55

Wil Fournier uscì dall’ufficio di Schoelkopf pensando che sarebbe potuta andare peggio.

Il capitano era stato scorbutico, ma distratto da un incontro fissato per il pomeriggio con il vicecapo Lazara. «Per parlare anche del vostro caso, che suppongo stia stagnando.» La faccia di Schoelkopf aveva cominciato a colorirsi.

Wil l’aveva rintuzzato con la soffiata del russo.

«Quando è arrivata?»

«Ieri sera tardi. Ha poco dello stinco di santo e appena torno di là voglio verificare se…»

«Verificherai dopo. Voglio che torni immediatamente a Venice a cercare il ragazzo. Dov’è Barbie?»

Se lo chiedeva anche Wil. «Non lo so.»

Schoelkopf aveva fatto una smorfia. «Bella squadra compatta la vostra. Come sta la moglie di Ken?»

«Immagino che la stiano operando in questo momento, capitano.»

«Andrà tutto bene, una donna così giovane… D’accordo, fila in spiaggia, Fournier. Se il bambino è da quelle parti, voglio che sia rintracciato.» Poi Schoelkopf aveva sollevato il ricevitore.

Comunicazione immediata agli organi d’informazione. Nessuno poteva vederlo, ma sulla bocca gli era comparso un sorriso pro-giornalisti.

Prima di partire per Venice, Fournier controllò i due avvistamenti di Watson. Niente di nuovo da una delle due donne, ma la seconda, una certa Kraft, aggiunse che era sicura che il bambino vivesse in un parcheggio di rimorchi ai confini sud della cittadina.

«Un posto poco raccomandabile», precisò. «L’hanno aperto anni fa per i pensionati, ma poi ci è arrivata la gentaglia.»

«La famiglia del ragazzo è gentaglia?»

«Se vivono lì, probabilmente lo sono.»

«Ma non sa come si chiamano?»

«No, ho solo detto che mi pare che vivesse lì perché mi sembra di averlo visto da quelle parti. Uscendo a portare a spasso il cane. È buono come il pane, il mio Jet, ma il ragazzino non ci si è mai avvicinato, mi dava l’idea che avesse paura degli animali. È successo due volte. Ma non sono sicura che sia lui.»

«Va bene, grazie, signora Kraft», disse Fournier. «Come si chiama il parcheggio?»

«Sleepy Hollow», rispose lei. «Come quel libro, quella storia di fantasmi.»

Chiamò lo sceriffo di Watson e trovò occupato. Doveva crederci? Stava per provare di nuovo quando il collega accanto, Brian Olson, richiamò la sua attenzione. «C’è qualcuno per te sulla mia linea.»

Fournier andò alla sua scrivania e Olson ne approfittò per andare a prendersi un caffè.

«Fournier.»

«Detective? Sono lo sceriffo Albert McCauley di Watson, California. Mi sarei fatto vivo prima, ma ero a Sacramento per un convegno sulle armi da fuoco. Ci è mai stato, lei? È molto istruttivo.» Voce bassa, strascicata. Tempo libero in abbondanza.

«Non ancora», rispose Wil.

«Istruttivo», ripeté McCauley. «Dunque, che cosa posso fare per lei?»

Fournier gli aveva lasciato messaggi particolareggiati. Pazienza. Spiegò a McCauley del ragazzo e del parcheggio dei trailer.

«Un piccolo fuggitivo, eh?» commentò lo sceriffo. «Sì, l’Hollow è un campeggio parecchio degradato. Non nel senso della criminalità, però. Non ce n’è molta in tutta Watson, se è per questo. È un posto tranquillo. Abbiamo qualche problema solo quando gli immigrati fanno festa ed esagerano con la tequila.»

Il bambino aveva avuto qualcosa da cui scappare, rifletté Fournier. «Se volesse controllare, sceriffo?»

«Sicuro, lo farò senz’altro. Ho da sbrigare qualche altro impegno prima, poi vado a fare due chiacchiere con il proprietario del parcheggio, vedo se mi può identificare il ragazzino. Dice che c’era la sua faccia sui giornali di Los Angeles?»

«Due giorni fa.»

«Non leggo i giornali di Los Angeles. Non sono molto teneri con le forze dell’ordine, vero?»

«Dipende», non si sbilanciò Wil. «Posso inviarle l’identikit via fax.»

«Certo. Benissimo.»

Wil lo ringraziò di nuovo e riappese, ripromettendosi di chiamare lui stesso il gestore dello Sleepy Hollow se McCauley non si fosse rifatto vivo entro il tardo pomeriggio.

Dedicò altre due ore a telefonate a ricoveri e assistenti sociali, quindi lasciò la stazione, pranzò per la strada in un ristorante italiano di Santa Monica e proseguì per Venice.

