Dopo che Breshear se ne fu andato, chiamò la Empty Nest e chiese di Kelly Sposito, la fiamma attuale. Quando andava bene con la moglie si limitava a una sola ancella?
La Sposito era il suo posto di lavoro, aveva una spiacevole voce acuta che diventò stridula quando Petra le spiegò chi era e la natura della telefonata.
«Darrell? Dice sul serio?» Ma un momento più tardi confermò l’alibi di Breshear.
«Dunque è stato con lei tutta notte?»
«Così ho detto. Ascolti, è meglio che non faccia finire questa storia sul giornale o che so io, non voglio avere problemi.»
«Io sono un detective, non un reporter, signora Sposito.»
«Se vedo il mio nome sul giornale, le faccio causa.»
Tigre di carta. Che le aveva preso?
«Perché ce l’avete con Darrell? Perché è nero?»
«Parliamo alle persone che conoscevano Lisa, signora Sposito…»
«Tutti sanno chi è stato.»
«Chi?»
«Giusto», rispose la Sposito. «È rimasta lei a non saperlo. E la farà franca perché è ricco.»
Petra la ringraziò, riappese, montò in macchina e si recò agli studios. Usò il distintivo e un cocktail di fermezza e fascino per entrare. Ebbe le indicazioni su come arrivare all’Empty Nest da un uomo con i capelli lunghi che aveva l’aspetto di un attore ma indossava una cintura piena di utensili.
Lo stabilimento era costituito da alcune palazzine bianche con le persiane verdi sparse fra i candidi edifici dei teatri di posa e palazzi di uffici. L’atmosfera generale era quella troppo perfetta dei villaggi di Potemkin. Torri di metallo reggevano cartelloni con i manifesti di film e spettacoli televisivi. Un campo di paraboliche faceva pensare a una gigantesca collezione di piatti.
Una donna alla Palazzina A la informò che Breshear lavorava alla D. Entrò in una piccola zona reception, ottone e vetro e pavimenti neri di legno, tre telefoni, niente macchine per scrivere o computer. Altre locandine, produzioni a basso costo che non riconobbe, odore di pesce. Udì delle voci provenire da un’altra stanza e aprì dopo un fugace colpo di nocche.
A un lungo tavolo occupato da alcuni macchinari grigi che sembravano la prole di un accoppiamento tra un proiettore e un microscopio, lavoravano Breshear e due giovani donne. In un contenitore per alimenti aperto c’erano tre involtini sushi.
Una delle ragazze indossava un ampio pull nero su fuseaux neri; bel faccino dai tratti taglienti, pelle resa probabilmente bronzea da prodotti cosmetici e una criniera di riccioloni neri che le scendeva a mezza schiena. L’altra era di un pallore artico, con sottili capelli biondi trattenuti da un fermaglio rosa. Graziosa, ma niente della procacità di Boccoli. Breshear, seduto fra di loro, cominciò a ritrarsi come per prendere le distanze.
«Il detective Connor», la presentò. Aveva in mano una tazza fumante con Gary Larson in serigrafia. Aveva dichiarato di non drogarsi, ma come molti ex alcolisti aveva un debole eccessivo per la caffeina.
«Salve», salutò Petra. «Lei è la signora Sposito?»
«Cosa?» sbottò Boccoli alzandosi in piedi. Alta, con curve da capogiro che nemmeno il pull informe riusciva a dissimulare. I suoi occhi neri avevano dieci anni in più del resto del suo corpo, con tanto mascara che le ciglia sembravano spazzole di tergicristallo in miniatura. Lineamenti troppo duri perché potesse fare la modella o l’attrice, ma senz’altro una ragazza che si faceva notare. Una leonessa, con quella criniera.
«Ho pensato di fare un salto a parlarle di persona.»
Breshear girò la testa di scatto per lanciare un’occhiata alla sua ragazza. Cercava di immaginare che cosa potesse aver detto per telefono da complicare la situazione.
