Ancora nessuna risposta all’ufficio di Greg Balch. Petra decise di andare di persona.
Alle sei del pomeriggio lasciò il parcheggio della stazione di polizia, imboccò Cahuenga all’altezza di Franklin e scese dall’altra parte della collina.
Studio City era nella Valley, ma lei l’aveva sempre vista come un’eccezione alla regola. A nord del Ventura Boulevard si estendeva la solita scacchiera di costruzioni anonime, ma a sud la zona era piacevolmente ondulata e si saliva a Mulholland per strade tortuose tra case su palafitte sopravvissute al terremoto. Qualche tratto di Ventura era un po’ squallido, non mancavano gli inestetismi del modernismo commerciale, ma c’erano anche in gran numero negozi d’antiquariato, studi di registrazione, sushi bar, jazz club, qualche ritrovo gay. Decisamente una zona più viva del resto della Valley.
Nessun afflato di avanguardia nella sede della Player’s Management, però: uno spoglio edificio di due piani del colore del latte alla cioccolata separato dalla strada da un piazzale di parcheggio. Nell’asfalto spuntavano ciuffi d’erba, le grondaie pendevano, gli spigoli erano sbrecciati. H. Carter Ramsey non era un padrone di casa scrupoloso.
La Lexus nera di Balch era l’unico veicolo presente nello spiazzo. Dunque c’era e non rispondeva al telefono. Ordini del principale per scoraggiare i giornalisti? Sbirciò nell’auto. Vuota.
Il pianterreno del cubo di cioccolata ospitava un’agenzia viaggi che esibiva la bandiera con l’alberello verde del Libano e la pubblicità di voli scontati in Medio Oriente, accanto a una rivendita al dettaglio di articoli di bellezza a prezzi da grossista. Erano chiuse entrambe.
Sul lato destro una rampa di scale arrugginite saliva a un ballatoio di cemento, sul quale si affacciavano tre porte color senape bisognose di una rinfrescata di vernice. La prima corrispondeva all’Easy Construction, la seconda a un’azienda dal misterioso nome La Darcy Hair Removal. La terza, l’ultima, era quella della Player’s Management. Nessuna finestra sul lato occidentale. Oppressivo.
Bussò, non ottenne risposta, bussò di nuovo e Balch aprì.
Indossava una tuta di velluto, nera con inserti bianchi, e parve sinceramente sorpreso di vederla. Strano. Impossibile che Ramsey non lo avesse chiamato. Forse era un attore anche lui.
«Salve.» Le offrì una mano fiacca. «Si accomodi. Detective Conners, vero?»
«Connor.»
Le tenne la porta aperta. Petra entrò in un locale dal soffitto basso dal quale si passava in una seconda stanza attraverso una porta in quel momento aperta. Il secondo locale sembrava più grande del primo, disordinato, cumuli di carte sparse sulla moquette verde, scatoloni di cartone. Davanti a sé aveva un divano color oro e una vecchia scrivania di quercia ingombra di altre carte. I tramezzi di finto palissandro dalle venature smaccatamente artefatte erano ricoperti di fotografie, perlopiù in bianco e nero, del tipo di quelle che si vedono in tutte le tintorie della città, di grandi sorrisi aerografati di divi attuali e del passato, autografi inattendibili.
La star in questo caso era una sola. Ramsey cowboy, Ramsey agente di polizia, Ramsey soldato, Ramsey centurione romano. Un’immagine particolarmente ridicola del giovane H. Cart travestito da alieno: tuta di plastica corazzata con pettorali spropositati, antenne gommose che gli spuntavano da una capigliatura cotonata stile anni Sessanta. Niente baffi, grande e luminoso sorriso accattivante. Una passabile somiglianza con Sean Connery. Belloccio, ai suoi tempi.
In una fotografia a colori Ramsey era ritratto qualche decennio più tardi, in elegante giacca sportiva e dolcevita. La posa era da duro, con tanto di 9mm in pugno. Dack Price: The Adjustor.
Forse avrebbe fatto bene a guardare qualche episodio.
Stava per passare nel secondo locale quando notò qualcosa che confermò la sua ipotesi su Balch. In fondo alla parete, seminascosta dalla scrivania. Occupava, non per caso, sarebbe stata pronta a scommettere, un posto marginale nella galleria dei personaggi.
Una foto di Balch sui vent’anni e rotti. Anche lui niente male. Una ventina di chili in meno, capelli stinti dal sole, muscolatura dignitosa, come l’eroe di uno di quei film da spiaggia che andava a vedere per riderci sopra, un Tab Hunter, o un Troy Donahue.
Ma anche da giovane l’assistente di Ramsey mostrava un sorriso servile che avrebbe pregiudicato qualsiasi ambizione di celebrità.