Un invidiabile pomeriggio da spiaggia fu sprecato a interrogare negozianti, ristoratori, anziani, culturisti, rollerblader. Turisti che lo guardarono come se fosse matto. Alcune persone erano chiaramente intimorite, nonostante fosse ben vestito e mostrasse a tutti il distintivo. Pelle nera. Chissà se un giorno si sarebbe abituato a quel genere di reazioni.

Il losco Zhukanov era al suo posto, al baracchino di souvenir, e la prima volta che gli transitò davanti Wil ignorò il suo sguardo ostile. Sulla via del ritorno si fermò a chiedergli se avesse visto niente.

Il russo scosse la testa scostandosi capelli fibrosi da un occhio. Pelle unta butterata. Foruncolo saturo di pus nella piega della narice sinistra. Le setole irregolari che aveva sulla faccia erano solo una patetica rappresentazione di barba, una tara più che un ornamento. E non faceva uso di deodoranti. C’era davvero qualcuno che si fermava a comperare giocattoli da quell’uomo?

Zhukanov socchiuse gli occhi. «Non ancora, ma sto allerta.»

«Bravo.» Wil fece per incamminarsi.

«Come posso chiamarla se non ho un numero?»

Wil trovò un biglietto da visita e lo posò sul baracchino ignorando la mano protesa di Zhukanov. Gli occhi del russo si colmarono di malanimo. Staccò un troll dalla rastrelliera e strizzò fra due dita il collo del bambolotto. Wil si allontanò prima di sapere se l’avrebbe decapitato.

Erano quasi le sei e mezzo e doveva trovarsi alle otto al Cave per il segnale con cui Val Vronek gli avrebbe indicato l’arrivo del grassone patito di moto. Il valore di quella segnalazione gli sembrava molto aleatorio, probabilmente era uno dei tanti allettati dalla prospettiva dei venticinquemila, d’altra parte fare buchi nell’acqua faceva parte del mestiere.

Passò dalla stazione di polizia. Nessuna nuova dallo sceriffo McCauley. Wil ne fu contrariato.

Il solo messaggio era da parte di Petra, che gli lasciava un numero di cellulare. Chiamò. Si avverte che l’utente desiderato non è al momento raggiungibile…

Ottenuto dal servizio abbonati il numero dello Sleepy Hollow Park, ascoltò un altro messaggio registrato da un’altra voce strascicata.

Un posto tranquillo aveva dichiarato McCauley. Diciamo pure Zombie-Town.

Telefonò a Leanna e chiese alla sua segreteria automatica se sarebbe stata libera per una cena sul tardi, diciamo verso le nove e mezzo, dieci. Un altro tentativo con Petra con il medesimo esito negativo. Erano quasi le sette ed era quasi in vena di fare a pezzi la prima macchina elettronica che gli fosse capitata davanti. Camminò sulla spiaggia, trovò una panchina appartata e si sedette a godersi per un po’ l’oceano, i gabbiani e i pellicani. Da questi ultimi si lasciò affascinare per il modo in cui veleggiavano nell’aria senza sforzo, alianti naturali. Dio, era davvero un posto da favola, se ci si concentrava sull’acqua e si dimenticava la gente.

Poi si ritrovò a ruotare la testa. Scrutava la promenade. Sai mai che gli accadesse di veder passare il ragazzino. Che colpo sarebbe stato. Incapace ormai di rilassarsi, trovò un’altra panchina dove si sedette con le spalle all’oceano e gli occhi al lavoro.


Alle otto meno un quarto era sull’Hollywood Boulevard a bere un Orange Whip a una bancarella a poche decine di metri dal Cave. I primi nottambuli erano già in circolazione. Sbandati e piccoli delinquenti, tossici, uomini-donne, donne-uomini, tutte le varianti di vie di mezzo, altri stupidi turisti, drappelli di marine in permesso, ragazzi che trovavano sempre il modo di cacciarsi in qualche guaio. Con quelle teste rasate sembravano skinhead. Forse alcuni di loro lo erano. Mentre sorseggiava la bevanda dolce e gelata vide qualcosa che gli suscitò un moto di sincera ilarità: una ragazza rotondetta, sui diciannove anni, testa rapata salvo che per una di quelle creste da moicani, conduceva un ragazzo più o meno della stessa età tenendolo per un guinzaglio. «Cammina, cammina», gli diceva. Lui, smilzo, pallido, silenzioso, ubbidiva con un sorriso romantico sulle labbra.

Fournier bevve un altro sorso di Whip, buttò il bicchiere e si avvicinò al Cave. Dall’ingresso, davanti al quale erano allineate alcune Harley, uscivano le note di un country rock con i bassi troppo in risalto.

La porta era aperta solo per metà e l’interno era troppo buio perché scorgesse qualcosa. Vi passò davanti senza fermarsi, arrivò all’angolo, finse di esaminare gli scadenti capi d’abbigliamento esposti in una vetrina e finalmente si voltò. Quando fu all’altezza del locale, vide uscire Val Vronek, tutto vestito di pelle e catene, quasi ributtante quanto il russo.

