64

Paese degli uomini liberi, patria degli uomini stupidi.

Nel magazzino dietro al baracchino di souvenir, Vladimir Zhukanov finì la vodka e si domandò se fosse stato un coglione a lasciare la Russia.

Almeno lì aveva avuto una divisa, uno scopo. C’era sempre qualcuno da controllare. Ancora di più ora, da quando il capitalismo aveva affondato le sue unghie nella vecchia patria. Le gang stavano prendendo il sopravvento e metà dei gangster erano ex poliziotti. Avrebbe potuto trovarsi qualcosa.

In America non aveva rispettabilità, solo stupidi bambolotti. Quel cretino di sbirro negro che prima lo prendeva sottogamba e poi andava a spifferare le sue informazioni in TV, pezzo di scimmione bastardo.

Segnalazione anonima. Vale a dire che non avevano alcuna intenzione di pagarlo.

Una cosa: dimostrava che aveva visto giusto sul ragazzo. Come se ci fosse stato mai qualche dubbio, con quella fossetta sul mento, proprio come nel disegno. Il graffio in faccia… che cosa ti aspetti da uno che si nasconde nella foresta? Suo padre gli aveva raccontato storie sulle foreste, la guerra. I miliziani che davano la caccia ai giudei d’inverno, nei boschi di betulle. Alberi spogli, cielo plumbeo, la baionetta che affonda nelle carni, macchie cremisi sulla neve.

Segnalazione anonima. La televisione gli aveva fatto sapere che per quei venticinquemila era in gara. Un solo altro concorrente, finora, ma un gran brutto cliente. Un ciccione vestito di pelli puzzolenti che se ne andava su e giù per la promenade con il ritratto del bambino.

Dalla sua postazione al baracchino di souvenir Zhukanov seguiva le mosse del bestione. Avanti e indietro, avanti e indietro, camminando con fatica, il respiro accorciato dalla calura. Sempre più scoglionato via via che le ore passavano e collezionava disinteresse o risposte negative.

La prima volta che si era avvicinato al baracchino, Zhukanov aveva fatto in modo di essere nel retro a esaminare gli incassi della giornata e a calcolare quanto avrebbe potuto scremare senza che il vecchio se ne accorgesse. La seconda volta però, era davanti a contare i troll, per assicurarsi che nessuno avesse scremato lui.

Il bestione gli aveva detto: «Ehi, tu», piazzandogli sotto il naso il ritratto del ragazzo. Zhukanov scosse la testa con la sicurezza di chi non ha la minima intenzione di sprecarci del fiato. Ma l’altro era rimasto lì.

«Non l’hai nemmeno guardato.» Alito putrido. Zhukanov aveva fatto orecchie da mercante e gli aveva mostrato un troll. «Vuole comprare qualcosa?» Con il tono della voce aveva insinuato che non poteva permettersi nemmeno un bambolotto pidocchioso.

Il ciccione aveva cercato di guardarlo storto. Per poco Zhukanov non era scoppiato a ridere. Grande e grosso, ma flaccido. A Mosca, quelli come lui li riduceva in poltiglia anche quando era mezzo ubriaco.

Finalmente se n’era andato. Che imbecille.

Ma lo stesso un rivale. Avrebbe dovuto stare all’erta più che mai.

Ora era buio e tutti i negozi erano chiusi. Erano ancora aperti solo i caffè sul lato nord dell’Ocean Front. E la chiesa ebrea poco più in là, verso sud. Con dentro un branco di vecchi giudei a piagnucolare e complottare, a fare le misteriose porcherie che facevano quando si ritrovavano insieme.

Aveva in tasca i soldi fregati all’incasso, la vodka gli aveva risvegliato i sensi e aveva fame e voglia di femmina e ogni minuto che passava era più incazzato con lo sbirro negro e tutti coloro che cospiravano per privarlo di ciò che gli spettava di diritto.

L’indomani avrebbe telefonato ai giornali e gliel’avrebbe spiattellata lui la verità sulla soffiata anonima, su come i poliziotti beceri non rispettavano i cittadini volenterosi.

