36

Si fermò a una stazione di servizio, si fece dare dal servizio abbonati il numero della Nancy Downey Agency e telefonò nonostante l’ora tarda. Niente segreteria telefonica. Da trascrivere nell’agenda dell’indomani.

Mentre rientrava in città per il Laurel Canyon, riesaminò il suo colloquio con Balch.

Nessun dato saliente, a parte forse una pista per rintracciare Estrella Flores. E allusioni a dissapori tra Lisa e Ramsey.

Non faceva che stuzzicarlo.

A conferma di quello che le aveva confidato Kelly Sposito sul sarcasmo di Lisa.

Ex maritino impotente; moglie dalla lingua tagliente. Ramsey aveva confessato che Lisa non gli lesinava le sue critiche. Era forse venuto il giorno in cui aveva esagerato?

Fino a che punto Balch era a conoscenza dei fatti? Aveva sentito Ramsey uscire di casa nelle ore piccole della notte? Entrare nel museo di automobili e prendere la Mercedes? O la Jeep?

Fin dove si sarebbe spinta la guardia pur di proteggere il suo quarterback?

Giocatori. Attori. Che cosa era reale, che cosa romanzato?

Era il momento di parlare con il custode che era stato in servizio nella notte di domenica. Già, RanchHaven. Una tenuta così vasta, nel bel mezzo di una zona ad alto rischio di incendi, non poteva non avere un’uscita di sicurezza. In tal caso, c’era un guardiano anche lì? Oppure i residenti avevano modo di allontanarsi da casa senza che il personale di sicurezza lo sapesse?

Troppi punti interrogativi. Non aver interrogato subito il guardiano era stata una trascuratezza da dilettanti. Si sentì come un pittore cieco.

Valeva la pena fare subito una scappata a Calabasas? Era già stata una giornata interminabile e se non si fosse concessa una pausa, non avrebbe dormito e allora, sai che bellezza, si sarebbe ritrovata a rimuginare tutta notte rimbambita dalla stanchezza.

L’indomani mattina il suo identikit sarebbe apparso su tutti i giornali e alla stazione sarebbero cominciate a piovere segnalazioni sul ragazzino del parco, quasi tutte inutili. Pura follia. E c’era qualcosa negli occhi di quel ragazzino che la turbava, erano gli occhi di qualcuno che aveva già visto fin troppo. Preferiva non dover pensare a un undicenne che assiste a un’uccisione come quella.

Pensò a lui. A mangiare da solo al Griffith Park. A leggere. Libri rubati. Commovente, ma non privo di fascino… Basta! Tornatene a casa, E.T. Buttati nella vasca da bagno, mangia un bel sandwich… Oh, Gesù, non poteva andare a casa. L’appuntamento delle otto con Ron Banks! Cosa diavolo le aveva preso di cacciarsi in quella grana?

Attraversò il Sunset controllando l’ora. Le sette e quarantasei. Giusto il tempo di arrivare al Katz’s, altro che darsi una rinfrescata e cambiarsi.

Il povero Ron sarebbe stato costretto ad avere per commensale una vecchia megera.

Pazienza, non era propriamente un appuntamento galante.

Allora che cos’era?

Arrivò a destinazione con tre minuti d’anticipo, lasciò la macchina in un vicino parcheggio a pagamento ed entrò nell’aria fragrante di cucina del Katz’s. L’accolse il sorriso falso di una cameriera bisbetica che ricordava le sue mance da sbirro. Scelse un séparé verso il fondo, ordinò una coca cola e andò in bagno a sciacquarsi.

Davanti a uno specchio inzaccherato di acqua insaponata, si ravviò la pettinatura disapprovando il proprio volto. Decisamente sbattuta. Più pallida del solito, per giunta, e con qualcosa che le piegava la bocca all’ingiù. Qualche dio crudele stava cominciando ad abbozzare le rughe che un giorno vi avrebbe inciso per sempre? Meno male che il completo nero aveva retto.

Quando tornò in sala da pranzo, il bicchiere era sul tavolo e Banks stava entrando. Lo richiamò con la mano.

Lui si sedette sorridendo. «Mi fa piacere rivederti.» Posò le mani e si mise a tamburellare. Poi prese il tovagliolo di carta, lo dispiegò, se lo sistemò sulle ginocchia. Le sue mani erano sempre in movimento.

«Hai trovato molto traffico?» chiese lei.

«Abbastanza.» Sembrava diverso. Uno sconosciuto.

