Stu prese Petra in disparte. «Cart Ramsey. Se è vero.»
«Lei sembra sicura.»
Lui lanciò uno sguardo a Susan Rose che stava riponendo lo stativo sulla sua utilitaria. «Mi dà l’aria di una che si fa, ma mi è sembrata abbastanza convinta.»
«Quando ho visto tanto accanimento, ho pensato subito a qualcuno che la vittima conosceva.»
Stu aggrottò la fronte. «Vado a chiamare subito Schoelkopf. Mi faccio dare qualche dritta. Hai idea di dove abiti Ramsey?»
«No. Pensavo che ce l’avessi tu.»
«Io? Perché… ah!» Il suo sorriso fu a labbra strette. «No, non ho mai lavorato nei suoi episodi. Tu li hai mai visti?»
«Mai. Fa l’investigatore privato, vero?»
«Diciamo piuttosto una squadra di vigilantes in una persona sola. Fa giustizia nei casi in cui i comuni sbirri non ci riescono.»
«Simpatico.»
«Scarso persino per la TV. Ha cominciato su una rete nazionale, l’hanno mollato, è riuscito a proseguire su un’emittente indipendente, poi è riuscito a entrare in un consorzio. Credo che il programma sia di proprietà di Ramsey.» Scosse la testa. «Grazie a Dio non mi hanno mai chiamato a lavorarci.» Piegò le labbra e fece la smorfia di chi si prepara a sputare, mentre si girava per allontanarsi.
«Che cos’è che non va nello show?» chiese lei.
Lui si voltò di nuovo dalla sua parte. «Dialoghi rozzi, trame che non stanno in piedi, nessun approfondimento dei personaggi, Ramsey che non sa recitare. Hai bisogno d’altro? Riempie uno spazio morto nella programmazione serale della domenica, perciò l’emittente deve averlo pagato una miseria.»
«Vale a dire che Ramsey è solo un piccolo miliardario da niente.»
Stu si fece scivolare un pollice lungo una bretella contemplando la sagoma ora coperta del corpo di Lisa Ramsey. «La ex di Ramsey richiamerà gli sciacalli dei media. Mentre io chiamo Schoelkopf, vorresti andare dalla nostra signora Rose a chiederle di tenere la bocca cucita finché i capi non avranno deciso il da farsi?»
Prima che lei potesse rispondere si avviò. Un agente in divisa richiamò la loro attenzione gesticolando e i due investigatori si diressero dall’altra parte del parcheggio.
«Abbiamo trovato questa laggiù», riferì il poliziotto indicando un cespuglio vicino al cancello d’ingresso. «Non l’abbiamo aperta.»
Una borsetta nera di pelle di struzzo.
Uno dei tecnici, un giovane alto di nome Alan Lau, s’infilò i guanti e la perquisì. Portacipria, rossetto, cosmetici MAC, che fecero provare a Petra un brivido freddo nel ventre. Spiccioli, un portafogli nero sempre di struzzo. Dentro il portafogli c’erano carte di credito, alcune delle quali a nome Lisa Ramsey, altre a nome Lisa Boehlinger. Una patente di guida della California con la fotografia di una splendida bionda. Lisa Lee Ramsey. La data di nascita le assegnava ventisette anni d’età. Per statura e peso corrispondeva alla vittima. L’indirizzo indicato era di uno stabile di Doheny Drive, Beverly Hills. Niente banconote.
«Vuotato e buttato», commentò Petra.
«Una rapina o il tentativo di farla passare per tale.»
Stu non parlò. Ripartì verso l’automobile mentre Lau distribuiva il contenuto della borsetta in varie buste di plastica. Petra tornò al cadavere. Ai piedi della vittima, Susan Rose stava applicando il coperchio all’obiettivo della sua fotocamera.
«Ho finito», disse. «Vuole che fotografi qualcos’altro?»
«Magari le colline laggiù», rispose Petra. «Stiamo aspettando i K-9. Dipende da che cosa trovano.»
Susan si strinse nelle spalle. «Io vengo pagata lo stesso.» S’infilò una mano sotto la brutta felpa, ne estrasse una collana e cominciò a giocherellarci.
Pizzicato per chitarra su catenella di metallo. E brava la nostra Connor, investigatrice dall’intuito infallibile!
