Mildred Board avrebbe voluto lavare il pavimento della cucina.
Anni fa non sarebbe trascorso un solo giorno senza che lo passasse. Un’incombenza di un’ora, nell’acqua insaponata fino ai gomiti dalle sei alle sette del mattino. Eccellente occasione per pensare senza la distrazione dello sciacquio o dei movimenti circolari delle filacce sul linoleum giallo.
Dopo che era cominciata l’artrosi, tutto quello sfregare carponi era diventato insostenibile e poteva dirsi fortunata se riusciva a lustrare quel pavimento una volta alla settimana.
Richiedeva attenzione anche il parquet in sala da pranzo. Il legno era scolorito, imbarcato e crepato in più punti, da tempo avrebbe avuto bisogno di un restauro.
Era visibile ogni singolo centimetro di assicelle; la sala da pranzo era vuota, tutti i mobili della padrona erano stati spediti a quei tizi di Sotheby’s a New York.
Avvertì una spiacevole tensione intorno agli occhi. Trasse un respiro e raddrizzò la schiena. «Si fa quel che si può», dichiarò con fermezza. Con fermezza e vigore. Nessuno che la potesse udire. La padrona era di sopra. C’erano tante altre stanze tra loro, tutte chiuse, tutte vuote.
La cucina, con i suoi vecchi mobiletti di ciliegio, i frigoriferi industriali e i tre forni, non avrebbe stonato in un albergo. Restavano stoviglie e posateria nonché il servizio di porcellana prediletto della padrona e qualche pezzo d’argento di valore sentimentale in dispensa. E la magnifica pressa per le lenzuola che quelli di Sotheby’s avevano detto di non aver nessuna speranza di piazzare. Ma gli oggetti veramente belli, i tesori che lui e la padrona avevano comperato in Europa, non c’erano più. Avevano fruttato bene, anche tolte la commissione d’asta e le tasse. Mildred aveva visto l’assegno, sapeva che tutto sarebbe andato per il meglio. Per un po’.
Lei e la padrona non avevano mai discusso la… situazione finanziaria. La padrona continuava a pagarla, aveva voluto assolutamente continuare a versarle il salario intero anche se il Signore sapeva quanto poco lo meritasse: a che cosa serviva in quelle condizioni?
Pensieri negativi. Via, via.
Notò una macchia di umidità sull’armadietto sotto il lavandino, trovò uno straccio, l’asciugò.
C’erano stati tempi in cui la cucina ferveva di attività. Era quando la padrona e lui intrattenevano in continuazione, andirivieni di fornitori, camerieri ansiosi, tegami a fumare, i piani di lavoro in acciaio inossidabile ricoperti di pietanze salate e di dolci. Non ultime fra questi ultimi le torte di Mildred. Di tutto ordinava all’esterno la padrona, ma non le torte, quelle erano di Mildred, in primo luogo la torta di prugne, quella di mele Dorset e quella di frutti di bosco. Le adorava lei, le adorava lui. Tutti le adoravano.
Mildred cucinava e faceva le pulizie nella grande casa da quarantun anni, era arrivata quando la padrona e lui ci vivevano da due. Anche allo chalet a Lake Arrowhead, ma i weekend al lago erano stati solo occasionali, anche quando lui era vivo, e spesso la padrona faceva venire gli operai di una ditta di pulizie a togliere i teli e a manutenzionare i rubinetti.
Erano più di dieci anni che nessuno usava più lo chalet. Nessuno c’era più andato dopo quel terribile fine settimana.
Mildred sospirò e si sprimacciò la capigliatura. Quarantun anni a lucidare l’argenteria, lavare con la schiuma le moquette, pulire quasi cento finestre, anche quelle di vetri colorati che aveva comperato lui e provenivano da una chiesa in Italia. Oh, la padrona le metteva sempre a disposizione un’altra ragazza, ma nessuna resisteva a lungo.
Per i primi dieci anni aveva avuto per compagna Anna Joslyn, quel povero scricciolo arrivato dall’Irlanda. Non del tutto a fuoco, quanto a cervello, ma ottima lavoratrice e forte come una cavalla da riproduzione. Poi quel donnone danese, così chiassoso e con quel seno così volgare. Quella non aveva funzionato affatto. Ah, che errore!
Dopo la danese l’agenzia aveva mandato solo messicane. Brave lavoratrici, per la gran parte, e generalmente oneste, anche se Mildred teneva gli occhi aperti. Alcune parlavano inglese, altre no. Restava comunque un problema loro. Mildred si rifiutava di imparare lo spagnolo, le bastavano inglese e francese, grazie tante. All’orfanotrofio la signorina Hammock aveva puntato tutto su inglese e francese e per ottant’anni le sue diplomate avevano prestato servizio nelle più rinomate famiglie di Gran Bretagna e del Continente.
