Stu lasciò Petra dietro la stazione di polizia e ripartì.
Quando fu alla scrivania, Petra si accorse di essersi dimenticata di farsi dare da Ramsey il numero dei Boehlinger. Tutta colpa dell’averlo dovuto trattare con i guanti. Chiamò il servizio informazioni di Cleveland. Inaspettatamente, il dottor John Everett Boehlinger era sull’elenco con il numero di casa e quello del Washington University Hospital. Forse a Chagrin Falls la popolazione era meno paranoica.
Compose il numero dell’abitazione e ascoltò una voce femminile registrata.
Dato il fuso orario, nell’Ohio era pomeriggio. Possibile che la signora Boehlinger fosse fuori a fare la spesa. E Petra aveva in serbo per lei una gran bella sorpresa. S’immaginò la madre di Lisa che scoppiava in un grido e poi in singhiozzi, magari per essere sopraffatta dalla nausea.
Ricordò il cordoglio mostrato da Ramsey, i suoi occhi asciutti. Attore di scarso talento, incapace di produrre lacrime?
Udì il segnale acustico della segreteria di casa Boehlinger, ma non le parve il caso di lasciare un messaggio. Riappese e provò in ospedale. L’ufficio del dottor Boehlinger era chiuso e il cercapersone non diede risposta.
Non provando alcun sollievo per aver solo rimandato un incarico gravoso, chiamò la compagnia dei telefoni e passò attraverso un paio di capi servizio prima di trovare una persona disposta ad andarle incontro. Per avere un anno intero di traffico telefonico intestato a Lisa era necessario un iter burocratico che avrebbe richiesto molto tempo, ma la donna con cui parlò le promise di inviarle via fax l’ultima fattura appena l’avesse trovata. Petra la ringraziò e partì alla volta di Doheny Drive, pronta ad affrontare la domestica di Lisa, quella Patsy Diosolosacomesichiama.
Il Sunset era bloccato, così prese la Cahuenga in direzione sud fino al Beverly Boulevard, riuscendo ad aggirare l’ingorgo. Mentre guidava si dedicò a uno dei suoi giochi preferiti, la composizione di un identikit mentale della cameriera thailandese: giovane, minuta, graziosa, un inglese peggio che approssimativo. Seduta in un’altra stanza color fiordilatte, terrorizzata da tutti i poliziotti che la sorvegliavano, forti e muti come mastini.
Il palazzo era alto dieci piani, a forma di boomerang. L’atrio era piccolo, quattro mura di vetro striato d’oro, qualche pianta e sedie finto Luigi XIV. Era piantonato da un giovane iraniano dall’aria nervosa in blazer blu, con una targhetta che lo identificava come A. RAMZISADEH. Gli teneva compagnia un agente con la divisa di West L.A. Petra mostrò il distintivo e ispezionò i due monitor del sistema a circuito chiuso che c’erano sulla scrivania. Piani sequenza in bianco e nero di corridoi, nessun movimento. Le immagini cambiavano a intervalli di pochi secondi.
Il custode le strinse la mano con scarsa energia. «Terribile. Povera signorina Boehlinger. Non sarebbe mai successo qui.»
Petra fece un gesto di solidarietà. «Quando l’ha vista l’ultima volta?»
«Ieri, mi pare. Quand’è tornata a casa dal lavoro, alle sei del pomeriggio.»
«Oggi no?»
«No, spiacente.»
«Come ha potuto uscire senza che lei la vedesse?»
«Ci sono due ascensori per ogni piano. Uno sul davanti, uno sul retro. Quello dietro porta alla rimessa.»
«Nel sotterraneo?»
«La maggior parte degli inquilini chiamano l’ingresso per farsi portare la macchina davanti.»
«Ma la signora Boehlinger non lo faceva.»
«No, lei scendeva direttamente a prendere la macchina.»
Petra batté l’indice su uno dei monitor. «Il sistema a circuito chiuso controlla anche il sotterraneo?»