No, no, non ancora, così avrebbe attirato ancor più attenzione sulla promenade, si sarebbe fatto piovere addosso altri problemi. Avrebbe concesso al negro una seconda occasione. Come si chiamava, già? Doveva aver messo da qualche parte il biglietto da visita… non in tasca. Forse l’aveva lasciato nel retro.

S’infilò dietro la tenda e cercò nella confusione generale senza trovarlo. Pazienza, avrebbe chiesto in giro, un detective negro senza capelli, qualcuno lo conosceva di certo. Poi due chiacchiere da uomo a uomo. Magari gli avrebbe offerto una fetta dei venticinque. Se non avesse avuto alternative.

E se il negro ancora si fosse rifiutato di collaborare, allora si sarebbe rivolto ai giornali. Anzi, alla televisione. Pescava una di quelle bionde che leggevano le notizie e le raccontava la verità. Metti che qualche grosso produttore sta guardando e dice: «Ehi, questa è una bella idea per un film». Arnold Schwartzenegger, uno sbirro russo, viene in America a mostrare agli stupidi americani come… Non l’avevano già fatto? Gli ricordava qualcosa. Non fa niente. Con i film, quando hai qualcosa di buono, lo rifai.

Pubblicità. Ecco di che cosa aveva bisogno.

Oltre ai soldi, sarebbe stato un eroe per aver cercato di trovare il ragazzo, risolvere un delitto, e invece nessuno gli aveva dato ascolto e…

«Ehi, tu», disse una voce dal baracchino.

Il bestione.

Come aveva fatto a entrare? Poi Zhukanov ricordò di essersi dimenticato di chiudere. Bevve un altro sorso di vodka.

«Ehi! Sei lì dietro?»

Stupido rompicoglioni. Sbarazzatene e vai a trovarti un posto dove mangiare e bere. Zhukanov si infilò il giubbotto Planet Hollywood e si batté le mani sulle tasche. Contante nella destra, coltello nella sinistra. Lama di Taiwan da pochi soldi. Gli serviva per il tratto da compiere a piedi dal baracchino alla macchina, senza contare la 9mm. L’arsenale che custodiva nel retrobottega era composto da una mazza da baseball segata e un tirapugni d’ottone annerito dagli anni, ricevuto in eredità dal padre. Finora aveva dovuto ricorrere solo alla mazza per tenere a bada ragazzini con le dita troppo svelte, ma non si poteva mai dire. La pistola era a casa. Un ferraccio. Si era inceppata e l’aveva lasciata sul tavolo della cucina dove cercava di capire dov’era il guasto.

«Ehi!»

Zhukanov chiuse con il chiavistello la porta sul retro prima di aprire la tenda. Il ciccione se ne stava appoggiato con i gomiti al banco a grattarsi il doppiomento, tutto sudato, con gli occhi gonfi e arrossati. Il profilo della sua mole contro il cielo nero avrebbe forse intimorito qualche turista, ma Zhukanov vedeva solo un quintale di lardo.

«Ehi, fratello, non mi hai sentito?»

Zhukanov non disse niente.

«Senti, amico…»

«Non ti posso aiutare.»

«Come fai a dirlo, se non sai che cosa ti sto chiedendo?»

Zhukanov cominciò ad abbassare la serranda. Il ciccione alzò il braccio e la bloccò.

Zhukanov tirò. Il ciccione resistette. Flaccido, ma tutto quel peso gli dava forza.

«Spostati, trippa», lo apostrofò Zhukanov.

«Vaffanculo, stronzo!»

Quelle parole fecero salire il sangue al volto di Zhukanov. Lo sentiva, bollente come una minestra d’inverno. Gli pulsavano le vene nel collo. Le mani cominciavano a fargli male, strette sulla serranda.

«Vattene», ordinò.

«Ti ho detto che puoi andare a fare in culo. Ho una domanda. Puoi almeno cercare di darmi un cazzo di risposta.»

Zhukanov si zittì di nuovo.

«Niente di particolare, fratello», disse il grassone. «Forse c’è un certo ragazzino che hai visto dopo che sono passato di qui oggi. Mi dici di no e siamo a posto lo stesso. Allora perché rompi?»

La serranda era bloccata. La forza del ciccione irritò Zhukanov. «Vattene», ripeté molto sottovoce.

