48

In El Salvador era un’ora più tardi che a L.A. e Petra dubitava di trovare ancora al suo studio il figlio di Estrella Flores. Tentò comunque, non ottenne risposta, si mise in contatto con un’operatrice internazionale, trovò altri tre numeri corrispondenti a Javier Flores ed ebbe fortuna con il secondo.

«Sono preoccupato per mia madre», affermò l’avvocato in un inglese corretto nonostante l’accento pesante. «La vostra è una città pericolosa. Mia madre non guida. Dove potrebbe essere andata? Ho chiamato Ramsey, ma non mi ha risposto. Mia madre mi dice che vive in campagna. Com’è possibile che se ne sia andata per conto proprio se non era nemmeno in città? Non sa guidare. Dove dovrebbe essere andata? C’è qualcosa che non mi piace!»

Flores parlava da inquirente. Un professionista colto. Allora come mai sua madre puliva case altrui?

Come se fosse abituato a quella domanda, disse: «Le ho chiesto non so quante volte di tornare a casa a vivere con noi, ma è una donna molto indipendente. Resta il fatto che non guida. Dove potrebbe essere andata? Non può avere relazione con la signora Ramsey… vero?»

«Sua madre le ha raccontato della signora Ramsey?»

«No, l’ultima volta che le ho parlato è stato domenica, il giorno prima che accadesse. L’ho letto sui giornali. Io leggo quotidiani americani. Che cosa state facendo per trovarla, detective?»

«Sono in contatto con tutti gli uffici che si occupano di persone scomparse, signore. Le ho telefonato per avere conferma che non ci siano luoghi dove sua madre possa essersi recata. Per esempio qualche parente, un…»

«No, nessuno», ribatté Flores. «Non conosce nessuno. Dunque non pensate che abbia a che fare con la signora Ramsey?»

«Non abbiamo nessun indizio in tal senso, signore…»

«Per piacere!» proruppe lui. «Non sono uno stupido! È possibile che sia venuta a conoscenza di qualcosa che la metta in pericolo?»

«Onestamente non le so rispondere, signor Flores. Finora non abbiamo trovato niente che ci induca a pensarlo. Sua madre non le ha mai fatto confidenze sui Ramsey che potrebbero essere rilevanti? Specialmente quando vi siete sentiti domenica scorsa?»

«No, non si è parlato di loro. Mi ha chiesto come andava il suo conto in banca. Mi spedisce i suoi soldi e io glieli verso. Sta risparmiando per comperarsi la casa.»

«Tutti i suoi soldi venivano spediti in El Salvador?»

«Tolto quello che serviva per pagare le tasse in America.»

«E in qualche conversazione precedente?» domandò Petra. «Che cosa pensava dei Ramsey?»

«Diceva che la moglie era giovane, simpatica, non troppo esigente.»

«E il signor Ramsey era esigente?»

«Un po’. Ha delle automobili di valore che voleva che venissero lucidate in continuazione. Ma era un buon posto di lavoro, meglio di quello che aveva prima. Gente sempre scontenta, non facevano che criticare.»

«Si ricorda come si chiamavano?»

«Abitavano in un’altra zona della città, a Brentwood. Hooper.

I signori Hooper. Lui passava sempre un dito sui mobili per vedere se c’era polvere. Lei beveva troppo e non la pagavano troppo bene.»

«Nomi di battesimo?»

«Non… aspetti, ho l’indirizzo qui sulla mia agenda… ecco, Hooper. Ho il numero.»

Petra lo trascrisse. «Li chiamerò, signor Flores.»

«Li chiamerò anch’io», replicò lui. «Ma non credo che mia madre sarebbe tornata da loro.»

«Nient’altro che possa dirmi sui Ramsey?»

«Quello che non le piaceva era l’assistente. Spettava a lui pagarle lo stipendio ed era sempre in ritardo con l’assegno. È andata un po’ meglio solo dopo che si è lamentata con la signora.»

«Parla del signor Balch?»

«Non mi ha mai detto come si chiama, ha solo detto che è uno… snob. Che si dà delle arie. A mia madre non piaceva.»

«E il signor Ramsey?»

«Non parlava molto di lui. Crede che abbia ucciso la moglie?»

«Signor Flores, a questo punto io non…»

«Va bene, va bene, a me importa solo mia madre.»

«Farò quello che posso per rintracciarla, avvocato. Per quel che ne sa lei non c’erano conflitti con il signor Ramsey? Nessun motivo perché sua madre decidesse di lasciarlo senza preavviso?»

«Non era a casa molto spesso. La villa era grande e a lei non piaceva restare sola.» Gli tremò la voce. «È successo qualcosa, lo sento.»