Perché, forse non lo era stato anche prima? Era seduta di fronte a uno sconosciuto, di fronte a uno sconosciuto sulle spine. Guarda quelle mani. Lei seduta lì ad annaspare in mancanza di argomenti di conversazione quando un bagno caldo sarebbe stato un toccasana celestiale.

La cameriera portò una ciotola di striscioline di carne speziata e Petra ne mangiò una, violando fin dal principio le regole del gioco: alito all’aglio. Togliti dalla testa di venirmi troppo vicino. La sua mossa parve rilassare Banks, che gustò una strisciolina a sua volta.

«Ottima», commentò. «Non c’ero mai stato.»

«Si mangia bene.»

«Qualche volta vado al Langer’s sull’Alvarado. Ci sono quelli che finiscono morti ammazzati al MacArthur Park e al Langer’s c’è lo stesso la coda per un pastrami.»

«Ci sono stata», disse Petra. «Adoro mangiare in questi posti.»

«Nessun problema di colesterolo?»

«Un dono di natura», rispose lei. «Quanto al colesterolo», precisò.

Lui rise. Perché le sembrava diverso? Più giovane, persino più adolescenziale di come le era apparso a casa di Ramsey. Nonostante l’abbigliamento più formale, doppiopetto blu, camicia celeste, cravatta bordeaux. Bravo. Lui sì aveva trovato il tempo di prepararsi.

Poi capì dove stava la differenza. Niente baffi. Ricordava un’ombra appena accennata, biondiccia, non il manubrio da bicicletta del suo partner. Ma la loro assenza lo cambiava, gli toglieva qualche anno dalle spalle. Aveva un viso gradevole, un po’ stretto, il naso un po’ fuori assetto, ma gli occhi ben spaziati. Nocciola. Ciglia lunghe. La bocca, ora perfettamente visibile, era morbida, ma senza debolezze. Mani glabre. Pelle giovane. Doveva aver raggiunto la pubertà più tardi della media, si sarebbe conservato bene.

La bocca era leggermente arricciata agli angoli, un sorriso perpetuo che poteva avergli procurato qualche guaio da scolaro: Banks, smettila di sogghignare!

Si accorse che era da un po’ che lo fissava. Si toccò il labbro superiore e inarcò un sopracciglio.

«Li ho tagliati ieri sera», quasi si scusò lui. «Era un esperimento. Alle mie figlie non piacevano, dicevano che gli facevo il solletico. Me li sono rasati davanti a loro. Si sono divertite un mondo.»

«Quante figlie hai?»

«Due. Cinque e sei anni.»

Sapendo che era tipo da averne, gli chiese se le mostrava una fotografia.

«In effetti…» rispose lui, sfilandone un certo numero dal portafogli.

Due bimbe graziose, entrambe brune ma con la pelle chiara e un che di latino. Occhioni castani, lunghi capelli a riccioli, identici vestitini rosa, da bambola. Nessuna somiglianza evidente a Banks, anche se le parve di scorgere una traccia nel sorriso della più piccola.

«Adorabili. Come si chiamano?»

«Quella più grande è Alicia e la piccolina è Beatrix. Noi la chiamiamo Bee, o Honeybee.»

A e B. Uno a cui piaceva l’ordine. Gli restituì le foto e lui vi diede un’occhiata prima di riporle dietro le carte di credito.

Arrivò la cameriera a domandare se erano pronti.

Petra sapeva che cosa voleva, ma consultò il menu per dargli tempo.

La cameriera cominciò a battere il piede. «Posso tornare…»

«No, credo che ci siamo. Io prendo un pastrami con insalata di cavolo. E patatine fritte.»

«E lei?»

«Per me tacchino affumicato su pane tedesco. E insalata di patate.»

«Da bere?»

«Caffè.»

«Le vedi spesso?» s’informò Petra quando furono di nuovo soli.

«Vivono con me.»

«Oh.»

«La mamma è spagnola. Addestra cavalli e insegna a cavalcare. È tornata a lavorare in un luogo di villeggiatura a Maiorca e mi ha ceduto la custodia. Ogni due o tre mesi fa un salto a trovare le bambine. Ancora non ha deciso dove fermarsi a vivere.»

«Dev’essere dura», commentò Petra.

«Lo è. Cerco di spiegare alle bambine che la mamma pensa sempre a loro, che il suo affetto per loro non è cambiato, ma loro capiscono solo quello che sanno, cioè che non c’è. Sì, non è divertente. Le ho appena affidate a una terapeuta. Spero che serva.»