La Sposito si avvicinò a Petra a grandi passi elastici sulla scia di un’occhiataccia all’amante.
La bionda seguì la scena con aria sconcertata.
Quando fu a due passi da Petra, la Sposito disse: «Parliamo di là». Alla bionda: «Usiamo il tuo ufficio, Cara».
«Sì sì», rispose l’altra ragazza. «Io resto qui?»
«Sì. Non ci vorrà molto.»
Nell’altra stanza, la Sposito si posò le mani sui fianchi. «Adesso cosa c’è?»
Colpa tua, Kelly della Giungla, per tutto quel fervore così sproporzionato.
«Ha espresso un giudizio molto critico sul signor Ramsey», le rammentò Petra.
«Oh, al diavolo! Le opinioni sono solo opinioni. E poi tutti la pensano allo stesso modo. Perché il signor Ramsey è un violento. È una follia anche solo ipotizzare che Darrell abbia avuto qualcosa a che fare con Lisa solo perché si è visto con lei un paio di volte. Comunque lei mi ha chiesto dov’era e io gliel’ho detto. Altro non c’è. Devo già digerire abbastanza stronzate per stare con Darrell, non ho bisogno del suo contributo.»
«Stronzate da parte di chi?»
«Tutti. La società.»
«Razzismo?»
Kelly rise. «Solo qualche settimana fa eravamo al Rose Bowl per un raduno e un idiota ha pensato bene di venirsene fuori con una volgarità. Uno penserebbe che ormai è tutto cambiato, Los Angeles, gli anni Novanta. Chi è la donna più ricca d’America, Oprah, no?» Corrugò la fronte e due solchi le si formarono ai lati della bocca. «Quello che c’è tra me e Darrell ha un valore e non voglio che niente venga a rovinarcelo.»
Se solo sapessi, tesoro.
«Capisco», ribatté Petra. «Nessun’altra opinione da riferirmi? Sull’assassinio di Lisa? Su Lisa in generale?»
«No. Ora vuole lasciarmi tornare al mio lavoro? Perché, sa, qui si lavora.»
Come mai la gente del cinema era così zelante nel difendere l’onestà del proprio lavoro?
«Da quanto tempo lavora qui, Kelly?» Kelly e non signora Sposito, perché sentirsi chiamare con il cognome l’avrebbe indotta a cercare di continuare a tenere il coltello dalla parte del manico.
Le spazzole del tergicristallo scesero e si rialzarono. «Un anno.»
«Dunque ha lavorato con Lisa.»
«Non con lei nel senso di aver prodotto gli stessi film. Aveva bisogno di imparare, perciò con lei lavorava Darrell. Io sono sempre stata per conto mio.»
«Lisa era inesperta?»
Kelly ridacchiò. «Una pivellina. Darrell non faceva che criticarla.»
«Per tutti i sei mesi che ha lavorato qui?»
«No, è migliorata, ci sapeva fare, ma a dire la verità… no, lasciamo stare, non voglio mettermici anch’io.»
Petra sorrise e Kelly scoprì i denti. Petra pensò che dovesse essere il suo modo di ricambiare.
«E va bene, ormai la boccaccia si è aperta. Stavo solo dicendo che i posti di editor sono scarsi, c’è da sbattersi a trovarli. Lisa era assolutamente alle prime armi. Immagino che abbia usato qualche conoscenza.»
«Che genere di conoscenza?»
«Nonio so.»
Un altro particolare che Darrell non aveva confidato alla Leonessa. A un tratto Petra provò compassione per lei. «Che cosa pensava di lei come persona, Kelly?»
«Lei faceva il suo mestiere, io il mio. Non eravamo amiche.»
«Le era simpatica?»
Kelly sbatté le palpebre. «Devo essere sincera? Non era tra le mie persone preferite perché secondo me trattava male la gente, ma giuro che non voglio mettermi a farle le pulci adesso.»