«Antichità», si schermì Balch, un po’ imbarazzato. «Sai di essere vecchio quando non ti riconosci più.»
«Dunque lei recitava?»
«Non proprio. Dovrei togliere quella foto.» La tuta gli andava stretta sul ventre, larga al fondo dei calzoni. Scarpe sportive nuove, bianche. Ora che lo guardava meglio, vedeva che i capelli sottili erano un misto di biondo e bianco, tra i quali s’intravedeva la cute rosea.
«Le verso un caffè?» Le indicò l’altra stanza, fermo sulla porta, in attesa che lei lo precedesse.
«No grazie.» Petra entrò. Finalmente un paio di finestre, ma nascoste da tende di ciniglia del colore di giornali vecchi. Niente illuminazione naturale e la solitaria lampada che Balch aveva acceso sulla scrivania non era di grande aiuto.
Il caos era monumentale, fogli di carta per terra, seggiole in ordine serrato intorno a un altro tavolo di scarso valore, più grande, a forma di L. Registri, prontuari fiscali, prospetti aziendali, moduli. Sul lato corto del tavolo c’era la macchina del caffè, di plastica bianca macchiata di marrone. In un angolo una scatola della Kentucky Fried Chicken, con il coperchio intriso di grasso appoggiato poco distante. Uno scampolo di volatile impanato.
Un rozzo. Forse per quello Ramsey gli aveva assegnato una sede così squallida. O forse in quello consisteva l’essenza della loro relazione.
Tutti quegli anni a fargli da lacchè. Sarebbe riuscita a strappargli qualcosa? Se abitava in un luogo rinomato come Rolling Hills Estates, evidentemente Ramsey retribuiva bene la sua lealtà.
Balch le sgombrò una poltrona, gettando scartoffie in un angolo, e si sedette alla scrivania, intrecciandosi le dita sul ventre. «Dunque come va? Dico l’inchiesta.»
«Va.» Petra sorrise. «Ha qualche informazione che potrebbe essermi d’aiuto, signor Balch?»
«Io? Mi piacerebbe, sa, ancora non l’ho mandata giù.» Spostò la mascella da una parte all’altra. «Lisa era… una cara ragazza. Un caratterino, forse, ma fondamentalmente una gran brava persona.»
«Un caratterino?»
«Senta, so che ha saputo di quella volta che Cart l’ha colpita, quel cancan che hanno fatto in TV, ma è stata una sola volta. Non che lo giustifichi, è stato un brutto sbaglio. Ma Lisa aveva il suo caratterino. Non faceva che stuzzicarlo.»
Cercava di addossare colpe sulla vittima per scagionare il principale? Si rendeva conto che le stava offrendo un movente?
«Dunque aveva la tendenza a criticare il signor Ramsey?»
Balch si toccò la bocca. Gli si erano rimpiccioliti gli occhi. «Non sto dicendo che non andavano d’accordo. Si volevano bene. Dico solo che Lisa sapeva essere… che non mi era difficile immaginare… Ah, lasciamo perdere, che cosa ne so io, sto parlando a vanvera.»
«Riusciva a immaginarla in grado di far perdere veramente le staffe a qualcuno.»
«Chiunque può far uscire dai gangheri un’altra persona. Non c’entra niente con quello che è successo. È evidente che si tratta di un maniaco.»
«Perché dice così, signor Balch?»
«Il modo in cui… in cui l’ha fatto. Da completo fuori di testa.» Si portò la mano alla fronte, se la strofinò, come per cancellare un dolore. «Cart è ancora sconvolto.»
«Da quanto tempo vi conoscete, lei e Cart?»
«Siamo cresciuti insieme, nel nord dello stato di New York, abbiamo frequentato lo stesso liceo e lo stesso college a Syracuse, abbiamo giocato insieme a football. Lui era quarterback, davvero in gamba. L’avevano selezionato per passare al professionismo, ma si strappò i legamenti alla fine dell’ultima stagione con la squadra universitaria.»
«E lei?»
«Guardia.»
Quello che protegge il quarterback.
«Dunque è un’amicizia che dura da molto tempo.»
Balch sorrise. «Secoli. Prima che nascesse lei.»
«Siete venuti a Hollywood insieme?»
«Sì. Dopo la laurea, per una di quelle scorribande che si fanno prima di mettere la testa a posto. E anche per tirar su di morale Cart. Era molto giù per aver perso la possibilità di entrare nell’NFL. Suo padre aveva un negozio di ferramenta e voleva che Cart gli succedesse. Stava meditando di accontentarlo.»
«E lei?»
«Io?» Meravigliato che le interessasse. «Io ero laureato in economia e commercio, avevo qualche offerta da qualche studio, avevo intenzione di sostenere l’esame di stato per diventare commercialista.»