Solitamente i poliziotti si tenevano alla larga da qualunque cosa in odore di psichiatria, a meno che volessero essere esonerati per incompatibilità con gli incarichi di lavoro. La serena ammissione di Banks suscitò il suo interesse.

Lo guardò mangiare un’altra fettina speziata. Mani affusolate. Quella libera continuava a tamburellare. Dita lunghe, ma forti. Unghie impeccabili.

Masticava lentamente. Tutti i suoi gesti sembravano rallentati e meditati. Eccetto le mani. Tutta la tensione filtrava dai polpastrelli. «Era lei che insisteva sempre che dovevo lasciarmi crescere i baffi. La mia ex. Diceva che era muy macho.» Rise. «Così quando se n’è andata, me li sono fatti crescere. Uno psichiatra avrebbe sicuramente qualcosa da dire in proposito. Comunque lei si sta ancora cercando. Spero che si trovi presto.»

«Quanto tempo è passato?»

«La sentenza del tribunale è di poco più di un anno fa. Ora riesco a dispiacermi per lei, a vederla come una persona con problemi seri, ma… Oh, a proposito, ho sentito lo sceriffo di Carpenteria e mi ha detto che nemmeno lì Lisa Ramsey ha mai sporto denuncia per percosse contro il marito. Non è mai stato chiesto un intervento della polizia a casa loro.»

Brusco cambio di rotta. Lui se ne rese conto e arrossì e Petra si sforzò di soccorrerlo.

Il problema fu risolto dalla cameriera che venne a posare il caffè con un gesto così violento da versarne nel piattino. «Le vostre ordinazioni sono quasi pronte», latrò.

«Grazie di aver controllato, Ron», disse Petra quando la cameriera si fu allontanata.

«Era il minimo.»

Si occuparono in silenzio di tazza e bicchiere. Il ristorante era quasi al completo, affollato della solita ressa di anziani sorbitori di minestre e depressi della generazione X desiderosi di far vedere che non avevano paura di rimpinzarsi di grassi. Al banco, i cuochi affettavano e incartavano e si scambiavano battute, in un’atmosfera che si andava saturando degli aromi di aringa e carni affumicate e ripiene, mentre dalla cucina arrivavano su carrelli di metallo forme fresche di pane di segale.

Improvvisamente Petra ebbe appetito e si sentì un po’ più rilassata.

«E tu?» chiese Banks. «Sei mai stata sposata?»

«Divorziata da due anni e mezzo, niente figli.» Facendo fuori anche quella prima che fosse lui a domandarglielo. «Dunque sono sempre con te. Dev’essere un bell’impegno.»

«Mi aiuta mia madre. Le va a prendere a scuola e mi fa da baby sitter quando devo lavorare fino a tardi. Sono delle gran brave bambine, buone, intelligenti, amanti dello sport. Alicia gioca a calcio e si mangia in insalata parecchi maschietti. Le preferenze di Bee non si sono ancora capite, però è molto coordinata.»

Il papà sportivo. Suo padre aveva percorso la stessa strada con tutti e cinque i figli. Football per i maschi, softball per lei. Tutte le domeniche in qualche orribile divisa. Aveva vissuto male l’esperienza sportiva, aveva finto entusiasmo per far contento lui, aveva subito soffrendo per tre estati. Anni più tardi lui le aveva confidato di aver accettato con profondo sollievo la sua decisione di smettere: aveva bisogno impellente di un po’ di tempo libero durante i fine settimana.

Un padre single. Era per quello che aveva accettato l’invito di Banks?

Le sembrava così vulnerabile. Come mai era diventato poliziotto? Glielo domandò.

«Mio padre era pompiere. Avevo da scegliere tra seguire le sue orme o entrare nella polizia. Non avrei considerato nessun’altra alternativa.»

«Non vorrei sembrare sciovinista, ma perché nell’ufficio di uno sceriffo e non al dipartimento?»

Lui fece un sorriso sornione. «Volevo fare vero lavoro di polizia», rispose. «No, parlando seriamente, Lulu, cioè la mia ex, aveva intenzione di aprire una scuola equestre tutta sua, un giorno o l’altro, così avevamo messo in conto di non vivere in una città e chiesi di entrare in un ufficio di sceriffo. E tu?»

Petra gli rese una versione molto succinta della sua transizione da artista a detective.