«Trattava male chi?»
Gli occhi scuri si strinsero. «Sto parlando in generale. Aveva la lingua tagliente, probabilmente è per quello che ci ha rimesso le penne.»
«Vuole essere più esplicita?»
«Era sarcastica. Aveva un modo di dire le cose senza dirle, sa come. Lo sguardo, il tono della voce, tutto quanto il linguaggio del corpo.» Si lisciò il corpo con le mani, fletté una gamba alla maniera di una ballerina classica, la ridistese. «Lisa era superba, va bene? E se riteneva che qualcuno non fosse alla sua altezza, non perdeva l’occasione di dirglielo nudo e crudo. Vuole la mia opinione? Forse Ramsey stava cercando di rimettersi con lei e lei lo ha mandato a quel paese. I violenti non sono sempre anche ossessionati?»
Dalla bocca di quella bambola astiosa. «Possono esserlo», ammise Petra, senza preoccuparsi di nascondere il suo momentaneo rapimento.
«Quindi può darsi che Ramsey avesse ancora tutta la testa piena di Lisa», riprese Kelly, «e allora diciamo che si sono incontrati e che lui abbia cercato di starci assieme di nuovo ma non sia riuscito a farselo venire su o che so io e che lei, nel suo tipico stile, gli abbia illustrato il suo pensiero in proposito e lui abbia perso il lume della ragione.»
Questa volta Petra nascose la sua meraviglia. Era passata da testimone ostile a una teoria criminologica nel giro di cinque minuti, offrendo un’ipotesi che confortava la ricostruzione dell’ultimo appuntamento fatta da lei stessa.
«Che cosa le fa credere che Ramsey fosse impotente?»
«Perché così aveva detto Lisa. O almeno lo aveva lasciato capire. È stato tre o quattro mesi fa. Eravamo a pranzo, tutti quanti, Darrell, Cara, io, Lisa e un’altra editor che lavora qui, Laurette Benson. Una lesbica. Ci siamo messi a chiacchierare di attori, di tutta la celebrità che ottengono e di come molti di loro hanno una personalità completamente sballata, sono completamente fuori di cocomero, ma il pubblico non viene mai a saperlo perché alle orecchie della gente arrivano solo le stupidaggini messe in circolazione dai media e dalla pubblicità. Fatto sta che ci siamo messi a parlare di come gli attori diventano sex symbol, qualcosa di più di semplici esseri umani, come per esempio Madonna che mette al mondo quel bambino e tutti ne parlano come se fosse la reincarnazione della Madonna vera e la sua fosse stata una nascita avvolta nel mistero, no? O tutti quegli idioti che cercano ancora Elvis o credono che Michael Jackson resterà sposato. Noi, nel nostro mestiere, vediamo questa gente tutti i giorni, scena dopo scena, attraverso il display di una moviola. Allora ti passano sotto gli occhi un sacco di porcherie, vedi quante volte bisogna rigirare una scena perché questo o quell’attore risulti appena decente o parli come se avesse un po’ di cervello in testa, ti rendi conto di quanto pochi di loro hanno un po’ di talento. Comunque si conversava di questi argomenti e ci siamo ritrovati a parlare di tutte le fantasie sessuali di cui il pubblico si bea su persone che probabilmente metà delle volte a letto fanno fiasco. Allora Laurette parte a dire che un sacco di attori sono gay, anche quelli che il pubblico scambia per autentiche divinità dell’amore eterosessuale, sostiene che sessualità e realtà sono due pianeti completamente diversi. E Lisa alza gli occhi al cielo e fa: ‘Ah, ma voi non avete idea, ragazzi. Non potete nemmeno immaginarvelo’. Così tutti la guardiamo e aspettiamo la sua tesi e lei ride. ‘Credetemi’, dice lei, ‘capita di entrare convinti di andare a mangiare all’Hard Rock Café e ti ritrovi alla Torre Pendente davanti a un piatto di spaghetti stracotti.’ Poi ride più forte e all’improvviso la sua espressione cambia completamente, è rabbiosa, incavolata nera. Si alza, va in bagno e ci resta per un po’. ‘Qualcuno si è sentito tirare le mutande’, commenta Laurette. Poi Lisa ritorna e ha il naso rosso ed è troppo su di giri, capisce che cosa voglio dire?»