«Certo, guardi.» Ramzisadeh le mostrò una lenta perlustrazione in bianco e nero di una serie di automobili parcheggiate. Spazi vuoti e tenebrosi, scintillii di radiatori e paraurti.
«Ecco», disse.
«Conservate delle registrazioni?»
«No, niente nastri.»
«Dunque non c’è modo di sapere con precisione a che ora è uscita la signora Boehlinger.»
«No, detective.»
Petra andò all’ascensore e l’agente la seguì. «Gran bell’aiuto, eh?» Il poliziotto premette il pulsante. «Si va in cima. Al centosette.»
La porta dell’appartamento di Lisa Ramsey non era chiusa a chiave e quando Petra entrò, vide la donna di servizio seduta sul bordo di un divano. La somiglianza con l’identikit mentale che aveva azzardato poco prima la sconcertò tanto da farle quasi perdere l’equilibrio. Dieci punti sul misuratore di capacità extrasensoriali.
Patricia Kasempitakpong arrivava al massimo al metro e cinquantacinque di statura per quarantacinque chilogrammi, con un grazioso faccino a forma di cuore sotto una massa densa di lunghi capelli nerissimi. Indossava un top di cotone a maglia color beige, blue jeans e ballerine nere ai piedi. Il divano era ultraimbottito come quelli in casa di Cart Ramsey. Ma niente color panna: l’intuito profetico di Petra si fermava lì.
Lisa Ramsey era stata un’amante dei colori. I divani erano di velluto rosso e blu, i parquet laccati di nero, su cui spiccava una pelle di zebra. Era una pelle vera. La testa della zebra era rivolta a un vaso di vetro nero pieno di giunchiglie gialle.
Da quel che Petra vedeva, l’appartamento era di dimensioni ridotte, con una cucina che era niente più che una nicchia di legno laccato bianco e banchi di mattonelle grigie. Il soffitto era basso e piatto. Nell’insieme uno dei tanti box disseminati per L.A. Ma l’ubicazione d’angolo al decimo piano e le porte finestre scorrevoli garantivano una vista fantastica dei quartieri ovest fino all’oceano. Il balcone era piccolo, senza mobili, senza palme in vaso. All’orizzonte galleggiava un sigaro di smog.
Due agenti in divisa si godevano il panorama. Si girarono giusto il tempo di dare un’occhiata al distintivo di Petra. Contro la parete alle spalle di Patricia Kasemeccetera c’era una scaffalatura di metallo nero con un coordinato stereo altrettanto nero e un televisore con schermo da venticinque pollici.
Niente libri.
Petra non ne aveva visti nemmeno a casa di Ramsey. Niente di meglio di un comune non-interesse alla base di una relazione.
La violenza dei colori lasciava intendere che Lisa si fosse stancata dei pastelli. O che non li avesse mai graditi.
Forse il color panna e il rosa erano l’idea che aveva Ramsey del buongusto? Interessante.
Sorrise a Patricia e Patricia la fissò senza cambiare espressione. Petra le si avvicinò e si sedette accanto a lei.
«Salve.»
La cameriera era impaurita ma dopo un po’ cominciò a sciogliersi. Inglese fluente, nata in America. («Non sforzatevi di pronunciare il mio cognome, mi chiamano tutti Patsy K.») Lavorava per Lisa da due mesi, non vedeva in che maniera potesse essere d’aiuto.
Un’ora di colloquio non produsse niente di valore.
Lisa non le aveva mai detto perché aveva lasciato Ramsey, né fra loro era mai emerso l’episodio di violenza coniugale. Aveva accennato una volta all’eccessiva differenza di età, affermando che sposarlo era stato un errore. La collaboratrice domestica aveva una stanza per sé. Faceva le commissioni, era incaricata delle pulizie. Lisa era un ottimo principale, pagava sempre con puntualità, era una donna estremamente ordinata e pulita. Una «persona veramente a modo».
Patsy K. non ebbe difficoltà a piangere.
Quanto agli alimenti, dichiarò che Lisa riceveva mensilmente un assegno da una ditta che si chiamava Player’s Management.