«Dipingi?» si meravigliò lui. «Beatrix ha una vena artistica. O almeno così sembra a me. Sua mamma aveva cercato di fare vasi. A casa ho ancora la ruota. Non la usa nessuno… Per caso la vuoi tu?»

«No grazie, Ron.»

«Sicura? Mi sembra così sprecata.»

«Sei gentile a offrirmela, ma io mi limito a dipingere.»

«D’accordo. Che genere di cose dipingi?»

«Qualsiasi cosa.»

«E lo hai fatto davvero come professione.»

«Non cerco di sostenere che ero un Rembrandt.»

«Però devi essere stata brava.»

Petra gli fornì un resoconto dei suoi giorni di grafica pubblicitaria e mentre la sua lingua lavorava, il suo cervello pensava: ma che bellezza, ciascuno dei due che sposta il centro del discorso sull’altro. Nel suo caso personale come arma di difesa, ma per Banks sembrava diverso, lui sembrava veramente interessato. L’opposto di Nick. Tutti gli altri uomini con cui era uscita dopo Nick… artisti e poi sbirri. Anche quando parlavano di te, era sempre e solo una via traversa per tornare a me me me.

Quello sembrava appartenere a un’altra categoria. O era una pia illusione?

Concluse la sua recita con: «Come ho detto, poca cosa».

«Resta il fatto che è sempre difficile guadagnarsi da vivere con un’attività creativa», insisté lui. «Io avevo uno zio che faceva sculture. Non ne ha mai cavato un centesimo. Ah, ecco che arriva. Ehi, che porzioni!»

Mangiò adagio, impedendo così a Petra di ingozzarsi. Influenza positiva, detective Banks.

Tra un boccone e l’altro, chiacchierarono di lavoro. Temi asettici: premi, contributi, assicurazioni, le lagnanze di sempre, confronti tra la burocrazia delle divise blu e quella delle divise beige, commenti sagaci sulle competizioni sportive tra le forze dell’ordine. Trovarono più punti in comune che differenze. Petra notò che non aveva portato la pistola.

Quand’ebbero finito i sandwich, ordinarono entrambi torta di mele à la mode. Petra fu la prima a finire e cercò distrattamente di pizzicare briciole con i rebbi della forchetta.

«Ti piace mangiare», osservò Banks. «Grazie al cielo.»

La forchetta rimase a mezz’aria. La posò.

Lui arrossì di nuovo. «Io… senza offesa… cioè, mi prende bene. Sul serio. Senza dubbio non si vede… almeno per quanto posso dire io…» Scosse la testa. «Oh, Madonna, non sono proprio capace.»

Lei si ritrovò a ridere. «Sei stato bravissimo, Ron. Sì, godo di un sano appetito quando mi ricordo di sedermi da qualche parte a mangiare.»

Lui continuò a scuotere la testa, si pulì la bocca con il tovagliolo, lo ripiegò con cura e lo sistemò di fianco al piatto. «Tutte le volte che mi metto a farfugliare, ti prego di prenderlo come un complimento.»

«Fatto», promise lei. «Stai dicendo che apprezzare il cibo è un atteggiamento sano.»

«Ecco, è quello che intendevo. Ci sono tante ragazze oggi che hanno un’autentica fobia del cibo. Io ci penso perché ho delle figlie. La mia ex era fissata con questa storia che dovevano essere magre…» S’interruppe di nuovo. «Non molto galante continuare a tirarla in ballo.»

«Ehi, è stata una parte importante della tua vita. È normale.» Lasciando intendere che lo stesso aveva fatto lei con Nick. Ma così non era. Di lui non parlava con nessuno.

«Era», corresse lui. «Al passato.» Levò la mano e tagliò l’aria in verticale. «Dunque… come va l’inchiesta?»

«Non molto brillante.» Gliene parlò senza entrare nei particolari. Prendendolo in simpatia, ma senza scordare che non era un uomo del dipartimento.

«Brutta situazione», commentò lui. «Quando si mette così, con la pubblicità fra i piedi, non si riesce a lavorare a dovere.»

«A te è successo?»

«Ogni tanto.» Toccò il tovagliolo, guardò altrove. Anche diffidente?

«Ogni tanto?» ripeté Petra.

«Sai anche tu come va a noialtri poliziotti di campagna, a rincorrere i ladri di cavalli, a proteggere i pony express.»

«Ah», lo rintuzzò Petra. «Qualcosa di cui ho sentito?»