Le messicane non erano brutta gente, ma erano quelle che duravano di meno. Avevano sempre da correre in Messico per qualche crisi familiare, figli, mariti, fidanzati, Ognissanti… e chi riusciva a tenere a mente tutte quelle festività cattoliche? Mildred avrebbe preferito giovani donne propriamente istruite e timorose di Dio. Ma si fa buon viso…
Sapeva bene dov’era il problema: non c’erano più orfanotrofi. Tutti quei bambini strappati dall’utero o assegnati dall’assistenza sociale a certe incapaci sciattone. Bastava leggere il giornale.
Era finita l’epoca delle ragazze messicane. Non ce n’era più bisogno. Né di loro né di altre.
Mildred aveva settantatré anni e si chiedeva se sarebbe vissuta abbastanza da vedere con i propri occhi il crollo totale di tutto ciò che era razionale e giusto.
Non che si aspettasse di togliere l’incomodo molto presto. Tolta l’artrite, si sentiva in gamba. Ma non si può mai dire. Guarda cos’era successo alla padrona. Una donna così bella, la donna più raffinata che Mildred avesse mai conosciuto sull’una o l’altra sponda dell’oceano. Non una sola parola scortese che fosse mai uscita da quelle labbra, e quanta pazienza, e il Signore sapeva quanto spesso era stata necessaria vivendo con lui.
Guardala adesso… Al solo pensarci, Mildred provò un senso di debolezza agli occhi.
La caffettiera fischiò. Puntuale. Mildred versò il caffè della padrona in una caraffa vittoriana. Estetica un po’ pesante, probabilmente un regalo di qualche ospite a cena. La caraffa bella, la Hester Bateman, non c’era più. Giorgio III, un’annata eccezionale, con tutti i marchi di garanzia e autenticità del caso. L’aveva portata lui a casa di ritorno da uno dei suoi viaggi a Londra, acquistata in un negozio di prima classe in Mount Street. Ora forse qualcuno l’aveva relegata in una vetrinetta. La padrona era dell’idea che gli oggetti preziosi andassero usati. Lei ne aveva fatto il suo bricco della prima colazione.
Fino a quattro anni prima.
Scatoloni di argenteria, quadri, persino gli abiti da sera, tutto imballato come… verdure.
Appena assunta, Mildred aveva avuto paura di toccare i tesori della padrona, non voleva rovinare qualcosa. Già allora sapeva riconoscere la qualità.
E la padrona a quei tempi era giusto una ragazza, ma già così adulta, capace di trovare le parole giuste per metterla a suo agio. Questa è una casa, cara, non un museo.
E gran bella casa gli aveva messo a disposizione.
La luce s’insinuò fra i rami del contorto sicomoro secolare sulla terrazza della prima colazione, filtrò dalla finestra della cucina e si posò sulle mani recalcitranti di Mildred.
Nodose quanto l’albero. Ma il sicomoro buttava germogli verdi tutti gli anni.
Mildred scosse la testa e guardò il pavimento che aveva bisogno di essere lavato. Che distesa. Che locale enorme… Non che l’ultima ragazza le fosse stata d’aiuto. Come si chiamava già? Rosa, Rosita. Assunta da tre mesi e già a fare la cascamorta con uno dei ragazzi del giardiniere. Mildred era stata costretta a richiamare l’agenzia.
Pronto, signor Sanchez.
Salve, signorina Board. Che cosa posso fare per lei oggi?
Allegro, no? Certo, un’altra commissione in vista.
Mildred aveva fissato tre colloqui, poi la padrona gliel’aveva detto.
Ma abbiamo veramente bisogno di qualcun altro, Mildred. Siamo solo tu e io, in fondo usiamo giusto la cucina e le nostre stanze.
Sforzandosi di non farlo sembrare, ma trattenendo le lacrime. Mildred capiva. Aveva imballato l’argenteria e i quadri e i vestiti da sera.
Dunque così era finita. Dopo averlo sopportato per tutti quegli anni, ecco che cosa le lasciava.
Quel suo caratteraccio. Senza dubbio ne aveva affrettato la morte. Pressione alta, l’ictus quando era ancora giovane. Aveva lasciato la padrona sola in quel modo, povera colomba, sebbene l’avesse sistemata economicamente, su questo niente da ridire.
O così Mildred aveva pensato. Poi, quattro anni fa, il cambiamento.
Le camere svuotate e chiuse a chiave.