Petra aveva appena riattaccato, quando il telefono squillò. La voce era quella della centralinista in servizio alla stazione. «Ha chiamato un certo dottor Boehlinger.»

«Ha lasciato un messaggio?»

«Solo di ritelefonargli. Lo ha ordinato, non chiesto.»

Giusto ciò di cui aveva bisogno. Serrò i denti, compose il numero dell’albergo dove alloggiava Boehlinger. Era fuori. Ringraziamo la buona sorte anche nelle sue versioni più modeste.

Chiamò gli Hooper a Bel Air. Occupato. Forse era già in linea Javier Flores.

Provò di nuovo e le rispose una donna dalla voce gutturale. «Oh, Gesù, ho appena parlato con suo figlio. No, non l’ho vista.» Una risata nel naso. «Da quando in qua la polizia cerca di far rientrare gli illegali?»

«Grazie, signora Hooper.» È stata lei ad assumerla quando era un’immigrata illegale, cara la mia signora. Clic.

Venne da lei Wil Fournier a mostrarle un foglio. Una quarantina di nomi, tutti spuntati eccetto tre. «Soffiate. Il nostro ladruncolo è stato avvistato in ogni angolo dello stato, ma sono quasi tutte fantasie. Chi ha aperto le porte del manicomio?» Si allentò la cravatta. Il palmo marrone della sua mano era macchiato di inchiostro. «Una simpaticona di San Francisco sostiene che è il figlio che ha abbandonato dopo averlo messo al mondo, stava per chiamare Unsolved Mysteries, i soldi le farebbero senz’altro comodo perché vuole diventare psicologa. Un tizio afferma che il bambino non è un bambino, è una specie di guru mistico, un’apparizione, si materializza nei momenti di crisi a ‘decretare i giudizi’. Potrebbe approssimarsi la fine del mondo.»

«Su questo potrebbe non avere tutti i torti», commentò Petra.

«Basta che non mi freghino la pensione», si preoccupò Fournier. Le indicò i tre nomi rimasti. «Questi sono plausibili. Due giungono dalla stessa località, un posticino che si chiama Watson, tra Bakersfield e Fresno. Nessuno dei due conosce il bambino per nome, ma tutti e due credono di averlo visto. Non mi sono sembrati né balordi né a caccia di soldi e mi sembra interessante il fatto di due segnalazioni giunte da un posto piccolo come quello. Ho provato le forze dell’ordine. Ordine sì, forti non direi, sono due in tutto ed erano tutt’e due fuori. Ho parlato con una donna che potrebbe avere cento anni. Quest’ultimo nome dev’essere di un avvoltoio, accento russo, ma almeno mi è sembrato con la testa sulle spalle. Sostiene di aver visto il bambino a Venice stamattina, ha descritto com’era vestito, T-shirt e jeans, ha detto che aveva l’aria di aver dormito per la strada, aveva tracce di sale sulla faccia, come se si fosse lavato nell’oceano. Era anche graffiato.»

«Un osservatore.»

«Per questo non l’ho scartato. Ha un baracchino di souvenir sull’Ocean Front a Venice e dice che stamattina ha venduto un cappello al ragazzo. Poi lo ha visto dirigersi verso nord. Gli è sembrato strano che fosse in giro da solo, un bambino di quell’età, in pieno giorno. E il fatto che abbia comperato un cappello. Non gli capita mai di vendere cappelli ai bambini.»

«Per nascondersi la faccia?»

Fournier si strinse nelle spalle. «Può essere. Se ha letto il giornale di oggi e sappiamo che è un avido lettore. D’altra parte, sei latitante, al verde, non sai più dove andarti a nascondere, qualcuno ti offre venticinquemila dollari se ti costituisci. A te non verrebbe voglia di incassare?»

«È un bambino, Wil. Probabilmente un bambino maltrattato. Perché dovrebbe fidarsi? Sentirsi abbastanza sicuro di sé da diventare calcolatore? E se ha assistito all’omicidio, può essere troppo impaurito per pensare ad arricchirsi.»

«Forse hai ragione. O magari non è stato lì durante il delitto e pensa che non valga la pena affannarsi troppo. Il russo comunque ha messo gli occhi sulla ricompensa.»

Petra ne lesse il nome a voce alta. «Vladimir Zhukanov.»

«Un’altra cosa», aggiunse Fournier. «Il fatto che sia russo. Non voglio sembrare prevenuto, ma sai anche tu che razza di fregature è capace di tirare quella gente.» Ripiegò la sua lista e la intascò. «Passerò a trovarlo. Ho un appuntamento a Santa Monica questa sera, vado a cena al Loew’s. Ci sei mai stata?»

Petra scosse la testa.