Il ciccione spinse e la serranda tornò su. Che Zhukanov provasse pure a riabbassarla. Se ne aveva il coraggio.

Il russo tenne duro. Il fetore non era solo nell’alito del ciccione, lo emanava da tutto il corpo. Un mucchio di immondizie ambulante.

«L’hai visto?»

«Vattene, stronzo.»

Ora fu il volto del ciccione ad arrossire. Strabuzzò gli occhi porcini. La saliva gli ribollì agli angoli della bocca. Lo spettacolo che offriva mitigò la collera di Zhukanov, trasformandola in una sensazione calda e confortevole. Cominciava a divertirsi. Rise. «Stupido pezzo di merda», disse.

Il grassone produsse un gorgoglio cupo come una flatulenza e Zhukanov attese il nuovo insulto, pronto a rimbeccarlo, a ridere in faccia al bastardo.

Ma il grassone non disse una parola. Più veloce di quanto avrebbe creduto possibile, allungò la mano enorme e lo afferrò per il collo, trascinandolo contro il banco con un colpo così violento che temette di essersi fratturato qualche costola. Si dibatté inutilmente quasi accecato dal dolore.

L’altra mano del grassone partì a pugno chiuso per un cazzotto da sgretolargli tutte le ossa della faccia. Zhukanov riuscì a schivare il colpo, ma la mano intorno al collo continuava a stringere e, fra i versacci e le imprecazioni del suo avversario, cominciò a sentire di non poter più respirare. L’Ocean Front era deserto, al buio, rimanevano solo le onde, nessuno in giro a vedere quel mostro che lo strangolava a morte… Nessuno oltre ai giudei, a qualche decina di metri da lui, a intonare le loro orazioni da assassini di Cristo. Figurati se lo avrebbero mai aiutato.

Cercò di strapparsi dal collo la mano che lo strozzava, ma le sue erano viscide di sudore, troppo indebolite e anche il braccio del ciccione era unto e non trovò un appiglio. Mentre scivolava annaspando il suo campo di visuale si riduceva a un punticino di luce, vide ancora il volto alterato del grassone e un altro pugno in arrivo.

Uno spasmo di panico gli salvò la faccia, ma il colpo lo raggiunse alla testa, forte abbastanza da fargli tremare il cervello nel cranio. Per qualche istante ancora continuò a gesticolare inutilmente, poi ricordò il coltello, quando stava ormai per perdere conoscenza.

La tasca. Quella anteriore. A sinistra per un’estrazione fulminea, come gli avevano insegnato nelle esercitazioni di corpo a corpo. Il grassone cominciò a scuoterlo più forte, trovando energie nell’espressione di dolore e terrore sul viso di Zhukanov, e non si accorse della mano del russo che scendeva alla tasca.

Zhukanov frugò, lo trovò, lo afferrò troppo in basso. Metallo freddo, una puntura, frugò ancora, finalmente avvertì il tepore del legno.

Spinse la lama dal basso verso l’alto. Poche forze, un affondo labile, non più di una punturina da femminuccia e…

Doveva essere andato a vuoto, perché il ciccione lo stava strangolando ancora, e imprecava… gorgogliava. Poi smise di scuoterlo.

Ora il bastardo non ringhiava più.

Un’espressione di sorpresa. Le labbra tremanti aperte in una minuscola O.

Come a dire: «Oh!»

Dov’era il coltello?

A un tratto la mano che gli stringeva la gola si aprì e un flusso d’aria nella trachea lo fece rantolare e rigurgitare. Finalmente si rese conto che respirava di nuovo, ma la gola gli bruciava come se qualcuno l’avesse usata come imbuto per travasare liscivia.

Il ciccione non era più davanti a lui. Si era accasciato sul banco, con le braccia penzoloni.

Dov’era il coltello?

Scomparso. Perdeva tutto. Doveva essere colpa della vodka.

Poi scorse il lento fluire di liquido rosso da sotto la spalla del bestione. Non un fiotto, non un getto arterioso, solo un pigro colare. Come una di quelle maree d’estate quando le onde si addolciscono.

Lo afferrò per i capelli e gli sollevò il testone.

