Raccolgo la mia roba del Posto Due in tre strati di cellophane della tintoria e attacco la salita dietro le rocce, negli alberi. Scivolo e casco parecchio perché ho paura di accendere la torcia, ma non importa, basta andar via da qui.
Lo zoo è lontanissimo, mi ci vorrà un sacco.
Cammino come una macchina che non può farsi male, e penso a quello che ha fatto a lei. Non va. Devo togliermelo dalla testa.
Quando ero a Watson, dopo qualche guaio con Moron o una giornata brutta, usavo degli elenchi per tenere la mente occupata. Certe volte funzionava.
Prendiamo i presidenti. In ordine di elezione: Washington, Adams, Jefferson, Madison, Monroe, Quincy Adams, Jackson, Martin Van Buren… il presidente più piccolino.
Accidenti, ecco che finisco di nuovo per terra, in ginocchio. Mi alzo. Vado avanti.
A Watson avevo un libro sui presidenti pubblicato dalla Biblioteca del Congresso su carta pesante e con foto bellissime e il vero sigillo presidenziale in copertina. L’avevo ricevuto in quarta per aver vinto la gara d’ortografia, l’avevo letto cinquecento volte, cercando di tornare indietro nel tempo, di immaginarmi che effetto faceva essere George Washington, a capo di un Paese nuovo di zecca, o Thomas Jefferson, un genio come pochi, uno che inventava le cose, scriveva con cinque penne contemporaneamente.
Anche come poteva essere per Martin Van Buren, così basso ma lo stesso capo di tutti.
I libri sono diventati un problema quando è arrivato Moron. Non gli andava di vedermi leggere, specialmente quando il suo chopper era guasto o la mamma non aveva soldi da dargli.
Quel cazzetto con i suoi libri del cazzo, crede di essere il più intelligente di tutti.
Arrivato lui, dovevo star seduto in cucina quando si piazzava sul mio divano letto a guardare la TV con la mamma. Un giorno che io stavo cercando di fare i compiti è entrato nel trailer ubriaco fradicio. L’ho capito dagli occhi e da come girava in tondo aprendo e chiudendo i pugni, e faceva quel suo verso come un cane che ringhia. Il compito era facile, algebra di base. La signora Annison non mi aveva creduto quando le avevo detto che lo sapevo già e continuava a darmi sempre lo stesso compito come a tutti gli altri della mia classe. Stavo risolvendo i problemi alla svelta e avevo quasi finito quando Moron ha preso dal frigo un contenitore pieno di passato di fagioli e ha cominciato a mangiarlo con le mani. Io l’ho guardato, ma per non più di un secondo. Lui mi ha preso per i capelli e mi ha sbattuto il libro di matematica sulle dita. Poi ha afferrato un po’ dei miei quaderni e libri di testo e li ha strappati tutti, anche il libro di matematica, Pensare con i numeri.
Ha gridato: «A fare in culo questa merda!» e ha buttato i pezzi nella spazzatura. «Alza un po’ quel culo del cazzo, piccolo frocio, vedi di fare qualcosa di utile…»
Avevo i capelli che mi puzzavano di fagioli e il giorno dopo, mentre raccontavo alla signora Annison che avevo perso il libro, tenevo la mano nascosta nella tasca, perché era così gonfia che non potevo muovere le dita. Lei era alla sua cattedra, a mangiare noccioline e a mettere i voti e non ha nemmeno alzato la testa, ha detto solo: «Be’, Billy, mi sa che dovrai comprarne un altro».
Non potevo chiedere i soldi a mamma così non ho mai avuto un altro libro, non ho più potuto fare i compiti e i miei voti di matematica hanno cominciato a peggiorare. Continuavo a pensare che la signora Annison o qualcun altro si sarebbe incuriosito, invece niente.
Un’altra volta Moron mi ha stracciato la raccolta che avevo messo insieme con roba di altre persone e quasi tutti i miei libri non di scuola, anche quello dei presidenti. Una delle prime cose che ho cercato quando finalmente ho trovato la biblioteca di Hillhurst Avenue è stato un altro libro sui presidenti. L’ho trovato ma era diverso. La carta non era così pesante, le foto solo in bianco e nero. Però era interessante lo stesso. Ho scoperto che William Henry Harrison prese il raffreddore subito dopo essere stato eletto e morì.