«C’è un biglietto da visita sul frigorifero.» Petra lo recuperò. L’indirizzo era sul Ventura Boulevard in Studio City. In fondo c’era il nome di Gregory Balch. Financial Manager. Ramsey la pagava tramite la sua azienda.
«Sa a quanto ammontavano gli assegni?»
Patsy arrossì, senza dubbio ricordando una sbirciatina indiscreta.
«Tutto quello che può dirci ci sarà di grande aiuto», la incalzò Petra.
«Settemila.»
«Al mese?»
Patsy annuì.
Ottantaquattromila dollari l’anno. Abbastanza per far fronte all’affitto e alle bollette e divertirsi un po’, ma non più che una goccia nell’oceano a sei zeri di Ramsey. Ma erano lo stesso cose che bruciavano. Dover pagare soldi a qualcuno per cui provi rancore. Qualcuno che ti ha umiliato in televisione su una rete nazionale.
C’era aria di tensione, ma niente che potesse configurarsi in un movente.
Dunque Lisa aveva considerato Ramsey troppo vecchio per lei. Aveva alluso a un gap generazionale, «Lisa e il signor Ramsey si sentivano per telefono?»
«Non che io sappia.»
«C’è nient’altro che può dirmi, Patsy?»
La cameriera scosse la testa e riprese a piangere. Gli agenti che contemplavano il tramonto sul balcone non si girarono neppure. «Era brava. Certe volte sembrava che fossimo vere amiche, si cenava insieme quassù quando non usciva. Io conosco abbastanza bene la cucina thai e a lei piaceva.»
«Lisa usciva spesso?»
«Anche due o tre volte la settimana. Ma poi non usciva per lunghi periodi.»
«Dove andava?»
«Non me l’ha mai detto.»
«Ha un’idea?»
«A vedere dei film, credo. Proiezioni speciali. Era editor cinematografico.»
«Per chi lavorava?»
«La Empty Nest Productions. Sono agli Argent Studios, a Culver City.»
«Quando usciva, chi l’accompagnava?»
«Uomini, immagino, ma da quando ho cominciato a lavorare qui non li ha mai portati in casa.»
«S’incontrava con loro da basso?»
Patsy annuì.
«Però lei ritiene che fossero uomini», disse Petra.
«Era molto bella. Aveva vinto un concorso di bellezza.» Patsy lanciò un’occhiata agli agenti sul balcone.
«Durante i due mesi che ha lavorato qui nessuno di quegli uomini è mai salito?»
«Uno è salito, ma non so se era uno di quelli che l’accompagnavano fuori. Lavorava con lei. Credo che si chiamasse Darrell. Di colore.»
«Quante volte è salito?»
«Due, mi pare. Forse il nome era Darren.»
«Quand’è stato?»
Patsy pensò. «Forse un mese fa.»
«Me lo sa descrivere?»
«Alto, con la pelle chiara, per essere un nero, intendo. Capelli corti, molto curato nel vestire.»
«Barba o baffi?»
«No, non mi pare.»
«Anni?»
«Sulla quarantina.»
Di nuovo un uomo più vecchio di lei. Il viso di Patsy era rimasto inespressivo. L’ironia le era sfuggita.
Lisa in cerca di una figura paterna?
«Che orari di lavoro faceva Lisa?»
«Non aveva orari precisi», rispose Patsy. «Quando la chiamavano doveva farsi trovare pronta.»
«Il signor Ramsey non è mai stato in questa casa.»
«Non in mia presenza.»
«E niente telefonate.»
«Lisa parlava raramente al telefono. Il telefono non le piaceva, spesso lo staccava per stare in pace.»
«D’accordo», disse Petra. «Dunque il suo giorno di libertà è domenica.»
«Da sabato sera fino a lunedì mattina. Quando sono arrivata qui alle otto, Lisa era già uscita. Ho pensato che avesse ricevuto una chiamata notturna. Poi sono arrivati gli agenti.»