«Suona?»
Susan superò un momento di confusione. «Ah, questa. No. Il mio ragazzo è in una band.»
«Che genere?»
«Alternativo. Lei è appassionata?»
Petra trattenne il sorriso entro limiti di discrezione e scosse la testa. «Sono stonata.»
Susan annuì. «Io riesco a cantare intonata, ma niente di più.»
«Senta», disse Petra. «Voglio ringraziarla per l’identificazione. Aveva ragione.»
«Certo che avevo ragione. Comunque non è che ci avreste messo molto a scoprire chi era.» La fotografa fece per avviarsi.
«Ancora una cosa, Susan. Dato il personaggio, la situazione è un po’ più delicata. Le saremmo grati se volesse evitare di parlarne finché non avremo stabilito come affrontare la stampa.»
Susan giocherellò con la collana. «D’accordo, ma visto di chi si tratta, lo sapranno tutti prima che riusciate a parlare di ‘uccisione insensata’.»
«Infatti. Abbiamo ben poche carte da giocarci. Il detective Bishop sta parlando ora con i pezzi grossi. Avremo anche bisogno di informare Cart Ramsey. Sa per caso dove abita?»
«Calabasas», rispose Susan.
Petra la fissò.
La fotografa alzò le spalle. «Era in quello show. Una specie di vita morte e miracoli dei ricchi e famosi. Seduto nella Jacuzzi, a bere champagne, a finire qualche colpo di golf. Lei in un costume da bagno di quelli che si usano per i concorsi, non so dove, poi dopo che lui l’aveva pestata, con un occhio nero, un taglio al labbro. Sa, prima e dopo.»
«Una reginetta di bellezza», ricordò Petra.
«Miss Qualcosa. L’hanno mostrata che suonava il sax. E guardi dove l’ha portata il suo talento… Ehi, arrivano i cani.»
Due K-9, uno accompagnato da un pastore tedesco, l’altro da un labrador color cioccolato, ricevettero istruzioni da Stu e cominciarono a risalire il pendio sopra il parcheggio.
Il capitano Schoelkopf partecipava a una riunione al Parker Center, ma Stu riuscì a mettersi in comunicazione con lui. Quando Schoelkopf seppe chi era la vittima, si lasciò andare a una raffica di imprecazioni, concluse con l’ammonimento a non «combinare qualche pasticcio», secondo la traduzione edulcorata di Stu. Dal punto di vista giurisdizionale, Doheny Drive era un mostro a più teste, suddivisa tra i distretti di L.A., Beverly Hills e West Hollywood. Fortuna volle che l’appartamento di Lisa fosse di competenza del dipartimento di Los Angeles, cosicché fu subito inviata una pattuglia della Mobile. Gli agenti trovarono una collaboratrice domestica che fu trattenuta. In mancanza di altri parenti di cui la polizia fosse a conoscenza, il primo incarico assegnato a Stu e Petra era quello di andare a informare l’ex marito.
Intanto osservavano i cani fiutare lungo il pendio, risalendo adagio in direzione di una zona alberata, fitta di cedri, sicomori e pini, appena al di là di alcuni affioramenti rocciosi. Le rocce formavano una specie di fortificazione naturale a metà della salita, ed erano quasi tutte levigate dal tempo e per alcuni tratti incise con graffiti. Il labrador sopravanzava il pastore tedesco, ma entrambi i cani accelerarono all’improvviso puntando su un masso particolare.
Possibile che ci fosse qualcosa? si domandò Petra. Sai che scoperta: quello era il Griffith Park, dovevano esserci migliaia di odori umani da seguire. Per lo stesso motivo sarebbe stato inutile rilevare le impronte dei copertoni nel piazzale, dove l’asfalto era un unico, gigantesco affresco di linee nere.
Presto avrebbero dovuto mettersi in macchina alla volta di Calabasas. Territorio da sceriffo, tanto per aggiungere un’ulteriore complicazione a un quadro già ingarbugliato.
Cart Ramsey. Che razza di nome, doveva essere un nome d’arte. Quello vero era probabilmente qualcosa come Ernie Glutz, che certo non corrispondeva all’immagine di Mister Spaccotutto.