Scalognato, il primo William presidente.
Sta funzionando, la testa va meglio. Ma nel cuore e nello stomaco è come se stesse bruciando tutto. Ancora: Taylor, Fillmore, Pierce… James Buchanan, l’unico presidente che non si è mai sposato, forse si sentiva solo alla Casa Bianca, anche se credo che avesse abbastanza da fare. Forse gli piaceva star solo. È una cosa che capisco.
Lincoln. Johnson, Grant, McKinley.
Un altro William presidente. Chissà se qualcuno lo chiamava Billy. A giudicare dal suo ritratto, calvo e con gli occhi cattivi, io non credo.
Nessuno ha mai chiamato me William, solo gli insegnanti il primo giorno di scuola, poi anche loro passavano a Billy, perché tutti i bambini ridevano di William.
Billy Capretto, il Capretto Billy.
È un nome qualsiasi, non ha niente di speciale, ma sempre meglio di altri che mi hanno rifilato.
Ops! Inciampo ma non cado. Il Posto Cinque è ancora lontano. Fa caldo, vorrei togliermi questi vestiti che puzzano di piscio e correre nudo tra gli alberi, come un animale selvaggio e forte che sa dove sta andando… Respirerò dieci volte per rinfrescare il cuore.
…Meglio. Altre liste: pesci tropicali: platy, portaspada, neon nero, guppy, pesce angelo, oscar, pescegatto corazzato, barbo tigre, arowana. Io non ho mai avuto un acquario, ma nella mia collezione avevo dei vecchi numeri della Tropical Fish Hobbyist e quelle figure mi riempivano la testa di colori.
Sulle pagine c’era scritto e riscritto che bisogna stare attenti a preparare un acquario, sapere bene che cosa si sta facendo. Se sono abbastanza grandi, oscar e arowana si mangiano tutti gli altri e se gli arowana diventano grossi grossi, cercano di mangiarsi gli oscar. I pesci rossi sono i più tranquilli, ma sono anche i più lenti e finiscono sempre mangiati.
Mi brucia ancora lo stomaco, come se avessi qualcuno dentro che mi morde… Respira… Animali del parco: uccelli, lucertole, scoiattoli, anche bisce. Io faccio finta di non vederle.
Lo stesso che con le persone.
Certe volte di notte vedi dei vagabondi mezzo matti con i loro carrelli pieni di roba varia, ma non restano mai molto. Anche i messicani in macchine basse che suonano la musica molto forte. Se si fermano, è dove ci sono i treni. Tossici, naturalmente, perché questa è Hollywood. Li ho visti arrivare, sedersi ai tavoli da picnic come per mettersi a mangiare, poi si legano il braccio, ficcano l’ago e fissano il nulla.
Quando la roba entra veramente nel sangue, sospirano e ciondolano e si addormentano e sembrano persone normali che schiacciano un pisolino.
A volte ci sono coppiette che si fermano ai bordi del parcheggio, anche coppiette gay. A chiacchierare, pomiciare, fumare… Le sigarette in lontananza sono come stelline arancione.
Tutti che se la spassano.
Come pensavo che volessero fare anche loro, prima.
C’è sempre qualcuno che taglia il recinto e i ranger ci mettono settimane a ripararlo. Gli sbirri stanno un po’ lontani, perché questo è territorio dei sorveglianti del parco. Il parco è enorme. Alla biblioteca ho trovato un libro dov’era scritto che è di millecinquecento ettari. Diceva anche che il parco è nato in un modo strano: un pazzoide di nome colonnello Griffith aveva cercato di ammazzare la moglie e aveva regalato il terreno alla città così in cambio non finiva in prigione.
Allora forse quello è un brutto posto per le donne…
Un ettaro sono diecimila metri quadrati, perciò stiamo parlando di spazi spaziali. Gigadontico. Se non lo so io, che mi sono fatto quasi tutto il parco a piedi.
