Negro.
Figurati se lo aveva preso sul serio. Vladimir Zhukanov staccò un bambolotto dalla rastrelliera e ne schiacciò il ventre. Un troll con i capelli biondi, SURF DUDE! stampato sulla maglietta. Trovava insopportabile il sorriso di quel mostriciattolo. Quello originale era stato inventato da uno svedese o danese che fosse. Il suo era opera di pirateria, made in Corea. Zhukanov ne aveva acquistati dieci grosse da un vecchio amico moscovita che lavorava al porto di Long Beach. Cento dollari, niente domande.
Un georgiano di nome Makoshvilli; avevano spaccato teste insieme nell’esercito, disperdendo dimostranti davanti al Cremlino, impartendo lezioni a ebrei e cosmopoliti assortiti.
Faceva entrare i troll negli Stati Uniti un po’ alla volta e s’intascava il contante alla faccia del principale.
Vladimir Zhukanov, sergente della polizia di Mosca, ridotto a trafficare in giocattoli!
L’America, terra di sogni. Per entrarci aveva sostenuto di essere ebreo, aveva pagato una fortuna a un avvocato perché mentisse per lui, si era rintanato in un tugurio di West Hollywood pieno zeppo di giudei e si era arrabattato alla ricerca di una nicchia per sé a Los Angeles. Pochi mesi dopo Eltsin spalancava le porte a tutti, quel bastardo.
Una città di gente nera e marrone. E lui ancora non aveva trovato la sua nicchia. Aveva fatto il tassista, aveva tentato senza successo di vendere i suoi servigi di spaccateste a un giro di falsari di Van Nuys, era riuscito a entrare in un racket che rubava automobili a West Hollywood, ma non era capace di metterle in moto abbastanza in fretta e lo avevano sbattuto fuori. Per qualche tempo aveva lavorato di notte come buttafuori a un club russo sulla Terza Strada, finché una banda di stronzi non gli aveva scassato il naso, cinque contro uno, tutta colpa dei proprietari di quel club, quegli idioti che non gli avevano permesso di fare il suo lavoro armato, e come avevano potuto sostenere che era stata colpa sua?
E adesso era lì a guadagnare cinque dollari l’ora dal sionista proprietario del baracchino. Gli scremava con regolarità almeno il cinque per cento, il giudeo lo sapeva e non gliene importava niente, tanto lui rastrellava da altri venti baracchini in giro per la città, viveva a Hancock Park e comperava brillanti alla moglie dal naso adunco.
Un giorno o l’altro, pensava Zhukanov, vado a casa sua e lo alleggerisco di quei brillanti.
Per ora vendeva giocattoli. Ma ancora per poco, perché la salvezza si era materializzata nella forma di un ragazzino.
Doveva essere lui, aveva sulle spalle la sua esperienza di cacce, sapeva riconoscere l’odore di una preda.
Aveva offerto l’informazione allo sbirro negro, ma quel bastardo non lo aveva preso sul serio. Per forza quella cloaca multietnica era una culla di criminalità. Sbirri neri! Come mettere le volpi a guardia dei pollai.
No, non avrebbe guardato i suoi piani andare all’aria in un modo così stupido. Venticinquemila dollari significavano andarsene da lì, passando magari da casa del principale a soffiargli i brillanti, per poi volarsene a New York, Brighton Beach, Coney Island, tutti posti dove non mancava chi avrebbe saputo apprezzare le sue qualità. Anche se con un gruzzolo come quello avrebbe potuto mettersi in proprio.
Era già un lavoratore autonomo: cacciatore di bambino.
Quanto lontano poteva essere andato il bastardello? Si sentiva sicuro di rivederlo e appena avesse messo la testa fuori, il sergente Zhukanov sarebbe entrato in azione.
Un palpito di ottimismo rischiarò il suo malumore. Un goccio di vodka, magari una cenetta da qualche parte.
A partire dall’indomani avrebbe messo fuori tutte le antenne.