Cercò di dominarsi e cominciò a dondolare, tossì, le andò di traverso la saliva. Petra le prese una bottiglia di San Pellegrino da un piccolo frigorifero bianco. Ci aveva trovato altre tre bottiglie, uva fresca, tre confezioni di yogurt al lampone senza grassi, cottage cheese. Piatti dietetici nel freezer.
Patsy bevve. Quando posò la bottiglia, Petra la ringraziò. «Mi è stata davvero d’aiuto. L’ho apprezzato.»
«Tutto quello che… ancora non posso credere…» Patsy si asciugò gli occhi.
«Ora devo rivolgerle una domanda difficile, ma non posso evitarlo. Lisa faceva uso di droghe?»
«No… lei… io non l’ho mai vista.» La bottiglia di San Pellegrino tremò.
«Patsy, la prima cosa che farò quando avremo finito la nostra chiacchierata sarà perquisire questo appartamento da cima a fondo. Se ci sono stupefacenti, li troverò. Personalmente, non m’importa niente se Lisa li prendeva. Io sono della Omicidi, non della Narcotici. Ma le droghe portano alla violenza e Lisa è stata assassinata in un modo molto violento.»
«Non era così», protestò Patsy. «Non era dipendente. Ogni tanto sniffava, ma senza nessuna regolarità.»
«Nient’altro a parte la cocaina?»
«Un po’ d’erba.» A sguardo abbassato. Come dire che Lisa aveva forse fumato marijuana con lei? O che Patsy aveva sgraffignato dalle sue scorte?
«Ma non succedeva quasi mai», insisté la domestica. «Quando capitava.»
«E capitava spesso?»
«Non lo so. Io non l’ho mai vista con i miei occhi. La coca, intendo.»
«E l’erba?»
«Certe volte si faceva uno spinello mentre guardava la televisione.»
«Dove sniffava?»
«Sempre in camera sua. Con la porta chiusa.»
«Quante volte?»
«Non molte. Forse una volta alla settimana. Ogni due settimane. Se lo so è solo perché ho visto della polvere sul suo comò e certe volte si dimenticava di mettere via la lametta e aveva il naso tutto rosa e si comportava in una maniera diversa.»
«Diversa come?»
«Su di giri. Carica. Niente di straordinario, solo un po’ spinta.»
«Irascibile?»
Silenzio.
«Patsy?»
«Certe volte le veniva un po’ di malumore.» La minuscola thailandese si raggomitolò in se stessa. «Ma nel complesso era una gran brava persona.»
Petra addolcì il tono della voce. «Dunque una volta la settimana. In camera sua.»
«Non l’ha mai fatto davanti a me. Io sono lontana mille miglia da quel genere di cose.» Si passò la lingua sulle labbra.
«Ha idea di come si procurasse la coca e l’erba?»
«Nessuna.»
«Gliene ha mai parlato?»
«Mai.»
«E non ci sono state transazioni in questo senso qui in casa?»
«Assolutamente no, mai. Pensavo che lo facesse al suo studio.»
«Perché?»
«Perché nell’Industria gira dappertutto. Si sa.»
«Gliel’ha detto Lisa?»
«No», rispose Patsy. «È quello che si sente in giro. In TV lo dicono sempre, no?»
«Va bene. Ora do un’occhiata in giro», annunciò Petra. «La prego di trattenersi ancora un po’.»
Si alzò e guardò in direzione del balcone. Il cielo era di uno strano blu zaffiro, saturo ma venato di arancione. I due poliziotti erano incantati. A un tratto, Petra udì il traffico nella via. C’era sempre stato, ma lei si era isolata nel suo lavoro. Autoipnosi da interrogatorio.
Cominciò dalla camera da letto di Patsy. Uno sgabuzzino nobilitato, per la precisione. Letto singolo, cassettiera di quercia e comodino in stile. Capi d’abbigliamento di Target, Gap, Old Navy. Sulla cassettiera c’era un televisore portatile. Nel cassetto del comodino due libri di cosmesi e un vecchio numero di People.