«Aveva sniffato.»
Kelly le puntò contro l’indice e il pollice a pistola. «Lei deve essere un detective.»
«Lo faceva spesso?»
«Abbastanza. Non che ci stessi dietro.»
«Dunque l’argomento dell’impotenza la turbava.»
«Perché, non turberebbe anche lei?» ribatté Kelly Sposito. «La vita è già abbastanza rognosa con tutte le troiate che ti becchi dagli uomini quando sono in pieno spolvero. Hai giusto bisogno di un piatto di spaghetti scotti.»
Erano passate le cinque quando Petra lasciò gli studi cinematografici e non le sarebbe dispiaciuto un lungo bagno caldo, seguito da un buon pranzetto preparato da qualcun altro, e magari una breve seduta al cavalletto. Ma aveva bisogno di confrontare le sue informazioni con quelle di Stu e, se lui avesse suggerito di attaccare Ramsey quella sera stessa, non si sarebbe opposta.
Chiamò la stazione. Stu non era rientrato, ma Lillian, la receptionist, le comunicò che c’era qualcosa per lei: «È arrivato un plico dal coroner, Barbie».
«Una busta grossa?»
«Grandezza media. Te l’ho messa sulla scrivania.»
«Grazie.»
Consumò un sandwich al tonno all’Apple Pan, lo mandò giù con una coca cola, diede una scorsa al giornale (niente su Lisa) e tornò a Hollywood guidando per quanto celermente glielo consentiva il traffico. Giunse a destinazione quando era già entrato in servizio il turno di notte, ma la maggior parte dei colleghi erano già usciti di nuovo armati dei rispettivi mandati di cattura e di comparizione e Stu non si era ancora visto.
Nella busta marrone c’era il referto autoptico preliminare firmato da un certo dottor Wendell Kobayashi e controfirmato, come Schoelkopf aveva promesso, dal capo coroner, dottor Ilie Romanescu.
Risultati solleciti; di solito persino i preliminari richiedevano una settimana.
Si sedette e lesse le due pagine dattiloscritte. Nel corpo di Lisa Ramsey erano state trovate tracce di cocaina e alcol, in un quantitativo sufficiente a intossicare ma non a provocare stupore. Significava che sarebbe stato più facile coglierla di sorpresa. Ancora non c’era un referto definitivo, ma i patologi erano riusciti a stabilire il numero delle ferite e la causa del decesso. Ventitré coltellate, nell’ordine di grandezza delle ventinove ricevute da Ilse Eggermann. Al momento il coroner riteneva che quella fatale era una ferita particolarmente profonda nella zona addominale, la stessa che era apparsa mortale a Petra. Punto d’ingresso appena sopra l’osso pubico, venti centimetri di lunghezza, una ferita verticale che aveva reciso intestini, stomaco e fegato, sezionando il diaframma e bloccando la respirazione.
Uno sventramento: una tecnica da gangster.
Mentre cade, lui la colpisce altre ventidue volte.
Furore o gusto. O entrambi.
Il dottor Kobayashi riteneva che le fosse stato vicino per quel primo colpo letale. Questo significava che non poteva non essersi macchiato di sangue e, se avessero avuto fortuna e ci fosse stato uno scambio, qualcosa poteva aver lasciato lui su di lei. Ma per l’analisi di fibre e liquidi ci sarebbero voluti ancora alcuni giorni. Nessuna impronta di piedi, come aveva notato Alan Lau. O si era tolto le scarpe o gli era andata bene.
