragazzo avrebbe potuto essere in una qualunque di quelle case, impossibile trovarlo.
Avrebbe potuto essere dovunque.
Si sarebbe trattenuto per qualche ora. Barba, cappello e impermeabile lo stavano facendo sudare. Avrebbe bevuto volentieri qualcosa di fresco e aveva dieci dollari in tasca. Altri soldi nell’automobile che aveva lasciato a sei isolati da lì. Ma un barbone scimunito che estraeva banconote avrebbe attirato l’attenzione, così preferì accontentarsi dell’acqua di una fontanella.
Ce n’era una nei pressi della sinagoga. Avrebbe risalito l’Ocean Front fino all’estremità nord, poi sarebbe tornato indietro, fermandosi a bere durante il tragitto. Poi un altro paio di perlustrazioni, uno pseudosonnellino in panchina e finalmente avrebbe tolto le tende.
Lascia perdere il bambino. Cercò di convincersi che poteva permetterselo, ma era come qualcosa conficcatoglisi di traverso in gola. Come un grosso foruncolo maturo di pus che prude troppo per non schiacciarlo.
Preferì cedere alla sua irrequietudine. Evitare che si trasformasse in tensione.
Sua madre aveva assunto comportamenti incredibilmente coatti prima di ammattire del tutto. Fumava cinque pacchetti al giorno, si tormentava il viso, dondolava quando lavorava di cucito, si scatenava in crisi di bulimia, per poi digiunare per giorni. Quando l’avevano ricoverata in ospedale, si era messa a dare testate nei muri, come accade ai bambini autistici, cosicché l’avevano costretta a indossare un casco da football. Vestito floreale e casco. In che ruolo giochi, mamma? Era troppo ridicola e lui faceva tutto quello che poteva per evitare di andarla a trovare.
Era morta dieci anni prima e lui era l’unico parente sopravvissuto. Si era affidato a un avvocato perché fosse cremata e sepolta nel cimitero dell’ospedale senza dover intervenire di persona.
Pensare a lei non evocava emozioni di sorta. Aveva caldo, era scoraggiato, non era contento della prospettiva di dover lasciare quella questione in sospeso. Al momento soprattutto lo infastidiva il caldo. Impiegò un’ora a ripercorrere per altre due volte l’intera promenade, sempre più indispettito dall’inutilità delle sue fatiche.
Nessun bambino che somigliasse lontanamente a quello dell’identikit. Arrivò alla fontanella, si riempì il ventre di acqua, si asciugò la barba. Un turista che voleva bere cambiò idea. A riprova della maestria della sua interpretazione.
La panchina più vicina era occupata da una coppietta in tuta elasticizzata. Gli si avvicinò barcollando, borbottando, si appollaiò con una natica su un angolo e i due si affrettarono ad allontanarsi.
Fantastico!
Alla sinagoga dovevano aver finito da poco, perché davanti all’ingresso c’era un capannello di persone anziane. Le vide indugiare in conversazione per qualche minuto, quindi disperdersi. Lui non aveva niente contro nessun gruppo etnico o religioso, nemmeno contro gli ebrei. Desiderava solo che quelli che non erano più in grado di badare a se stessi tirassero le cuoia e lasciassero spazio agli altri.
Qualcuno a cui gli ebrei non andavano a genio, però, c’era.
Il tizio del baracchino dei souvenir. Bastava guardare come li fissava. Ostilità che usciva dal cuore.
Brutto ceffo, sulla quarantina, capelli lunghi, biondi ma bisunti, probabilmente tinti. Brutta pelle, braccia smagrite che uscivano dalle maniche di una spaventosa maglietta rosso scuro con la scritta CALIFORNIA HERE I COME.
Dello stesso genere di tante altre magliette che vendeva al suo baracchino oltre a cappelli, occhiali da sole, giocattoli, gagliardetti e cartoline, una specie di cassonetto per rifiuti trasformato in negozio. Non ci andava nessuno a fare acquisti, probabilmente perché il gestore era meno accogliente di un piranha.
Ostile e maledettamente sulle spine. Anche lui frugava con lo sguardo su e giù per Ocean Front.
Interessante.
Gli transitarono davanti due agenti che camminavano spingendo le loro biciclette e gli occhi del brutto ceffo si ingrandirono e il suo corpo si protese in avanti. Lo vide quasi tuffarsi oltre il banco.
Per la gran voglia di riferire loro qualcosa?
Ma si trattenne, prese un bambolotto tra le mani, finse di controllarne il prezzo.
Strano…
Gli sbirri dovevano avere avuto la stessa impressione, perché si fermarono a parlargli. Lui esibì un sorriso repellente e scosse la testa. Gli sbirri non se ne andarono subito. Qualcosa in quell’uomo li lasciava perplessi. Lui continuò a sorridere, tastando il bambolotto, e finalmente i poliziotti si allontanarono.
Il venditore li seguì con lo sguardo a lungo prima di tornare alla sua attività principale: guardare a nord, poi a sud, a nord, a sud. Non una sola occhiata alla spiaggia.
Alla ricerca di qualcosa in particolare. O qualcuno?
Segnalazione anonima. Possibile? Dio era così generoso?
Studiò ancora per una ventina di minuti il venditore di souvenir e non registrò modifiche di comportamento: due passi dietro il bancone, perlustrazione oculare della promenade, manipolazione di bambolotto, due passi dietro al bancone… A un tratto il rito fu interrotto. Il brutto eeffo scomparve dietro alla tenda che costituiva la parete posteriore del baracchino. Probabilmente dietro c’era un magazzino. Forse una toilette.
Per cinque minuti il bancone rimase incustodito e dei bambini di passaggio lo alleggerirono di un mazzo di cartoline sfilate dall’espositore. Quando il venditore tornò, si stava ancora asciugando le labbra.
Una pausa per un sorsetto. Ed eccolo di nuovo all’opera: su e giù con gli occhi. Su e giù. Sicuramente in caccia.
Possibile? Davvero? No, probabile che aspettasse qualcuno per uno dei suoi sporchi affari, forse un’operazione di spaccio.
Eppure la segnalazione era giunta da qualche parte.
Per uno così, che passava la giornata a mettere in vendita stronzate che nessuno gli comprava, venticinquemila dollari dovevano sembrare un’autentica manna. Un ottimo motivo per essere sulle spine.
Lo osservò ancora. Stesso schema di prima. Un’altra pausa per un cicchetto. Quell’uomo era automatizzato, o aveva inserito il pilota automatico, gli ricordava fin troppo i rimbambiti che incontrava quando andava a trovare sua madre.
Valeva senz’altro la pena saperne qualcosa di più. Che cosa aveva da perdere?
Si alzò, percorse cento metri a sud, invertì la rotta e si avvicinò alla fila dei negozi, passando rasente il baracchino in modo da poter leggere l’orario di apertura. Eccolo: ORARIO ESTIVO: LUN-VEN 11-17 SAB-DOM 11-20.
Sarebbe tornato poco prima delle otto quando era presumibile che la folla si fosse diradata. Doveva sperare che non chiudesse in anticipo o qualcuno non venisse a sostituirlo. In tal caso c’era sempre l’indomani.
Non avendo altre piste a disposizione, si sarebbe dovuto accontentare e decise di accettare con entusiasmo quello che passava il convento.
Ottimismo, quella era la chiave giusta. Senza mai perdere il senso dell’ironia.