Un solo bagno, condiviso dalle due donne, rimpicciolito dal gioco delle piastrelle bianche e nere, vasca con idromassaggio nera. Dall’armadietto dei medicinali apprese che Patsy K. aveva assunto cortisone per un eritema e che Lisa soffriva di ricorrenti infezioni da saccaromiceti per le quali il medico le aveva prescritto un antifungino. Niente pillole contraccettive, che però potevano essere in un cassetto. Il resto erano i soliti prodotti di vendita al banco.
Passò alla camera da letto di Lisa.
Due volte più spaziosa di quella di Patty, ma tutt’altro che generosa. Nell’insieme, un miniappartamento molto compatto. Forse Lisa aveva cercato il conforto della semplicità dopo l’hacienda rosa.
Il letto era matrimoniale, con una sopraccoperta di raso rosso vermiglio e lenzuola nere. Mobili laccati in nero, una macchina ginnica, sempre nera, per lo sci di fondo sistemata in un angolo, flaconi di profumo sul canterano, Giò e Poison. Pareti nude. Ordine immacolato, proprio come aveva detto Patsy.
Trovò la droga nell’ultimo cassetto del canterano. Granuli bianchi in una bustina semitrasparente e un altro pacchetto con tre spinelli ben confezionati, nascosti sotto maglioni e pantaloni da sci e altri indumenti invernali. Niente pillole anticoncezionali, niente diaframma. Forse Lisa aveva davvero aspirato alla fantomatica pace dei sensi.
Contrassegnò le droghe e le ripose in due buste, quindi richiamò gli agenti dal balcone, mostrò loro la cocaina e chiese loro di portarla al deposito di Hollywood.
Posato sopra il comò c’era un portagioie. Perlopiù bigiotteria, a parte due fili di perle coltivate. Dunque Lisa per quell’ultima sera aveva indossato i pezzi migliori della sua collezione. Un appuntamento importante? Petra passò agli altri cassetti.
Trovò lingerie maliziosa, ma mai volgare, un paio di camicie da notte molto pratiche di flanella, biancheria intima di cotone e seta, T-shirt e calzoncini, pullover e maglie e tre paia di blue jeans di produzione francese, freschi freschi di lavanderia e acquistati da Fred Segai in Melrose. Gli indumenti contenuti nella cabina-armadio, completi di giacca e pantaloni, vestiti, sottane e camicette, erano firmati da Krizia, Versus, Emporio Armani, taglie quarantaquattro e quarantasei.
Molto nero, un po’ di bianco e rosso, un pizzico di beige, una sola sottana a portafoglio in jacquard di un verde così brillante che spiccava come un pappagallo su un albero morto. Per terra, punte all’infuori, erano allineate su tre file precise trenta paia di scarpe. Quelle importanti erano tutte Ferragamo, quelle per tutti i giorni erano Kenneth Cole. Due paia di scarpe da corsa bianche, uno quasi nuovo.
Nel cassetto del comodino Petra trovò un libretto di assegni della Citibank, un libretto di risparmio della filiale della Home Savings situata in Beverly Hills e, infilato tra le matrici del libretto degli assegni, il biglietto da visita di un broker della Merrill-Lynch a Westwood, un certo Morad Ghadoomian, di cui trascrisse nome e numero.
Tremila dollari su un conto corrente, ventitremila e rotti su un libretto di risparmio, con due rilevanti depositi mensili: i settemila dollari degli alimenti e altri tremilaottocento che dovevano essere quelli del suo stipendio di editor.
Spiccavano anche due prelievi mensili, altrettanto regolari, per l’importo di duemiladuecento il primo, presumibilmente per l’affitto, e milleduecento il secondo, probabilmente il salario di Patsy K. Le spese correnti variavano dai due ai quattromila dollari mensili.