Rifletté su quanto Darrell le aveva rivelato delle inclinazioni sessuali di Lisa: sesso orale in macchina. Come un ritorno ai tempi del liceo. Forse che Lisa era rimasta fissata alla fase pompon? Ragazze pompon e uomini maturi?
Kelly l’aveva descritta come una donna piena di sé, ma poi aveva succhiato Darrell senza chiedere niente per se stessa.
Sesso in macchina. L’assassino che porta Lisa da qualche parte in macchina.
Mister Macho Ramsey in crisi di prestazione?
Un problema cronico? Ramsey che le dà un appuntamento per un ultimo tentativo di dimostrarsi all’altezza?
In macchina? Perché lui e Lisa l’avevano già fatto in macchina?
Quel maledetto museo di automobili! Era forse qualcosa di più della collezione di trofei di un miliardario? Era il supporto coniugale di Ramsey? Tutte quelle cromature, i motori potenti, a ricordargli di essere ricco, bello e semifamoso, giocattoli di valore inestimabile solo perché il sangue non gli defluisse dal pene?
Breshear aveva detto che Lisa le era sembrata esperta. Con Ramsey? Altri? Dopo il divorzio… o prima?
Ma dalla bolletta del telefono non risultavano contatti con altri uomini, nessuna concessione alla vita mondana. Forse per i contatti personali usava il telefono dell’ufficio. Ancora più complicato ottenere di poterli consultare, era scontato che i telefoni fossero intestati alla società di produzione. Ci si sarebbe messa subito l’indomani.
Tornò alla notte dell’omicidio. Lisa si fa bella.
La macchina, in macchina, facciamolo in macchina.
Lei si è messa in tiro, ma è a Ramsey che non…
Lui non ce la fa, Lisa cala su di lui la sua lingua tagliente…
Tagliente. Ecco che ci risiamo.
Lisa lo prende in giro e lui taglia lei.
Dopo che è stato così carino con lei, le ha perdonato la piazzata che è andata a fare a quello show in televisione, le ha trovato un lavoro allo studio e le versa sette bigliettoni al mese.
Ventitré in contanti, un conto titoli alla Merrill Lynch: dovrà ricordarsi di sentire il broker, Ghadoomian, un altro impegno per l’indomani.
Sesso, denaro, fiasco.
Fiasco in macchina, dunque usa una macchina per ucciderla.
La porta in macchina al suo capolinea.
La uccide in un parcheggio.
Stile L.A.
Aveva bisogno di mettere le mani su PLYR 0 e PLYR 1 e tutti gli altri veicoli della collezione di Ramsey. Per quel che ne sapeva l’auto servita all’omicida poteva essere stata una delle altre, anche la fallica Ferrari, e lei, Stu e gli uomini dello sceriffo se l’erano accarezzata con gli occhi senza sapere che stavano ammirando un mattatoio su quattro ruote.
No, troppo vistosa, anche per L.A. Una delle altre… Squillò il suo telefono, doveva essere Stu.
Ma era Alan Lau che chiamava da Parker Center. Il criminologo aveva la voce molto stanca. «Ho qualche risultato iniziale su quegli involti di cibo e l’orina. Il cibo era un misto di carne trita, manzo e maiale, con peperoni, cipolle, una salsa a base di pomodoro, chili in polvere, aglio in polvere, altre spezie che non abbiamo ancora identificato. E briciole di pane. Ma non mescolate al resto, separate. Probabilmente del panino che conteneva la carne. Pane bianco.»
«Chiliburger.»
«Probabile. L’orina è senza dubbio umana, ma spero che non ci venga richiesto un esame del DNA, perché ne avevamo appena a sufficienza per ricavarne un giudizio comunque non definitivo. E anche se dovessimo farlo, costerebbe una fortuna e ci vorrebbe un mucchio di tempo.»
«Che cos’altro hai?» chiese Petra.