Guardava raramente la TV ma le sembrava di poter dire che Ramsey era in circolazione da parecchi anni. Non era mai entrato nel firmamento delle stelle di prima grandezza, ma era riuscito a lavorare con notevole regolarità.
Un tipo scialbo, lo aveva sempre giudicato. Possibile che fosse capace di tanta brutalità? Ò questa era comune a tutti gli uomini, se risvegliata dalle circostanze giuste?
Suo padre le aveva spiegato una volta che è falso che solo gli esseri umani sappiano trasformarsi in assassini. Uccidono anche gli scimpanzé e altri primati, talvolta per dominare il gruppo, altre volte per nessuna ragione apparente. Dunque l’omicidio efferato era una forma di comportamento aberrante o solo un impulso istintivo dei primati, portato all’estremo?
Riflessioni inconcludenti, buone solo per passare il tempo. Stronzate cerebrali, le classificava suo fratello Bruce. Non era lui il più grande dei maschi Connor, ma era il più grosso, il più forte, il più aggressivo. Ora che era ingegnere elettronico alla NASA in Florida, giudicava voodoo tutto quello che non si poteva misurare con un apparecchio.
Quando aveva finalmente confessato in famiglia di essere diventata poliziotta, Dick, Eric e Glenn erano rimasti esterrefatti, avevano farfugliato le loro congratulazioni e le avevano raccomandato di essere prudente. Bruce le aveva detto: «Bel colpo. Vedi di far fuori qualche cattivo per conto mio».
Da dietro uno dei massi fece capolino l’agente con il pastore tedesco. «È meglio che veniate a dare un’occhiata qui», gridò.
La natura aveva disposto gli affioramenti rocciosi in una U stretta, come una grotta senza fondo. I massi erano alti, alcuni anche due metri e mezzo, e dove si appoggiavano l’uno all’altro la pressione aveva prodotto delle crepe, invisibili dal basso, attraverso le quali Petra vedeva chiaramente il piazzale.
Come dalle feritoie di un castello.
Ottimo punto di osservazione.
E lì c’era stato qualcuno a osservare. Di recente.
Il terreno era ricoperto da un soffice tappeto di foglie. Anche se non era una guardaboschi, riconobbe anche lei la depressione lasciata da un corpo coricato. Poco distante c’era un pezzo di carta gialla stropicciata, semitrasparente e più scura dove aveva raccolto dell’unto.
L’involucro di qualcosa da mangiare. Bruscoli di qualcosa che poteva essere carne trita.
Il cane aveva trovato con il fiuto pezzetti di lattuga da poco appassita tra le foglie secche a pochi centimetri dal cartoccio.
Petra annusò la carta. Salsa chili. Una cenetta messicana?
Poi il pastore tedesco prese ad annusare con vivacità un angolo della U e Stu chiamò uno dei tecnici perché controllasse.
«Probabile che sia liquido organico», disse l’agente cinofilo. «Fa così quando ne sente l’odore.»
Gli investigatori furono raggiunti da Alan Lau. Petra notò che aveva mani nervose.
Qualche minuto dopo ebbero il risultato dell’analisi: «Urina. Su queste foglie».
«Umana?»
«Di uomo o di scimmia antropomorfa», rispose Lau.
«Allora vuol dire che se non è di uno scimpanzé scappato dallo zoo per andare a comperarsi da mangiare al take away messicano», concluse Stu, «possiamo dedurre con sufficiente certezza che è di Homo sapiens.»
Lau inarcò le sopracciglia. «Probabile. Nient’altro?»
«Qualche altro liquido?»
«Sangue?»
«Per esempio, Alan.»
La testa di Lau scattò come se Stu lo avesse schiaffeggiato. «Finora no.»
«Controlla. Per piacere.»
Lau si rimise all’opera. Susan Rose fu chiamata perché scattasse fotografie delle rocce. Petra le disegnò in ogni caso, poi si allontanò nei paraggi.
Nonostante l’intervento massiccio della scienza e della tecnica, fu lei a fare la scoperta successiva.
A pochi passi dalle rocce, dov’era andata a esplorare perché non aveva niente di meglio da fare e i cani erano ripartiti.
Ma si erano lasciati sfuggire una cosa, seminascosta da foglie e aghi di pino. Qualcosa di colorato che spiccava nel verde e nel marrone.