Più di diecimila di entrate al mese, cinque o sei di uscite, per un saldo che le metteva a disposizione una bella sommetta con cui una ragazza single aveva di che divertirsi. Lo stipendio le veniva versato al netto delle tasse. Quelle sugli alimenti le avrebbero sottratto parte del reddito e una fetta ancora maggiore della torta se la sarebbero mangiata la coca e gli abiti firmati, ma visto che Lisa era riuscita a mettere via ventitremila dollari, c’era da ritenere che il suo vizio non era stato di dimensioni mostruose.
Qualche sniffata a casa. Forse anche sul lavoro, con gli omaggi dei colleghi dell’Industria.
In cambio di che cosa?
Ramsey era il primo indiziato, ma c’erano un sacco di lacune da colmare.
Finì verso le tre e mezzo, trascrisse il nome dell’amica presso la quale Patsy K. avrebbe alloggiato ad Alhambra e ordinò agli agenti di sorvegliare la cameriera mentre faceva i bagagli.
Trascorse le due ore successive bussando alle porte del piano su cui abitava Lisa e dei due immediatamente contigui, sopra e sotto, per finire con le vie secondarie che fiancheggiavano il caseggiato. Nessuna delle poche persone che trovò in casa aveva visto Lisa uscire domenica sera o nella notte tra domenica e lunedì, nessuno aveva scorto la Porsche nera.
Le cinque e mezzo; ora avrebbe dovuto riprovare i Boehlinger.
Perché non l’aveva lasciato fare a Stu? La buona samaritana! Non che lui avesse mostrato molta gratitudine.
A rigor di logica avrebbe dovuto tornare alla stazione di Hollywood e usare un telefono del dipartimento per una chiamata di servizio, ma proprio non se la sentiva di rivedere l’ufficio e si recò direttamente alla sua abitazione in Detroit Avenue, appena a est di Park La Brea.
Abbandonò la giacca su una sedia e in quel momento si accorse di avere una gran voglia di bere qualcosa di fresco. Tentò invece subito il numero di casa dei Boehlinger. A quell’ora a Cleveland era sera. Segnale di linea occupata. Sperò di non essere stata preceduta da qualcun altro.
Prese dal frigorifero una lattina di analcolico gassato, si sbarazzò delle scarpe e si sedette a bere al tavolo dell’angolo-pranzo. Quando si mise a pensare alla cena, scoprì di non avere appetito. Le echeggiò nella mente la voce di suo padre che la esortava con dolcezza: Nutrimento, piccola. Bisogna mantenere quegli aminoacidi belli sazi e vigorosi.
L’aveva cresciuta lui, aveva il diritto di comportarsi da madre. Quando pensava alla sua morte sporca e crudele, provava un dolore lancinante. Scacciò in fretta l’immagine del padre dalla mente e il vuoto che ne risultò non era meno orribile.
Nutrizione… cacciar giù un sandwich. Salame rinsecchito su mezza ciabatta rafferma, senape e maionese, qualcosa di verde, sottaceti kosher, per andare sul sicuro, con il benestare dell’Antisofisticazioni.
Preparatosi un piatto, lo abbandonò al suo destino e provò a telefonare per la terza volta. Ancora occupato. Possibile che la notizia avesse raggiunto gli organi d’informazione così in fretta?
Accese il televisore e saltò da un canale all’altro. Niente. La radio, preselezionata sulla KKGO, le propose una sinfonia mentre sbocconcellava il sandwich raffermo.
Anche lei aveva la sua piccola abitazione che teneva in ordine. Per metà dell’affitto che pagava Lisa. All’inizio, con Nick, era vissuta in un appartamento di West L.A., ma dopo l’impulsivo matrimonio a Las Vegas, si erano trasferiti in un’abitazione molto più grande, uno studio su due piani in Fountain, vicino a La Cienega, finestre artistiche, pavimenti in parquet, cortile con fontana, squisita architettura spagnolesca. C’era spazio più che sufficiente per due persone che lavoravano in casa. Nick sosteneva di aver bisogno di spazio per sgranchirsi e aveva rivendicato la camera da letto padronale come posto di lavoro.