«Be’», rispose lui, «io e Hector abbiamo lavorato un po’ a quella storia della contea di Gen.»

Un caso clamoroso di tre anni prima. Uno psicopatico dissezionava infermiere all’ospedale di contea. Quattro vittime in tre mesi. Risultò che era un inserviente che aveva scontato una pena detentiva per violenza carnale. Era riuscito a farsi assumere dando un’identità falsa ed era stato assegnato proprio ai reparti di chirurgia. Prima che fosse preso, le infermiere avevano minacciato uno sciopero.

«Toccò a voi?»

«A me e Hector.»

«Posso dire che sono impressionata?»

«Credimi, non ci sono voluti colpi di genio», minimizzò lui. «Tutto indicava qualcuno dell’ospedale. È stato solo un lavoro di spulcio, controllare cartellini di presenza, eliminare tutti i negativi finché non fosse rimasto solo il positivo.»

Petra ricordava la frustrazione femminista, i tamtam della stampa… Ma all’inizio non c’era stata una task force? «Ci avete lavorato fin da subito?»

Lui arrossì di nuovo. «No, ci chiamarono dopo qualche mese.»

«Dunque siete i soccorsi.»

«Qualche volta», rispose lui. «E qualche volta vengono in soccorso a noi. Sai come va.»

Quello che sapeva lei era che quello del dissezionatore di Gen era stato un caso importante e che lui aveva partecipato alla squadra di soccorso. Segugio di razza. E lo sceriffo aveva scelto proprio lui per la visita di notifica a Ramsey?

Perché era così schivo in proposito? Modestia? O lo avevano mandato per carpirle qualche informazione?

«Nessuna idea su Ramsey?» gli domandò.

«Come ho detto a casa sua, mi ha fatto squillare un campanello, ma non sono dotato di molto orecchio.» Sorrise. «Io vado forte con i cartellini di presenza.»

Lei ricambiò il sorriso. Lui tamburellò sul tavolo. Si passò il dito dove non aveva più i baffi. La cameriera gli consegnò il conto e, malgrado le proteste di Petra, volle assolutamente pagare. «Ehi, se devi sopportarmi, meriti un sandwich.»

«Non ho dovuto sopportare niente», rispose lei meccanicamente.

Ron l’accompagnò alla macchina. La serata era tiepida. C’erano ancora pedoni in Fairfax e dall’altra parte della strada il giornalaio era affollato di spigolatori. Gli aromi gastronomici del Katz’s li seguirono fuori. Lui non camminò standole vicino, diede l’impressione di evitarlo volutamente.

«Allora», disse quando raggiunsero la Ford. «È stato molto bello. Io… c’è magari qualche posto dove vorresti andare? Se non sei troppo stanca, voglio dire. Magari a sentire della musica. Ti piace la musica?»

«Sono un po’ cotta, Ron.»

L’espressione avvilita che gli vide comparire in faccia le rivelò che la serata era personale, niente a che vedere con il caso, e provò rimorso per aver sospettato di lui.

«Certo, certo. Per forza.»

Le porse la mano e lei gliela strinse. «Grazie, Petra. È stato davvero molto piacevole.»

C’era mai stato altro uomo che l’avesse ringraziata solo per avergli dedicato del tempo? «Sono io che ringrazio te, Ron.»

Lui s’inclinò in avanti, come per baciarla, poi oscillò all’indietro, abbozzò una specie di saluto militaresco e si girò infilandosi le mani in tasca.

«Che musica ti piace?» chiese lei. Aveva in mente il country. Country tradizionale.

Lui si fermò, si girò di nuovo, si strinse nelle spalle. «Soprattutto rock. Roba vecchia, blues, Steve Miller, Doobie Brothers. È un genere che una volta suonavo in una band.»

«Davvero?» Petra soffocò una risatina. «Avevi i capelli lunghi?»

«Abbastanza», confessò lui tornando indietro. «Non mi fraintendere, non eravamo professionisti. Si faceva qualche club, si suonava al Whiskey. È lì che ho conosciuto mia…» Si sbatté la mano sulla bocca.

«Certo», rise Petra. «E non solo lei, vero? Se ne conoscono a bizzeffe, giusto? È per questo che sei entrato in una band. Aspetta che indovino io… batteria.» Quelle mani sempre in movimento.

«Hai fatto centro.»

«Perché sono sempre i batteristi a farsi le ragazze, vero?»