«Zhukanov dice che terrà aperto fino a tardi per parlarmi. Per finire, Schoelkopf mi ha chiamato di nuovo nel suo ufficio, mi ha spremuto per un po’. Potrei essere costretto a dargli qualcosa, Barb. Dopodiché, bam, finisce tutto in pasto ai giornali e noi a correre di qua e di là come giocattolini a molla.»

«Se sei costretto, fallo», lo esortò Petra. «Ci è già sfuggita di mano.»


Stava per andarsene anche lei alle sette quando il telefono squillò di nuovo.

«Il signor Lawrence Schick desidera parlarle, attenda prego», annunciò una voce femminile. Dieci secondi di pessima musica, poi un’assonnata voce maschile: «Con quale detective ho il piacere di parlare?»

«Detective Connor.»

«Buonasera, detective Connor, sono Larry Schick.»

Pausa densa di significato. Si supponeva che sapesse chi era. Infatti. Avvocato da seicento dollari l’ora, penalista, soprattutto celebrità trovate al volante in stato di ubriachezza, figli di attori che giocavano con le armi da fuoco, altri reati di una certa delicatezza. Lo aveva visto all’opera ma non lo aveva mai conosciuto di persona. Gli imputati di cui si occupava lei non avrebbero potuto permettersi nemmeno un mozzaorecchie della Western Avenue.

«Buonasera, avvocato.»

«Buonasera, detective. Come va con il caso Ramsey?»

Finalmente si posavano i primi mattoni del muro. «Me lo chiede da cittadino coscienzioso, avvocato?»

Schick rise. «Io sono sempre coscienzioso, però no, detective Connor, sono stato assunto dal signor Ramsey per rappresentarlo in merito. Dunque la prego, d’ora in poi, di inoltrare ai miei uffici ogni ulteriore comunicazione.»

Uffici. Al plurale. Guarda, mamma, sono importante!

«Ulteriori comunicazioni», disse Petra.

«Qualunque cosa sia pertinente al caso», specificò Schick.

«Mi sta dicendo che non possiamo parlare al signor Ramsey senza aver prima informato lei, avvocato?»

«Allo stato attuale delle cose», rispose Schick, «sarebbe consigliabile, detective. Buonanotte.»

«Altrettanto», disse Petra al ricevitore muto. Il giorno prima aveva chiacchierato con Ramsey in cucina. Ora questo. Dal punto di vista di Ramsey c’erano stati due sviluppi: il secondo colloquio e la visita a Balch. Aveva toccato nell’uno o nell’altro caso qualche nervo scoperto?

Rilesse gli appunti. La conversazione con Ramsey non aveva rivelato niente di trascendente… lui aveva accennato all’eventualità di essere sospettato… No, non era rilevante. Un argomento nuovo: Estrella Flores.

Passò al colloquio con Balch. La «scoperta» di lui e Ramsey a Hollywood, il brutto carattere di Lisa, l’episodio di violenza coniugale. Estrella Flores.

L’elemento chiave era dunque la cameriera?

Che cosa aveva visto la Flores quella sera?

O era invece il ragazzo di cui l’identikit era apparso sul giornale? Ramsey che pensava di aver realizzato il delitto perfetto e s’imbatteva nel peggior incubo di tutti i criminali: il teste misterioso.

Quanto le sarebbe piaciuto guardare in quel momento in quegli occhi celesti da bimbo, scrutarne la recondita paura.

Dunque da quel momento in avanti quella gioia le sarebbe stata negata.

Ma nessuno, nemmeno un soprappagato penalista, avrebbe potuto impedirle di capitare per caso nei paraggi di casa Ramsey e fare un salto a trovarlo.


Comperò un sandwich di arrosto a un Arby’s sul Sunset e lo consumò seduta in macchina, masticando carne e sospetti, osservando le creature della notte che emergevano dall’oscurità, pensando che anni prima avrebbe avuto paura ad avvicinarsi tanto. Alle sette e quaranta partì alla volta di Calabasas. Esauritasi l’ora di punta, viaggiò veloce e si presentò davanti alla guardiola di RanchHaven alle otto e trentatré.

In servizio c’era un giovane, mento sfuggente, atteggiamento abbacchiato. Magro dappertutto eccetto che intorno alla vita, dove il tessuto della camicia era più teso. Quando la vide arrivare, s’incrociò le braccia sul petto. La posa da vigile mastino, ridicola in assenza di una vera minaccia, si sciolse quando la poté vedere da vicino. Un sorriso sbilenco animò la torta insipida che aveva per faccia. Un cascamorto. Perfetto. Aveva sopracciglia quasi invisibili. Sul distintivo il nome era D. Simkins.

Uscì dalla guardiola, la osservò, aprì il cancello. Petra avanzò con la macchina.