Non l’avevano mai arredato, erano vissuti in mezzo a scatoloni e casse, avevano dormito su un materasso nella stanza più piccola. Il cavalletto e i colori di Petra erano finiti da basso, nel tinello per la prima colazione. Esposizione a est. Chiudeva le tende per arginare la luce eccessiva del mattino. Ora il cavalletto era in soggiorno e ancora era quasi totalmente priva di mobili. Perché farsene un problema, quando era a casa raramente se non per dormire e non riceveva visite?
L’appartamento in cui viveva era appena a sud della Sesta Strada, una simpatica vecchia costruzione con i muri spessi, i soffitti alti, modanature, pavimenti in quercia incerata, moderato tasso di criminalità nel quartiere. A ottocento dollari al mese era un affare accordatole dalla proprietaria, un’immigrata taiwanese di nome Mary Sun felice di avere per inquilino un poliziotto. Le aveva confidato: «Questa città, tutti questi neri, brutta storia».
Museum Row era a pochi minuti a piedi e altrettanto facilmente raggiungibili erano le gallerie di La Brea, anche se Petra ancora non ne aveva visitata una.
Quando aveva la domenica libera, cercava sul giornale aste, mercatini delle pulci, mostre d’antiquariato. Anche svendite nei box di casa, quando erano in quartieri dignitosi.
Era raro che trovasse qualcosa. La gente in generale è propensa a credere che le sue immondizie siano tesori e comunque lei era più una spigolatrice che un’acquirente. Ma i pochi oggetti che aveva comperato erano di valore.
Un’elegante testiera in ferro, probabilmente francese, con una patina che non poteva essere falsa. Due comodini di betulla con stampinature floreali e ripiani in marmo giallo. L’anziana signora con cui aveva mercanteggiato aveva sostenuto che fossero inglesi, ma Petra sapeva che erano svedesi.
Vecchie bottiglie che conservava sul davanzale della finestra in cucina, la statua di bronzo di un bambino con un piccolo cane, anch’essa di origine francese.
Nient’altro.
Trasferì il suo sandwich sul piano di lavoro in cucina. Le piastrelle erano vecchie e qua e là screpolate. La cucina a Fountain aveva i piani di lavoro in granito blu.
Freddi.
Nick aveva due modi per fare l’amore. Il Piano A era dirle quanto l’amava, accarezzarla dolcemente, talvolta troppo dolcemente, ma lei non protestava mai, anche perché prima o poi arrivava a esercitare la pressione giusta. Le baciava il collo, gli occhi, la punta delle dita, mentre proseguiva nel suo sottofondo romantico, quant’era bella, che donna speciale, che privilegio per lui essere dentro di lei.
Il Piano B era issarla sul granito blu, sollevarle la sottana, sfilarle gli slip mentre contemporaneamente chissà come riusciva ad aprirsi la patta, posarle le mani sulle spalle e piombarle dentro come un attacco alla trincea nemica.
All’inizio la eccitavano ugualmente A e B.
In seguito aveva perso il gusto del B.
In seguito lui aveva preteso solo il B.
Tutt’a un tratto vide il salame, il pane, senape e maionese come reperti. Spinse via il piatto, sollevò il ricevitore.
Questa volta le rispose una voce maschile: mezza età, colto.
«Dottor Boehlinger.»
Distaccato ma calmo. Dunque non sapevano ancora.
Il cuore di Petra correva; informare la madre sarebbe stato peggio?
«Dottore, sono il detective Connor del dipartimento di Polizia di Los…»
«Lisa.»
«Scusi?»
«È per Lisa, vero?»
«Temo di sì, dottore. È…»
«Morta?»
«Purtroppo, dottore…»
«Maledizione, maledizione, maledizione! Quel bastardo, quel lurido bastardo, quel bastardo!»
«Ma chi…»
«Lui, no? Quella spazzatura d’uomo che aveva sposato! Ce l’aveva detto! Ci aveva detto che se le fosse successo qualcosa, sarebbe stato lui! Oh Dio, la mia bambina! Oh, Gesù! No, no, no!»