«Impronte dall’involucro di carta e anche dal libro che hai trovato tu. Il libro ne era pieno. Impronte complete, parziali, ottime impressioni delle volute. Io non sono un esperto, ma sembra che ci sia identità fra alcune di quelle sulla carta e alcune trovate sul libro. Abbiamo mandato tutto all’ID ma per ora non abbiamo avuto riscontro. Dunque sembrerebbe che il tuo lettore non sia un criminale importante o un pubblico ufficiale. Inoltre, dalla dimensione dei polpastrelli si tratta probabilmente di una donna.»
La barbona nascosta fra le rocce, pensò Petra. A mangiare di nascosto, a leggere un vecchio libro di biblioteca che probabilmente alimentava qualche sua fantasia schizoide. Chissà che significato avevano per lei i presidenti?
Triste. Se non fosse saltato fuori nulla, forse sarebbe valsa la pena consultare i ranger del parco e altri agenti di pattuglia a Hollywood. Forse qualcuno conosceva una particolare vagabonda che frequentava quella zona del Griffith.
«Grazie, Alan. L’aspirapolvere non ci ha dato niente?»
«Solo un mucchio di terra, finora. Con tutto quel sangue, è stato un lavoretto straordinariamente pulito.»
Stu entrò in sala operativa alle 6.34 del pomeriggio, con l’aria di un cane bastonato. Petra stava sgranocchiando il suo secondo Snickers mentre si domandava dove fosse in quel momento Ramsey, che pensieri gli frullassero nella mente, se rimpiangeva quello che aveva fatto o si gongolava di aver massacrato Lisa.
Chiese a Stu come stava. Bene, rispose lui e riferì la sua giornata nel tono diligente di un bambino che risponde alle domande di un’interrogazione orale. Aveva visitato tre stabilimenti cinematografici, aveva pasturato, ora si trattava di aspettare. Non sembrava abbastanza da giustificare l’arrossamento delle sue iridi sempre così limpide.
Si tolse la giacca del vestito e la sistemò con cura sulla spalliera della seggiola. «Nessuno aveva niente di personale da raccontare su di lui, non sembra che frequenti in maniera particolare questo o quel giro nel mondo dello spettacolo. Il fatto che abbia pestato Lisa li spinge a considerarlo l’assassino.»
«Io ho trovato qualcosa di personale.» Petra gli raccontò dei suoi colloqui con Breshear e la Sposito e delle allusioni fatte da Lisa sull’impotenza dell’ex marito.
«Interessante», fu il commento di Stu. Come se fosse un guaio comune a tutti gli uomini. Era così?
«È un movente», azzardò lei.
«Senza dubbio. Peccato che è dura accertarlo. Ti fidi della Sposito sull’alibi di Breshear?»
«L’ho chiamata prima che Breshear la raggiungesse e ha risposto senza la minima titubanza. Solo scocciata di essere tirata in ballo. Tu non vuoi che continuiamo a lavorare su Breshear, vero?»
«No, voglio solo assicurarmi che se lo depenniamo non restino zone oscure. Vorrei che questa volta mettessimo insieme un caso dove è tutto bianco o nero, senza sfumature intermedie.»
Posò le mani sulla scrivania e si protese in avanti distendendo le dita. «Ora, a proposito di quella ragazza tedesca…»
Petra gli consegnò il fax su Karlheinz Lauch. Lui lo lesse in silenzio.
«Che cosa vogliamo farne?» chiese Petra.
«Riproviamo con la polizia austriaca. E negli altri paesi dove si parli tedesco e ci siano degli aeroporti, come dire la Svizzera. E poi l’Interpol, il nostro ufficio Immigrazione. Anche se dopo tre anni ci vorrebbe un bel colpo di cosiddetto per trovare qualcosa al controllo passaporti.»
«Sorensen ha già svolto tutte queste ricerche.»