Una macchia di rosso. Sulle prime pensò: ah, altro sangue. Poi si chinò, vide che cos’era e cercò Stu.
Era tornato alla macchina e stava parlando al cellulare, quello minuscolo che gli aveva regalato per Natale il padre, ex chirurgo degli occhi in pensione. Petra chiamò Lau. Il tecnico esaminò la zona circostante e non trovò niente intorno all’oggetto rosso. Susan scattò altre fotografie. Quando se ne furono andati, Petra s’infilò un guanto e raccolse l’oggetto.
Un libro. Voluminoso, pesante, copertina dura, rifoderato in similpelle rossa. Sul dorso c’era il numero di archivio di una biblioteca.
I nostri presidenti: La marcia della storia americana.
Lo aprì. Apparteneva alla biblioteca pubblica di L.A., succursale di Hillhurst, distretto di Los Feliz.
Nella busta, all’interno, c’era ancora la scheda. Poco ricercato. Sette timbri in quattro anni, l’ultimo di nove mesi prima.
Rubato? Derubricato? Sapeva che la biblioteca metteva ogni tanto in vendita partite di libri perché negli anni di stenti della sua vita di artista lei stessa aveva riempito gli scaffali della sua libreria con alcuni pezzi pregiati acquistati nelle svendite.
Sfogliò le pagine. Nessun timbro di derubricazione, ma non significava nulla.
La macchina fotografica mentale di Petra cominciò a scattare. Ritrasse un barbone appassionato di storia degli Stati Uniti, che si era trovato un simpatico angolino dove leggere e mangiare un taco e svuotare il suo serbatoio personale nel vasto palcoscenico della natura. Un posticino isolato dal quale aveva assistito a un omicidio.
Ma non c’erano tracce di unto sul libro, dunque forse non lo si poteva collegare alla persona che si era coricata dietro le rocce a forma di U.
Ma forse il signor Taco era pulito ed educato nel mangiare.
Anche se il libro fosse stato suo, non era in ogni caso rilevante. Nulla indicava che fosse stato in quel nascondiglio nel momento preciso in cui Lisa Ramsey veniva massacrata.
Se non per l’urina. Quella era fresca. Non più di dodici ore, secondo Lau, e il dottor Leavitt aveva stimato l’ora dell’omicidio tra mezzanotte e le quattro.
Un testimone, o l’assassino? Il Mostro delle Montagne nascosto dietro le rocce in attesa della vittima perfetta.
Susan Rose aveva presunto, ed era logico, che il principale indiziato fosse Ramsey, picchiatore di consorti, però non si potevano escludere altre teorie.
Ma che cosa poteva aver portato Lisa Ramsey Boehlinger al Griffith Park in piena notte? E dov’era la sua automobile? L’aveva portata via l’assassino? Possibile che il movente fosse infine proprio la rapina?
Ma una persona così crudele aveva veramente bisogno di un movente?
L’omicidio di un pazzo? Allora perché aveva portato via i soldi? E perché non i gioielli?
I conti non tornavano. Non riusciva a immaginare una donna come Lisa andare al parco da sola a quell’ora, tutta truccata, ingioiellata, con quel vestitino nero.
C’erano gli elementi tipici di un appuntamento galante. Fuori per una bella serata con dirottamento finale al parco. Forse coatto. Perché? Chi? C’era sotto qualcosa di losco?
Una scappatella al parco a comprare droga? Ma c’erano mille modi più facili per ottenerla a Los Angeles.
Un appuntamento con l’assassino? E lui l’aveva portata lì con l’intenzione di ucciderla?
Se Lisa era uscita per una serata in compagnia, forse qualcuno aveva visto la coppia.
Una cosa era certa: se il suo era stato un appuntamento galante, il fortunato non era un vagabondo solitario che leggeva vecchi libri di biblioteca e mangiava taco e pisciava dietro le rocce.
Uno che viveva illegalmente al parco e non sentiva la mancanza dei servizi igienici poteva essere solo un barbone.
Un cavernicolo dei tempi nostri che marca il suo territorio dietro le rocce?
Un punto dal quale avrebbe potuto assistere senza ostacoli all’omicidio.
O forse se l’era fatta addosso per la paura.
Per aver visto.
Per aver guardato da quella feritoia e aver visto.