«Non è a me che devi chiederlo», sviò lui. «Io ero sempre troppo occupato a tenere il tempo.»

«Suoni ancora?»

«Ho smesso da anni. Ho ancora la vecchia batteria che arrugginisce nel box.»

Insieme con la ruota per il lavoro di ceramica, le bici, mucchi di vecchi giocattoli, l’attrezzatura per neonati, Dio solo sapeva che cos’altro. Petra s’immaginò una casa piccola piena di mobili Levitz. Un po’ diversa dalla fattoria con annesse scuderie rimasta nel mondo dei sogni.

«Dunque dove vai ad ascoltare musica?»

«Di solito andavo al Country Club a Reseda. Non è affatto un locale country, suonano rock.»

«Lo conosco.»

«Oh, scusa.»

«E da questa parte della collina?»

«Non saprei», rispose lui. «Non è che esco molto.» Quell’ammissione lo imbarazzò. Consultò l’orologio.

«Ti aspettano a casa?» chiese lei.

«No, a quest’ora dormono. Ho telefonato prima di uscire. C’è mia madre. Volevo solo dare un colpo, sentire se è tutto a posto.»

«Puoi chiamare da casa mia», propose lei. «Sto qui vicino.»

Pensò: ha detto a sua madre che avrebbe fatto tardi. Grandi progetti o cieco ottimismo?

Per qualche ragione non le importava.


Mentre Ron parlava con sua madre, lei si rinfrescò il trucco. Per fortuna l’appartamento era in uno stato decoroso. Ci passava solo per dormire da quando era cominciata l’inchiesta. Lo invitò a togliersi la giacca. In cucina, in piedi, bevvero un bicchiere di vino rosso a testa. Lui si complimentò per l’arredamento. Cedendo alle sue insistenze, lei gli mostrò i suoi lavori. Non quelli in corso d’opera, ma il suo vecchio portfolio, fotografie a colori dei quadri che aveva venduto tramite la galleria.

Lui ne fu colpito. Non cercò di toccarla.

Si trasferirono in soggiorno e passarono in rassegna la sua piccola collezione di CD, cercando di trovare qualcosa che possedessero entrambi e dovendosi rassegnare al solo Derek and the Dominos di Eric Clapton.

Seduti sul divano a mezzo metro di distanza l’uno dall’altro, ascoltarono qualche brano, poi la mano di lui si avvicinò a quella di lei e si fermò a quindici centimetri. Coprì lei l’altra metà della distanza e le loro dita si sfiorarono, si intrecciarono.

Mani sudate, ma nessuno dei due osò asciugarla. Lei sentì che gli stava stringendo troppo forte le nocche e allentò la pressione.

Il respiro di lui si fece un po’ affannato, ma non si mosse.

Durante Bell Bottom Blues lui inclinò la testa verso quella di lei e si baciarono.

A bocca chiusa, aglio per entrambi, per un tempo che sembrò prolungarsi oltre misura, poi un’ampia, aperta esplorazione piena di tintinnare di denti e viluppi di lingue, mani dietro la nuca, labbra morbide… le sue labbra erano molto morbide davvero; si rallegrò che avesse eliminato i baffi. Quando si separarono, erano tutt’e due senza fiato.

Lui era pronto a continuare, ma il desiderio nei suoi occhi spaventò Petra, che si ritrasse. Ascoltarono il resto della canzone immobili, tenendosi di nuovo per mano. Lei era bagnata, le dolevano i capezzoli, il suo corpo esigeva amore, ma lei non lo voleva, non con lui, non ora. Un’altra canzone e si alzò per andare in bagno. Quando tornò lui era in piedi con la giacca addosso.

Lei si sedette di nuovo, un invito, ma lui rimase in piedi, davanti a lei, abbassò la mano a toccarle i capelli, la guancia, il mento. Lei alzò gli occhi, vide i suoi denti inferiori che pizzicavano il labbro superiore.

Ora tremava e se lui avesse provato di nuovo, chissà che cosa sarebbe successo?

Lui rimase dov’era.

Lei si alzò, lo prese sottobraccio e lo accompagnò alla porta.

«Mi piacerebbe davvero vederti di nuovo», mormorò lui.

Più sicurezza nella voce, ma ancora incertezza.

«Anche a me.»


Mezz’ora dopo, sola nel suo letto, nuda, dopo essersi toccata e dopo aver fatto un bagno, con la televisione che blaterava nell’oscurità, pensò a tutto quello che doveva fare l’indomani mattina.

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