Aveva ancora il coltello conficcato nel collo, a pochi millimetri dal pomo d’Adamo, inclinato all’ingiù. Recisione diagonale attraverso giugulare, trachea, esofago, ma la forza di gravità risucchiava il sangue all’interno delle cavità corporee.

Panico. E se qualcuno aveva visto?

Come quel ragazzino al Griffith Park, che guardava pensando di essere protetto dalle tenebre.

Ma non c’era nessuno. Solo quell’enorme pezzo di merda defunta e Zhukanov che gli reggeva la testa.

Un cacciatore con un trofeo. Per la prima volta da molto tempo Zhukanov si sentì potente, territoriale, un lupo siberiano.

L’unico inconveniente era rappresentato dalle dimensioni del bastardo che adesso avrebbe dovuto trasportare da qualche parte.

Lasciò ricadere la testa, spense le luci nel baracchino, controllò il taglio alla mano, un graffietto, volteggiò al di là del bancone e scrutò la passeggiata in tutte le direzioni.

La finestra della chiesa dei giudei era una macchia multicolore accesa nel buio, ma nessuno sporco ebreo in strada. Non ancora.

Sfilò il coltello e lo asciugò nel fazzoletto. Poi fece scivolare il cadavere per terra. Pulì il sangue dal bancone e infilò il fazzoletto nella ferita al collo. Dovette compattarlo in una pallina, perché lo squarcio era lungo solo pochi centimetri.

Taglio piccolo ma efficace. Lama di dimensioni modeste. Era stata l’angolazione a favorirlo. Il ciccione era tutto proteso in avanti nel tentativo di strozzarlo, Zhukanov aveva spinto seppure molto debolmente dal basso verso l’alto e tutto a un tratto il peso del suo avversario aveva rovesciato la sua traiettoria, forzando il coltello a penetrargli nella gola e a recidere tutto quello che trovava sul suo passaggio.

Assicuratosi che il tampone fosse ben inserito, Zhukanov prese fiato e si preparò all’impresa più ardua. Madre di Dio, che male aveva al collo. Sentiva che cominciava a gonfiarsi intorno alla scollatura della maglietta e diede uno strattone, strappando l’elastico. Si sentì un po’ meglio, ma gli rimase addosso la sensazione che il grassone lo stesse strangolando.

Un’altra occhiata all’intorno. Buio, silenzio, adesso gli mancava solo che quei vecchi israeliti venissero fuori.

Okay, andiamo.

Afferrò il ciccione per i piedi e cominciò a tirare.

Riuscì a spostarlo di un paio di centimetri e avvertì una fitta terribile nella zona lombare.

Come trascinare un elefante. Flette le ginocchia e riprovò. Un altro avvertimento vertebrale, ma continuò lo stesso, perché non aveva scelta.

Gli ci volle un’eternità per spostarlo di qualche metro perché non fosse più visibile dalla promenade e a quel punto era ridotto a un bagno di sudore, sfiatato, con tutti i muscoli a fuoco.

Poi udì le voci. I giudei che uscivano.

Tirò, trascinò, ansimò, strattonò, trascinò, ansimò, nel disperato tentativo di guadagnare ancora qualche metro. Aveva tolto tutte le tracce di sangue dal bancone?

Tornò indietro di corsa, trovò altre macchie, usò la camicia, spense le luci e abbassò precipitosamente la serranda.

Ora sentiva le loro voci vecchie blaterare più forte.

Aveva trasportato il cadavere fin quasi dietro il baracchino. Si fermò quando i suoi polmoni protestarono. Piegò di nuovo le ginocchia, riprese a tirare.

Strattone, respiro.

Quando raggiunse finalmente il vicolo, sentiva solo lo sciacquio dell’oceano, niente voci. Tutti gli ebrei se ne erano tornati a casa.

Trascinò il cadavere contro le casse per i rifiuti prodotti dal baracchino. Non un cassonetto vero e proprio, perché il vecchio era troppo tirchio. Due casse da imballaggio che certi immigrati clandestini messicani svuotavano tutte le settimane per dieci dollari.

Bene… e adesso?