Petra contemplò la stalla in cui aveva insediato il suo ufficio. I contabili non erano proverbiali per la loro organizzazione?
«Allora come mai è finito a recitare?»
Balch si accarezzò i capelli chiari. «Fu una di quelle cose strane. Non proprio come Lana Turner allo Schwab’s… Conosce la storia o è troppo giovane?»
«La conosco», rispose Petra. Gliel’aveva raccontata suo padre. Il viaggio di nozze in California con la sua sposina. Kenneth Connor si era innamorato di L.A., vi aveva visto il sogno dell’antropologo. Guardami adesso, papà. A contarmela con i meno che grandi. A lavorarmi l’Industria.
«Vuol dire che lei e Cart foste scoperti?»
Balch sorrise di nuovo. «Non io, Cart. A raccontarla, sembra una sceneggiatura. Erano gli ultimi giorni, stavamo per ripartire per Syracuse e ci facevamo una birra insieme al Trader Vics, quello al Beverly Hilton. Questo prima che diventasse di proprietà di Merv. Fatto sta che ci avvicina uno sconosciuto e ci dice: ‘È da un po’ che vi tengo d’occhio, voi due giovanotti. Non è che vi andrebbe di recitare in un film?’ E ci dà il suo biglietto da visita. Noi pensiamo che sia un tentativo di truffa, o che magari quello sia un fro… un gay in cerca di compagnia. Ma l’indomani mattina Cart si ritrova il biglietto da visita tra le mani e dice: ‘Ehi, dai, telefoniamo, che ci costa?’ Il fatto è che stavamo per tornare a casa e cominciare a lavorare e ci sembrava stupido perdere l’occasione di qualche avventura. Così si scopre che il tizio era sul serio di un’agenzia di casting. Allora andammo a sostenere un provino e ottenemmo tutt’e due una parte. Ah, niente che valga la pena ricordare, nemmeno in film di serie B, parliamo pure di serie D. Un western. Confezionato appositamente per il circuito dei drive-in nel Sud.»
Balch spostò un po’ di scartoffie senza migliorare minimamente la confusione. «Poi, siccome una cosa tira l’altra, decidemmo di restare a Los Angeles e nell’anno seguente riuscimmo a lavorare ancora un po’, più o meno di straforo, rastrellando giusto quel che bastava per pagare l’affitto. Poi smisero di chiamare me, mentre Cart cominciò a essere chiamato più spesso, per parti migliori. Poi si procurò un agente e cominciò anche a guadagnarci, recitando soprattutto nei western. Io decisi di tornare a casa. Era inverno, quasi Natale, ricordo che pensavo ai miei, già molto in collera perché avevo bighellonato per un anno intero, e mi domandavo come sarebbe stato il cenone.»
«Dunque aveva perso fiducia in Hollywood.»
Balch sorrise. «Non era una questione di fiducia. Non ero adatto, non avevo il talento necessario a sfondare, a me non affidavano mai parti parlate, facevo da riempitivo e basta, passavo in secondo piano, facevo numero nelle scene di folla. Non trovai nessun lavoro come contabile e intanto mi ero giocato tutte le offerte che avevo ricevuto a casa. Ma ero ottimista lo stesso. Fu allora che Cart mi chiese di restare, mi disse che ci saremmo divertiti, avremmo continuato a spassarcela, mi avrebbe trovato qualcosa da fare. E così fu. Mi fece assumere all’amministrazione della Warner Brothers.»
Spalancò le braccia, sorrise di nuovo. «E questa è la storia della mia folgorante carriera nel mondo dello spettacolo.»
«Quando ha cominciato a occuparsi degli affari di Cart?»
«Appena lui prese a guadagnare sul serio. Aveva visto di che cosa erano capaci i manager con pochi scrupoli e voleva qualcuno di cui potersi fidare. All’epoca io lavoravo all’ABC e sapevo qualcosa dell’Industria.»
«Fa da manager a nessun altro?»
Balch cambiò posizione, si lisciò una piega della tuta di velluto. «Qualche favore, niente di più, agevolo la stipulazione di qualche contratto di tanto in tanto, ma gli interessi di Cart mi tengono molto occupato.»
«Dunque se l’è cavata bene.»
«Meritandoselo.»
Parole da autentico scudiero.
«Ed è lei che si occupa dei suoi contratti?»
«Ha un legale per mettere le firme, però la risposta è sì, me ne occupo io.»
«Che cos’altro fa per lui?»
«Gli preparo la dichiarazione dei redditi, sto dietro ai suoi investimenti. Abbiamo diversificato. Immobili, obbligazioni, quello che fanno un po’ tutti. E c’è da amministrare qualche proprietà immobiliare. Il lavoro non mi manca. Nient’altro che posso fare per lei?»