Il finto motociclista si fermò appena a sinistra dell’ingresso, accese una sigaretta e incrociò per mezzo secondo lo sguardo di Wil. Un guizzo gli contrasse la guancia sinistra e la sua testa si mosse in un impercettibile cenno di negazione.

Niente Ciccione.

Wil s’incamminò. Un quarto d’ora dopo Vi gli inviò lo stesso messaggio, si assicurò che nessuno li guardasse e fece scattare tre volte le dieci dita. Ci vediamo tra mezz’ora.

All’appuntamento successivo ancora nessun segno del loro uomo. Val accese un’altra sigaretta, si avvicinò a una delle Harley, controllò il lucchetto della catena, proseguì fino all’angolo. Qualche minuto dopo Wil lo seguì. Trovò il collega nel buio di un androne. Le finestre erano oscurate e sulla porta era affisso un avviso di demolizione.

«Niente da fare», disse Vi. «O stava sparando alla cieca, o è uno che guarda la TV.»

«Che cosa c’è stato in TV?»

«Il tuo ragazzino. Non l’hai visto?»

«Non sono stato in nessun bar per tutta la giornata.»

Vi sorrise. «Al telegiornale delle sei, Doppio Vi. Qualcuno lo avrebbe avvistato a Venice. Forse Ciccione ha deciso che trattare con me era una perdita di tempo e ci è andato di persona.»

«Arrivo ora da Venice», ribatté Wil. E non gli risultava che nessuno dei motociclisti in cui si era imbattuto sulla promenade corrispondesse alla descrizione del Ciccione. No, lo avrebbe notato. Così si augurava.

«Se si fa vivo, ti chiamo», promise Vi. «Adesso devo tornare in cloaca.» Aveva il volto lucido di sudore.

«Calduccio?» s’informò Wil.

«All’inferno sarebbe una vacanza, Doppio Vi. Senza parlare dell’odore. Non che tu avrai mai l’occasione di saperne qualcosa, con quel lucido da scarpe che hai addosso.»

Wil rise. «Privilegio degli iscritti al club.»

Lasciò a Vronek il numero del suo cercapersone nel caso Ciccione fosse riapparso e tornò a casa domandandosi se Leanna avesse risposto alla sua chiamata. Forse aveva provato all’appartamento pensando che fosse già tornato. Logico, visto che erano quasi le nove e mezzo. Non si poteva dire che non avesse reso con diligenza il suo servizio ai cittadini.

Il cercapersone entrò in funzione nel momento in cui imboccava il vialetto di casa.

Lesse il numero. Era lo sceriffo McCauley. Oh, grazie mille, collega, hai fatto finalmente scivolare il deretano giù fino al nostro parcheggio?

Raccolse la corrispondenza, entrò nel suo appartamento al pianterreno, controllò il telefono. Niente Leanna. Stappò una Heineken e chiamò McCauley.

«Complicazioni», annunciò lo sceriffo. Niente più indolenza nella voce, niente amichevolezza campagnola. «Ho una possibile identificazione del suo ragazzino. Lo avrebbe riconosciuto il gestore del parcheggio. Di nome fa Billy Straight. William Bradley Straight, dodici anni, un metro e cinquanta circa, suppergiù quaranta chili, nessuno lo vede da mesi. La madre era disoccupata e viveva del sussidio, sempre in ritardo di mesi con l’affitto. Mai visto un padre. Non una bella situazione, ma il ragazzo non ha mai dato fastidio a nessuno.»

Scomparso da mesi, eppure nessuno nella pacifica e serena Zombieville aveva pensato di denunciarne la fuga, pensò Wil. Persino i viottoli di campagna nascondevano le loro piccole meschinità.

«Che cos’ha detto la madre della sua scomparsa, sceriffo?»

«È qui che c’è la complicazione. Quando sono andata a trovarla, l’ho trovata morta nel trailer. Da un paio di giorni, direi. Contusioni alla zona occipitale del cranio, un certo livore, inizio di rigor mortis, qualche larva di mosca. Nel rimorchio faceva molto caldo, probabilmente ha accelerato il processo, ma alcuni vicini l’hanno vista due giorni fa, il che ci aiuta a ipotizzare l’ora del decesso.»

Ciao ciao, Andy Griffith; ben arrivato, Quincy.

«… c’era del sangue sul bordo di un mobile, quindi sembra che sia caduta all’indietro battendo la testa. Ò è stata spinta. Presenta anche ecchimosi precedenti all’incidente. Aveva un tizio che viveva con lei e tutt’a un tratto non c’è più. Un motociclista, un brutto ceffo con precedenti di poco conto. Abbiamo un’identificazione anche per lui dai frequentatori di un bar locale. Buell Erville Moran, bianco, trent’anni, sopra il metro e ottanta e abbondantemente sopra il quintale…»

«Capelli castani, occhi azzurri, basettoni rossicci», disse Wil.

«Lo avete?»

«No, ma lo vogliamo.»

Загрузка...