Anche i ranger certe volte si fermano a fumare e parlare. Qualche settimana fa, poco dopo mezzanotte, in uno degli spiazzi da picnic si sono fermati due ranger, un uomo e una donna, sono scesi, si sono seduti sul cofano della macchina e hanno cominciato a chiacchierare e ridere. Poi si sono baciati. Ho sentito il loro respiro che era sempre più veloce, ho sentito lei che faceva «mmm» e ho pensato che ancora poco e ci avrebbero dato. Poi lei ha tirato via la testa e ha detto: «Basta, Burt, dai. Ci manca solo che qualcuno ci veda».
Al momento Burt è rimasto zitto. Poi: «Ah, guastafeste». Ma rideva e allora si è messa a ridere anche lei, si sono baciati ancora un po’ e si sono frugati qualche minuto ancora prima di risalire in macchina e andare via. Io dico che non si sono dimenticati che avevano voglia di fare un po’ di sesso, probabilmente hanno aspettato di finire il lavoro per andare a farlo da qualche altra parte. Forse a casa di lui o di lei o in uno di quei motel sul boulevard dove si pagano le camere a ore e ci sono le puttane che aspettano sul marciapiede davanti alla porta.
Adesso io sto alla larga da quei motel, ma già appena ero arrivato qui una cicciona nera con gli short coloratissimi e una maglietta nera tutta bucherellata con niente sotto, ha cercato di attirarmi.
«Vieni qui, cucciolotto», continuava a dirmi. Poi ha tirato su la maglietta e mi ha mostrato una gigantesca tetta nera. Aveva il capezzolo bitorzoluto, grosso e viola come una prugna fresca. Io sono scappato e le sue risate mi sono corse dietro come un cane con una gallina.
Però mi ha fatto un po’ piacere che secondo lei io potevo farlo. Anche se sapevo che probabilmente mi prendeva in giro. Ricordo quel capezzolo, lei che me lo porgeva come a dire, dai, prendi, ciuccia. Aveva la bocca spalancata e i suoi denti erano enormi e bianchi.
Io dico che era tutto uno scherzo, ma magari aveva tanto bisogno di soldi che era pronta a farlo con tutti. Quasi tutte le puttane si fanno, o di ero o di crack.
Il modo che avevano di ridere quei due ranger era un po’ come rideva lei.
Chissà se risata sessuale è una cosa che si può dire.
Essere trattato da bambino può essere un bene o un male. Quando entri in un negozio con dei soldi, anche se sei in fila davanti a degli adulti, gli adulti li servono prima. Un problema più grosso è il boulevard e tutte le vie più piccole piene di balordi e di quelli che vanno a caccia di bambini da violentare. Una volta in un vicolo ho trovato una rivista con delle figure di uomini che lo facevano con dei bambini, gli mettevano il pisello nel sedere o in bocca. Certi piangevano, altri sembravano mezzo addormentati. Non si vede la faccia dei grandi, solo le loro gambe pelose e i loro piselli. Per non so quanto tempo ho avuto gli incubi di quei bambini. Quegli occhi. Ma mi è anche servito per diventare prudente.
Mi è capitato di certi tizi che mi hanno accostato in macchina mentre camminavo, anche di giorno, per mostrarmi soldi o caramelle o anche il pisello, se è per questo. Io faccio finta di niente e se loro non mollano, scappo. Una volta, quando ero di cattivo umore perché non avevo mangiato o avevo passato una notte piena di brutti sogni, gli mostravo il dito prima di scappare. Ma un mese fa uno ha cercato di tirarmi sotto con la macchina. L’ho schivato, ma adesso il mio dito lo tengo per me.
Non si può mai sapere da dove ti salta fuori un problema. Una settimana fa due tizi si sono scontrati sulla Gower, solo una bottarella alla macchina davanti, ma quello è sceso con una mazza da baseball e ha sfondato il parabrezza dell’altro. Poi gli è corso dietro per menare anche lui.
Di notte ci sono matti che urlano e strillano a tutti e nessuno e si sentono colpi di pistola. Di giorno ho visto girare certi tizi con delle tasche gonfie che potrebbero essere pistole.