«Visto che sono passati tre anni lo si fa di nuovo. Ora che abbiamo trovato un caso simile, abbiamo bisogno di gettare una rete più grande, assicurarci di non lasciarcene scappare qualcun altro. Questo vuol dire Orange County, Ventura, Santa Barbara, persino San Francisco. Se non troviamo niente, potrò archiviare tranquillamente l’ipotesi di un serial killer locale. Ma non si sa mai. Qualche anno fa c’è stato un tizio, un certo Jack Unterhoffer, austriaco, è risultato poi che faceva la spola fra Europa e Stati Uniti strangolando donne. C’è voluto molto tempo per accorgersi dei collegamenti. Se non spremiamo tutto quello che si può dalle piste che abbiamo su Lisa e Schoelkopf si lascia prendere definitivamente dalla paranoia, ci costringerà a una ricerca a livello nazionale, perciò vediamo di precederlo, facciamo controllare Lauch alla banca dati centrale, sentiamo che cosa hanno da offrirci i federali.»
Quasi che desiderasse il lavoro d’ufficio. Non si adattava alla sua teoria sulla occasione di una promozione. O sbagliava?
«Bene», disse, sorpresa dall’impazienza che udì nella propria voce. «Ma Ramsey resta il nostro uomo principale e adesso abbiamo appreso qualcosa che si inquadra in un possibile movente. So che l’accusa di impotenza è solo per sentito dire…»
«Meno che sentito dire. Lisa ha fatto un’allusione in termini generici.»
«Ma se non seguiamo questa pista, è un caso di prevaricazione.»
«Niente discussioni», ribatté lui, appoggiandosi allo schienale e mettendosi a giocare con le bretelle. «Qui non ci mettiamo a discutere, Petra, decidiamo una scaletta. Siamo solo in due, perciò o chiediamo rinforzi, che vuol dire mollare tutto alla Omicidi della Centrale, o ci dividiamo il lavoro. Cosa dici se io mi prendo tutto il malloppo Eggermann/Lauch e tu ti prendi Ramsey? Le telefonate, continueremo a spartircele a metà.»
Petra non credeva alle proprie orecchie. A lei il filetto e a lui l’osso da rosicchiare. «Vuoi che faccia Ramsey da sola?»
«Potrebbe essere un vantaggio per tutti, Petra.»
«In che senso?»
«Se Ramsey ha un problema di donne, la tua presenza potrebbe renderlo vulnerabile, aprire degli spiragli.»
Problemi di donne. Non problemi di impotenza. Non problemi da uomo.
«Va bene, ma voglio lo stesso fare la mia parte del lavoro rognoso», dichiarò lei.
«Non ci pensare, Petra. Per la verità…» Stava per dire qualcosa ma s’interruppe. Le riaffiorò alla memoria qualcosa che lui le aveva insegnato quando avevano cominciato a lavorare insieme: attenta agli indiziati che dicono sinceramente o francamente o a essere onesto o a dire la verità. Di solito nascondono qualcosa.
«Credo davvero che tu sei la più adatta a leggere nell’anima di Ramsey», disse Stu. «Non solo per una questione uomo-donna. È meglio non stargli sul collo, lasciar capire troppo chiaramente che lo stiamo interrogando. In questo è più efficace se ad affrontarlo è una persona sola. E poi, quando siamo stati a casa sua, mi ha dato l’impressione di averti messo gli occhi addosso.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Non che abbia fatto delle avance, ma c’era dell’interesse. Almeno così mi è parso. Ci dice qualcosa sul modo in cui funziona la sua mente. La sua ex è appena morta ammazzata, lui sta recitando la scena del marito traumatizzato, però una guardatina non se la nega.»
Allora aveva visto. Che cos’altro aveva tenuto per sé?
«Non sto parlando di esche, Petra. Se non vuoi affrontarlo da solo, capisco. Ma hai il talento che ci vuole per questo numero.»
«Grazie.» Come mai non lo sentiva come un complimento? Era lei a diventare paranoica?
Annuì.
«Allora siamo d’accordo.» Stu sollevò il ricevitore.