Mollalo lì, dov’è nascosto abbastanza bene nel buio, vai a prendere la macchina, caricacelo sopra e va a buttarlo in qualche discarica. Dov’era quella utilizzata dagli abitanti di West Hollywood? Angeles Crest Forest, gli pareva. Aveva un’idea solo vaga di dove fosse, ma l’avrebbe trovata.

Un’altra foresta. Se suo padre lo avesse visto ora.

Davide aveva fatto fuori Golia e presto Golia sarebbe finito a marcire in qualche forra.

No, aspetta, prima doveva controllare una terza volta che non ci fossero macchie di sangue, né dentro il baracchino né fuori, né lungo il fianco, dove aveva trascinato quel porco.

Avrebbe preso la macchina, ci avrebbe caricato lo stronzo e lo avrebbe lasciato lì mentre perlustrava per un’ultima volta tutto il baracchino. Avrebbe fatto sparire il coltello, i vestiti che indossava. Anche il tirapugni e la mazza da baseball? No. Non c’era motivo di esagerare. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto collegare lui al ciccione, posto anche che ritrovassero il cadavere?

Solo il sangue, il coltello, i vestiti.

Da sbrigare prima del sorgere del sole.

Gli avrebbe imbrattato tutto il bagagliaio, ma lo avrebbe pulito. Riesaminò il piano fin dall’inizio e concluse che era buono.

Si sgranchì i muscoli, si tastò il collo dove la pelle era indolenzita e calda. Rallenta, adagio, è finita… Perché poi quel bastardo aveva avuto tanta voglia di andare a cacciarsi in un guaio?

Zhukanov lo ringraziò per aver cominciato. Era da quando aveva lasciato Mosca che non si sentiva così bene.

D’accordo, andiamo a prendere la macchina. Compì tre passi e vide apparire una luce.

La porta di servizio della sinagoga si stava aprendo. C’era ancora qualcuno!

Si appiattì contro uno dei cassoni di legno, inciampò nelle gambe del cadavere e per poco non cadde pesantemente a sedere.

Respirò dal naso sforzandosi di non imprecare ad alta voce e guardò il vecchio ebreo che stava uscendo dalla sinagoga. Lo vedeva chiaramente, illuminato dalla luce interna. Basso, grassoccio, con uno di quegli stupidi zuccotti in testa.

L’ebreo allungò un braccio dentro la chiesa e fu di nuovo tutto buio. Ma per non più di un secondo, perché ora il vecchio stava aprendo lo sportello di un’automobile.

Non quello del posto di guida, lo sportello posteriore a sinistra. Qualcuno dentro la macchina si alzò a sedere, scese, si sgranchì. Proprio come aveva fatto lui poco prima.

L’ebreo gli parlò.

Era più basso dell’ebreo. Un bambino.

Nascosto in macchina. Doveva essere il bambino. Se no perché si sarebbe nascosto?

La taglia era quella giusta ed era sdraiato sul sedile posteriore. Chi altri avrebbe potuto essere?

Il bambino montò di nuovo in macchina, si distese, scomparve.

Dunque ecco dov’era andato a cacciarsi. Lo avevano nascosto i giudei. Per forza, venticinquemila dollari. Roba da farli venire nei calzoni.

Vedremo come va a finire.

L’ebreo avviò il motore e accese i fari. Mantenendosi nella zona d’ombra, Zhukanov corse verso l’automobile. L’ebreo cominciò a indietreggiare nel vicolo nel momento in cui il russo arrivava abbastanza vicino da leggere la targa.

Lettere e numeri. Zhukanov recitò mentalmente la formula magica. All’inizio il cervello si rifiutò di collaborare.

Ma il vecchio ebreo lo aiutò impiegando molto tempo per uscire dal vicolo a marcia indietro e fare manovra. Prima che avesse finito, Zhukanov aveva imparato la targa a memoria.

Non c’era tempo di andare a prendere il suo macinino per seguirlo. Avrebbe scritto il numero e chiamato la Motorizzazione. Dare le generalità di un proprietario a uno sconosciuto era illegale, ma lui conosceva un pidocchio di Odessa che lavorava all’ufficio distaccato di Hollywood e che lo avrebbe accontentato per cinquanta dollari.

Visto che cosa gli avrebbe fruttato, era un investimento con i fiocchi.

Загрузка...