La fisionomia della donna era ancora abbastanza integra perché Petra potesse riconoscere Estrella Flores. Alla collaboratrice domestica era stata tagliata la gola da un orecchio all’altro, ma non c’era evidenza di altre ferite. Nulla che ricordasse l’accanimento subito da Lisa.
Aveva la sua logica, pensò Petra: nel caso di Lisa c’era stata passione; questa volta si trattava di liquidare un impiccio.
Balch o Ramsey? O tutt’e due? Nessuno dei due non era più un’alternativa accettabile.
Il dottor Boehlinger avrebbe voluto rimanere, ma Sepulveda ordinò al vice Forbes di riaccompagnarlo a L.A., un abbinamento congegnato all’inferno che indusse Petra a sorridere dentro di sé nonostante l’orrore della situazione.
Povera Estrella. A proposito del posto sbagliato nel momento sbagliato. Ancora con la sua divisa rosa. Doveva essere stata uccisa martedì o mercoledì, per essere trasferita lì subito dopo.
Doveva essere accaduto mercoledì sera o giovedì mattina, il giorno in cui Balch era stato visto partire dall’altra residenza, perché lei stessa gli aveva parlato mercoledì sera e la Lexus era parcheggiata davanti alla sede della Player’s Management. Vuota. Pulita. In contrasto con il caos che c’era nel suo ufficio. L’aveva già sgozzata? Estrella era in quel bagagliaio mentre loro due erano a colloquio?
Si tenne in disparte imitata da Ron per lasciare che i tecnici della polizia locale tentassero di completare i rilevamenti prima che facesse buio. La tenuta di Montecito era enorme. La casa era antica e regale, stucco bianco latte e tegole rosse, autentico stile spagnolo, niente campanile, nessuna delle stravaganze che caratterizzavano il castello di Calabasas. La zona adiacente alla costruzione era ombreggiata da querce gigantesche. La composizione del giardino era in sintonia con l’ombra: felci, clivie, camelie, azalee. I bei sentierini lastricati in granito erano stati disegnati da una mano esperta.
Il terreno digradava guidando lo sguardo allo stagno, un ampio disco d’acqua verde in piena luce. Metà della superficie era ricoperta da ninfee bianche e rosa; libellule fiammeggianti sfrecciavano come minuscoli velivoli; un airone bronzeo si chinò a bere. Stiance e altre ninfee più indietro, gialle, bianche con il centro color ametista. Petra vedeva i danni alla vegetazione che avevano rivelato al dottor Boehlinger la presenza dello scavo.
Un occhio davvero straordinario.
I tecnici si stavano occupando della Lexus nera. L’abitacolo era di pelle color ebano; il fondo del bagagliaio era rivestito di moquette nera. Non le superfici più facili su cui rilevare macchie di sangue, ma uno dei periti ritenne di aver individuato una goccia grande come una monetina sotto il cofano del bagagliaio e il Luminol gli diede ragione. Niente sui sedili, ma il test rivelò tracce di sangue dalle forme più svariate su tutta la moquette.
«Siamo sul mezzo litro», calcolò il capitano Sepulveda. «Anche meno. Questo vorrebbe dire che l’ha uccisa da qualche altra parte, l’ha avvolta in qualcosa e il sangue è colato fuori. Poi ha lavato il bagagliaio. Si sente l’odore del detersivo. Ha creduto che fosse pulito perché sembrava pulito.»
Parlava a bassa voce. Scontento di trovarsi coinvolto. Petra si chiese se fosse mai stato nella squadra Omicidi.
«Sarà meglio che ci procuriamo dei mandati per perquisire la casa e tutto il terreno», concluse. «Qui in giro può esserci di tutto.» Si girò verso Petra e gli occhi dietro le feritoie dovevano essersi fissati nei suoi, anche se lei ne vedeva una frazione troppo piccola per esserne certa. «Vado a parlare subito con un giudice. E lei?»
«È stato Balch a portare la macchina qui, quindi è evidentemente un indiziato», gli rispose. «Riferisco subito al mio capitano e chiedo che venga spiccato un mandato. Che Balch lavorasse per Ramsey resta da vedere, ma non c’è dubbio che questo omicidio va messo in relazione al nostro. Ho bisogno che Balch e Ramsey siano localizzati al più presto.»