Niente più giovani messicane.
La cura del giardino che passava da quotidiana a bisettimanale, poi solo settimanale. Infine un rachitico giovincello a lottare contro ottomila metri quadrati di terreno con risultati rapidamente declinanti. I giardini sono come i figli, richiedono un occhio di falco se non vuoi che crescano delinquenti.
L’invidiato giardino della padrona era degradato a una mesta brughiera disordinata, prati a tratti rinsecchiti, pieni di macchie e falciati irregolarmente, siepi non potate che si erano gonfiate in cespugli incolti, alberi carichi di rami morti, aiuole invase dalle erbacce, la vasca dei pesci svuotata.
Mildred ce la metteva tutta, ma le mani la ostacolavano.
La padrona se n’era accorta? Raramente si avventurava fuori ormai. Forse era per quello. Non voleva vedere.
O forse non le importava. Non per via di quel… problema economico.
Perché Mildred era costretta ad ammettere che la padrona era cambiata molto tempo prima.
Quel terribile weekend a Lake Arrowhead. Poi lui. Una tragedia dopo l’altra. Non che la padrona si fosse mai lamentata. Forse sarebbe stato meglio se lo avesse fatto…
L’orologio ferroviario tedesco sopra il congelatore di sinistra suonò. Un altro degli oggetti che quegli individui adenoidei di Sotheby’s avevano rifiutato. Non che Mildred li biasimasse, era orribile. E disgustosamente impreciso. Quando segnava le nove sul quadrante, erano le otto e cinquantatré. Di lì a sette minuti Mildred avrebbe bussato con delicatezza alla camera da letto della padrona. Dall’altra parte delle tavole di mogano avrebbe udito la sua voce: «Entra pure, cara». In camera avrebbe posato il vassoio sul bureau, avrebbe sollevato la padrona a sedersi con convenevoli incoraggianti, avrebbe sprimacciato una montagna di cuscini, sarebbe andata a prendere il tavolino da letto di vimini, lo avrebbe sistemato con cura sul piumino e su di esso avrebbe disposto il servizio secondo le regole. Portatoast d’argento con triangoli extrasottili di pane di frumento appena abbrustolito; il caffè di quella miscela africana macinata al momento dell’acquisto in quel negozietto sull’Huntington Boulevard, ed era pur giusto concedersi un minimo di lusso! Ora decaffeinato, ma accompagnato da panna vera, densa abbastanza da rapprendersi per le focaccine; e che fatica trovarla! La confettura dorata che Mildred preparava ancora a mano, con zucchero di canna macinato fine e le poche arance amare che ancora riusciva a trovare in fondo al frutteto.
L’albero di arance amare stava morendo, ma produceva ancora qualche bel frutto. Se c’era una cosa buona della California era la frutta. A Mildred piaceva ancora passeggiare nel frutteto e cogliere frutti, fingendo che il terreno non fosse duro e accidentato, fingendo che le erbe aromatiche fossero verdi e fragranti, non quell’intrico di stoppie lungo le bordure.
Fingendo di essere ancora ragazza, in Inghilterra, in giro per le campagne dello Yorkshire. Dimenticando volutamente che in certi giorni, quasi tutti, si sentiva l’autostrada di Pasadena.
Frutta e clima. Le sole virtù per cui consigliare la California. Sebbene avesse trascorso la gran parte della sua vita a San Marino, Mildred lo considerava ancora un posto da barbari.
I fatti orribili sul giornale. Quando li giudicava troppo raccapriccianti non lo portava alla padrona con la colazione.
La padrona non le chiedeva giustificazioni. La padrona non leggeva più molto in ogni caso, a parte quei tascabili rosa e le riviste d’arte.
La padrona non faceva più quasi niente.
Nessun problema, sostenevano i dottori, ma che ne sapevano? Aveva sessantasei anni, ma aveva subito tragedie da riempire secoli.
L’orologio della stazione le diceva che aveva solo tre minuti per attraversare la cucina fino al cigolante montacarichi sul retro e salire alla camera della padrona al secondo piano.
Quella mattina all’alba aveva reciso tre rose gialle di quelle senza muffa dalla spinosa grandiflora dietro la casa. Ne aveva ripulito i gambi e le aveva messe in acqua e zucchero. Ora ne scelse una e la posò accanto al piatto coperto con le uova appena strapazzate. Raramente la padrona mangiava uova, ma tentar non nuoce.
Sollevò il vassoio e si avviò a passo svelto e cadenzato.
La cucina non era poi così indecente, tutto considerato.
«Molto bene», disse Mildred a nessuno in particolare.