L’unico morto che ho visto è un vecchio di quelli che girano con un carrello dei supermercati. Era in un vicolo, con la bocca aperta. Sembrava addormentato, ma la pelle gli era diventata grigia e le mosche gli entravano e uscivano dalla bocca. Io stavo andando a pescare in un cassonetto che c’era lì vicino, invece me ne sono andato, mi era passata la voglia di mangiare. Quella notte mi sono svegliato con una fame tremenda e ho pensato che ero stato proprio stupido a lasciarmi prendere così. Tanto era vecchio.
Quando mangio abbastanza, sono tutto gasato. Superveloce. Quando corro mi sento i piedi a reazione, senza gravità, senza limiti.
Certe volte entro in un ritmo di corsa ed è come una musica che mi batte nella testa, babum, babum, e niente potrebbe fermarmi. Quando succede così, mi costringo a rallentare perché è pericoloso dimenticarsi chi sei.
Rallento anche tutte le volte che sto per entrare nel parco. Molto prima. Sto sempre attento per essere sicuro che nessuno mi guarda, poi entro, rilassato, come uno di quelli che vivono nelle grandi case in fondo al parco.
Uno dei libri che Moron mi ha distrutto era di uno scienziato francese che si chiama Jacques Cousteau, su polpi e calamari. In un capitolo spiegava che i polpi cambiano il colore per farlo uguale allo sfondo. Io non sono un polpo ma so come confondermi.
Io prendo cose ma non per questo sono un ladro.
Ho trovato lo stesso libro sui polpi in biblioteca, l’ho preso in prestito, l’ho restituito.
Ho preso il libro sui presidenti e l’ho tenuto.
Ma nessuno lo aveva scelto da nove mesi, così c’era scritto sulla scheda dietro.
La biblioteca giù a Watson faceva pena, un negozietto vicino alla sede di quelli che hanno fatto la guerra, dove non andava nessuno ed era quasi sempre chiuso. La tizia all’entrata mi guardava sempre come uno che fregherà qualcosa e il buffo è che non ho mai fregato niente.
Alla biblioteca di Hillhurst c’è un’altra vecchia come lei ma sta quasi sempre nel suo ufficio e quella che controlla i libri che entrano ed escono è giovane, carina e messicana, con dei capelli lunghi così. Una volta mi ha sorriso, ma io ho fatto finta di niente e il sorriso le è cascato dalla faccia, come strappato via.
Non posso avere una tessera della biblioteca perché non ho un indirizzo. La mia tecnica è di entrare come uno della King Middle School che ha un compito da fare, mi siedo per conto mio a un tavolo e scrivo e leggo per un po’, di solito problemi di matematica. Poi torno agli scaffali.
Un giorno restituirò il libro sui presidenti.
Anche se lo tengo per sempre, non se ne accorgerà nessuno. Spero.
Un vantaggio di sembrare un innocuo bambinetto è che certe volte puoi entrare in un negozio e portar via della roba senza farti notare. So che è peccato ma senza cibo si muore e anche il suicidio è peccato.
E poi: la gente non ha paura dei bambini, almeno non dei bambini bianchi, così se chiedo a qualcuno qualche spicciolo al massimo di solito non mi danno retta. Cioè, che cosa mi possono dire? Trovati un lavoro, giovanotto?
Una cosa che ho imparato a Watson: fai innervosire la gente e a smenarci sei tu.
Dunque forse Dio mi ha dato una mano facendomi così piccolo per la mia età. Però mi piacerebbe crescere a un certo punto.
Mamma, prima che le prendesse la malinconia, certe volte mi prendeva sotto il mento e diceva: «Guarda guarda. Sei come un angioletto. Un vero cherubino».
Se mi prendeva male. Mi suonava così gay.
Qualcuno di quei bambini violentati sulla rivista sembrava un angioletto.
Non si può mai sapere dove si nasconde un rischio. Io evito tutti e per questo il parco è perfetto, un ettaro e mezzo di pace e tranquillità.
Un bel grazie a quel pazzo del signor Griffith.
Il modo che aveva scelto di uccidere sua moglie era sparandole in un occhio.