Era un’affermazione, non una richiesta.
«Bene», annuì Sepulveda. «Dovrei tornare entro un’ora. Se ha domande, si rivolga al sergente Grafton.» Le indicò un’attraente bruna in abiti borghesi che prendeva appunti sulla sponda del laghetto.
Se ne andò e Ron le passò il suo cellulare. Petra chiamò dapprima Wil Fournier. Non era alla scrivania. Lasciò il numero. Non c’era nemmeno Schoelkopf, in riunione per tutto il pomeriggio, ma convinse un’impiegata a rintracciarglielo. Lui la richiamò di lì a cinque minuti.
«Ero con Lazara, sarà bene che sia importante.»
«A me sembra che lo sia, capitano.» Lo mise al corrente.
«Merda… Va bene, li fermiamo tutti e due immediatamente.»
«Ramsey si è nascosto dietro Lawrence Schick.»
«Questo lo so. Vorrà dire che trascineremo quel bastardo di peso fuori dalle sottane del suo avvocato. Giusto per parlargli, non per arrestarlo. Tu resta lì, occhi bene aperti, non perdere il controllo della situazione. E tienimi una dannata linea aperta.»
«Balch abita alle Rolling Hills Estates», disse Petra. «Il suo ufficio è a Studio City. Ho entrambi gli indirizzi.»
«Spara.»
Glieli lesse. Schoelkopf chiuse la comunicazione.
«Dovrò farmi vivo anch’io», disse Ron. «Con Hector e con mia madre. Qui ne avremo per un pezzo.»
Petra gli restituì il cellulare. Un elegante piccolo Ericsson. «Questo gingillo è tuo o del dipartimento?»
«Mio.»
«Ti rimborserò.»
Lui sorrise mentre digitava. Stavano agganciando la Lexus a un carro attrezzi; i tecnici stavano recintando la zona in cui era stata ritrovata la fossa sotto le direttive del sergente Grafton.
Da una station wagon dell’ufficio del coroner di Santa Barbara scesero due uomini in bianco con una barella pieghevole. Il corpo di Estrella Flores era piccolo. Quelle gambe storte, lo squarcio alla gola che lasciava vedere un tratto increspato di trachea.
Ron non riuscì a comunicare con De la Torre, ma trovò la madre e Petra si allontanò di qualche passo per non essere di troppo, mentre pensava alla telefonata che avrebbe dovuto fare lei a Javier Flores. Schoelkopf le aveva ordinato di tenere una linea aperta. Al diavolo. Il telefono era di Ron. Che il dipartimento ne comperasse uno a lei.
Il carro attrezzi manovrò trainando la Lexus intorno alle querce. Poco dopo i lettighieri caricarono la salma sulla station wagon e partirono a loro volta. Il giardino sembrava reduce da una tromba d’aria, fiori e arbusti schiacciati, spezzati. Petra fiutò un afflato di oceano, correnti del Pacifico che riuscivano a inoltrarsi così lontano nell’entroterra. Le ninfee fremettero. Il nastro giallo danzò.
Ron andò a riconsegnarle il cellulare.
«Era cominciata come una bella giornata», commentò lei.
«Lo è ancora.» Le si avvicinò e le sfiorò per un secondo la mano con la punta delle dita. Le catturò l’indice, glielo strinse con delicatezza per un istante o due. Guardava diritto davanti a sé. Le sue mani da batterista, di nuovo abbandonate lungo i fianchi, picchiettarono un ritmo silenzioso sulle cosce, ma i suoi occhi rimasero sereni.
Ci sguazza, pensò lei. Resterà nella squadra Omicidi fino alla pensione.
Squillò il telefono. «Connor.»
«Ho parlato a Schick», le annunciò Schoelkopf. «Sta arrivando lì con Ramsey.»
«Balch?»
«Ramsey dice che dovrebbe essere in ufficio. Abbiamo chiamato, ma non ha risposto nessuno.»
«La stessa cosa è successa a me quando sono andata a trovarlo», ricordò Petra. «C’era, ma non rispondeva al telefono.»
«Comunque gli ho mandato qualcuno e quelli di Rolling Hills hanno accettato di controllare a casa sua.»
«Perché Ramsey viene qui?» domandò Petra.
«È casa sua, Barbie. È divorato dall’angoscia.»