«Esattamente quello che sta facendo», ribatté Petra. «Darmi informazioni di carattere personale.»
«Su Cart?»
«Cart, Lisa, chiunque.»
Come se fossero argomenti che richiedevano grande concentrazione, Balch chiuse gli occhi. Li riaprì. Le sue mani erano ridiscese sul ventre. Un Buddha biondo.
«Cart e Lisa», mormorò. «Una storia molto triste. Aveva preso un’autentica sbandata per lei. Ne era imbarazzato. Per via della differenza d’età. Io gli dicevo che non aveva importanza, che lui era in condizioni fisiche strepitose rispetto a molti suoi coetanei. E Lisa era pazza di lui. Per me ciascuno di loro era la cosa migliore che fosse successa all’altro.» Sul viso paffuto gli si disegnò un’espressione dolente. «Non so nemmeno io cos’è successo. La vita da sposati non è facile.» Gli occhi si riaprirono. «Ci sono già passato due volte, io. Chi può dire che cosa fa cambiare il cuore alla gente.»
Petra estrasse il taccuino e Balch indietreggiò un po’, come se provasse repulsione da quel nuovo aspetto più formale del colloquio. «Se vuole darmi per piacere la scaletta di domenica… quel viaggio a Tahoe e anche dopo il vostro rientro. Cerchi di essere più preciso che può.»
«La scaletta… certo.» Il suo resoconto coincideva con quello di Ramsey e del pilota: a Tahoe solo impegni di lavoro, viaggio di ritorno senza episodi di rilievo, entrambi a nanna prima delle dieci, ginnastica l’indomani mattina, doccia, prima colazione, golf.
Sogni sereni nelle ore in cui Lisa veniva assassinata.
«Va bene, grazie», disse Petra. «A proposito, ero curiosa di sapere perché ha chiamato la sua azienda Player’s Management.»
«Ah», rise Balch. «Un ricordo dei tempi in cui giocavamo a football. Eravamo dilettanti, cercavamo qualcosa che facesse presa. E in cui non comparisse il nome di Cart. L’idea fu mia.»
Petra si domandò se fosse davvero tutto lì. Nell’Industria gli attori erano quelli che reggevano le fila. Il nome rispecchiava forse un sogno di altri tempi?
«Dunque il suo compito è proteggere gli interessi di Cart», riprese. «Che cos’ha fatto dopo che Lisa denunciò pubblicamente quel caso di violenza coniugale?»
«Che cosa avrei potuto inventarmi? Ormai il danno era fatto.»
«Non l’ha invitata a non lavare più i panni sporchi in pubblico?»
«Volevo farlo, ma Cart me lo impedì, disse che era una questione privata e non di lavoro. Io non ero d’accordo.»
«Perché?»
«In questa città certe volte è impossibile separare la vita privata dagli affari. Ma è così che voleva Cart e io mi adeguai.»
Petra sfogliò qualche pagina. «Dunque è lei che paga tutti i conti di Cart.»
«Passano da me, sì.»
«Compresi gli alimenti di Lisa.»
«Già. Questo è un bell’esempio del tipo di persona che è Cart. La richiesta dell’avvocato di Lisa era assurda. Erano sposati da poco più di un anno. Io, che avevo già divorziato due volte, avevo le idee abbastanza chiare su quanto avrebbe accettato Lisa, ma Cart disse che non voleva mercanteggiare. Che le fosse dato quanto aveva stabilito il suo legale.»
Ora corrugò la fronte. Risentimento? Gelosia?
«Dunque è molto generoso», osservò Petra.
«Infatti.» Balch si alzò. «Ora, se non le spiace, è un po’ tardi…»
«Ma certo», lo assecondò Petra, sorridendo e alzandosi a sua volta. Di nuovo Balch attese accanto alla porta e nel passargli vicino lei sentì il suo profumo, acqua di colonia molto fruttata. Mescolata a sudore.
«Ah, un’altra cosa», disse quando fu nell’altra stanza. «La cameriera di Cart. Estrella Flores. Ha idea di dove sia andata?»
«Cart mi ha detto che lo ha lasciato senza preavviso. Bella lealtà, vero? Gli ho trovato un’altra ragazza.»
«Tramite la stessa agenzia?»
«Sì.»
«Ricorda come si chiama?»
«L’agenzia? È di Beverly Hills… Nancy Downey Agency.» Sporse il braccio dal polsino e consultò l’orologio.
«Ho apprezzato molto la sua cortesia, signor Balch», lo ringraziò Petra.
Prima di uscire lanciò un’occhiata alle fotografie. Due giovanotti in posa. Giocatori. Attori. Player’s. Confrontato con le foto, Balch sembrava davvero vecchio.