«Sono deso…»
«L’ammazzo. Io l’ammazzo, quel bastardo! Oh Gesù, no, la mia bambina, la mia povera bambina!»
«Dottore», disse lei, ma non riuscì a fermarlo. Lui continuò a gridare e inveire e giurare vendetta in una voce la cui inflessione riusciva a rimanere incredibilmente quella di una persona colta.
Finalmente restò senza fiato.
«Dottor Boeh…»
«Mia moglie», sbottò lui, costernato. «Questa sera è fuori, è andata a quella dannata riunione degli ausiliari ospedalieri. Di solito capita a me di essere fuori, lei è sempre a casa. Lo sapevo! Lisa aveva paura di lui, io lo sapevo, ma mai avrei pensato che finisse così!»
Silenzio.
«Dottor Boehlinger?»
Nessuna risposta.
«Dottore? Sta bene?»
Altro silenzio, poi un «Cosa?» esile, strozzato e Petra capì che aveva pianto, stava cercando di mascherarlo.
«Cosa?» ripeté lui.
«So che è un momento terribile, dottore, ma se potessimo parlare per un…»
«Sì, sì, parliamo. Almeno finché non torna a casa mia moglie. Poi… Gesù… Che ore sono? Le undici meno venti. Anch’io sono appena tornato. Tutto il giorno a salvare la vita a un branco di imbecilli mentre la mia piccola…»
Petra trasalì assordata all’improvviso da un terribile scoppio di risa. Cercò qualcosa con cui tenerlo agganciato. «Lei è chirurgo, dottore?» gli chiese.
«Al pronto soccorso. Dirigo il pronto soccorso al Washington University Hospital. Come l’ha fatto?»
«Scusi?»
«Come. Il metodo. L’ha strangolata? Di solito i mariti uccidono le mogli sparandogli o strozzandole. Almeno così ho visto io. E lui? Come lo ha fatto?»
«Sua figlia è stata accoltellata, dottore, ma ancora non sappiamo chi…»
«Oh sì che lo sapete, mia cara… non ricordo più come si chiama. Sì, lo sapete per forza, lo sapete perché sono io a dirvelo. È stato lui. Inutile sprecare tempo a cercare. Arrestate quell’animale e avrete risolto il caso.»
«Dottore…»
«Ma lo vuole capire sì o no?» esplose Boehlinger. «Lui la picchiava! Lisa ci ha chiamato per dircelo. Un maledetto attore. Giusto un gradino sopra quello di una puttana! Troppo vecchio per lei, ma quando l’ha picchiata è stata l’ultima goccia.»
«Che cosa le ha raccontato Lisa dell’incidente?»
«Incidente!» ruggì lui. «Si era infuriato per non so che cosa e l’ha pestata. Lisa ci avvertiva che sarebbe stato in televisione, voleva che fossimo informati prima della trasmissione. Aveva detto che aveva paura di lui. Al pronto soccorso ne vedo un giorno sì e un giorno no, ma ritrovarsi con la propria figlia… Mi ha detto di essere detective, giusto? Signorina…»
«Connor. Sì, dottore, sono della polizia. E ho esperienza di violenza domestica.»
«Violenza domestica», ripeté Boehlinger. «Ci piace anestetizzarci con il politicamente corretto. Questo è pestaggio di moglie, altro che violenza domestica! Io sono sposato da trentaquattro anni e non ho mai alzato un dito su mia moglie! Prima l’abbindola con i suoi modi da principe azzurro, poi getta la maschera e diventa il signor Hyde. Aveva paura di lui, signorina Connor. Fifa blu. Per questo l’aveva lasciato. Noi l’avevamo scongiurata di tornare nell’Ohio, di non restare in quella melma psicopatica che c’è giù da voi. Ma non ha voluto, amava troppo il cinema, aveva la sua stramaledetta carriera! E guardi dove l’ha portata… Oh, Gesù, la mia bambina, la mia piccola!»