«Come va?» Niente signora. Un saluto alla mano perché si presentava a bordo di una Honda, non una Porsche, non era una del posto.

Petra gli mostrò il distintivo.

«Oh», fece lui indietreggiando di un passo e raddrizzandosi i calzoni. «Era ora, detective.»

«In che senso?»

«La notte in cui è stata uccisa Lisa Ramsey ero in servizio io. Mi chiedevo quando sareste venuti a cercarmi.» Agitò il dito in segno di disapprovazione.

Petra si sentì in dovere di sorridere. «Ebbene, eccomi qui, signor Simkins.»

Parcheggiò, smontò, entrò nella guardiola senza chiedere permesso. Lui la seguì. Era una scatola di vetro, in due ci si stava appena. Simkins si appoggiò a un banco, la ripassò con lo sguardo dalla testa ai piedi, senza vergogna.

A parte un armadietto per le provviste, in guardiola c’era una sola poltroncina a rotelle che Simkins le offrì. Petra rimase in piedi.

Districò il taccuino nello spazio ridotto mentre prendeva nota dell’attrezzatura. Telefono a più linee, ricetrasmettitore, walkie-talkie. I due monitor di un impianto a circuito chiuso erano sospesi sopra il banco. In uno si controllava l’imboccatura della strada principale, mentre l’altro era così scuro che le era difficile stabilire se fosse acceso. Accanto al telefono un sacchetto di carta unta e un Rolling Stone. In copertina una sconosciuta rockstar sulla cresta dell’onda, spille nelle sopracciglia, una borchia d’argento nella lingua.

«Dunque che cosa posso fare per una collega?» chiese Simkins.

Petra sforzò un altro sorriso. «Dunque lei era in servizio proprio quella notte, agente Simkins.»

«Doug. Sì, c’ero io. Era tranquillo, tranquillissimo, eppure non so, avevo una sensazione, come se fosse troppo tranquillo. Come se dovesse succedere qualcosa.»

«Ed è successo qualcosa?»

Simkins scosse la testa. «Ma, sai, era una notte che mi sembrava strana. Poi la mattina dopo vengo a sapere la notizia e mi dico, caspita. Come uno di quei presentimenti.»

Signore, liberami dagli stupidi. «Mi sembra che questo posto sia tranquillo in generale.»

«In apparenza», obiettò lui, improvvisamente sulla difensiva. «Le cose succedono. Come gli incendi. Quando c’è un incendio, diamo un allarme di primo grado.»

«Vale a dire?»

«Facciamo sapere a chi ci abita che potrebbero dover evacuare.»

«Situazione delicata», commentò Petra.

«È per questo che ci siamo qui noi.» Toccando il proprio distintivo. Un’imitazione in acciaio inossidabile di quello del dipartimento. Estremi per una querela?

«Dunque, Doug, in che periodo sei stato in servizio quella sera?»

«Normalmente faccio dalle sette alle tre, ma quello che doveva prendere il mio posto la mattina ha telefonato che non stava bene, così ho raddoppiato il turno.»

«Fino a che ora?»

«Fino alle undici, quando comincia quello diurno.»

«Cioè quando entra in servizio l’agente… Dilbeck.» E tanti complimenti al suo archivio mnemonico.

«Già, Oliver», confermò Simkins corrugando la fronte. Probabilmente contrariato che Dilbeck fosse già stato intervistato.

«E durante quel periodo ha visto entrare o uscire qualcuno da casa Ramsey?» domandò Petra.

«Lui. Il signor Ramsey. Lui e il suo amico, quello biondo che lo accompagna sempre. Sono rientrati quella sera.»

«A che ora?»

«Verso le nove.»

Verso. Non tenevano un registro di entrate e uscite?

«Non ha niente di scritto?»

«No, evitiamo le scartoffie qui.» Di nuovo sulla difensiva.

«Chi guidava, Doug?»

«L’amico.»

«Mi sai dire se quella sera sono usciti di nuovo, il signor Ramsey o il suo amico?»

«Non sono usciti», dichiarò Simkins con tronfia sicurezza. Poi l’aggiunta di precisazione: «Dopo quell’ora non è più uscito nessuno da tutto il quartiere, anche se altri sono tornati a casa. Come ho detto, è stata una notte tranquilla».

«Che cosa mi dici della cameriera del signor Ramsey.»

«No. Mai uscita. È davvero tranquillo qui. Troppo tranquillo. A me piace un po’ di azione.»

Petra soffocò una risata. «So che cosa vuoi dire, Doug. Nient’altro sui Ramsey?»

«Be’», rispose Simkins riflettendo, «io lavoro qui da tre settimane soltanto, lo vedo andare e venire e niente di più. Lo stesso per quel che riguarda il suo amico. Pensate che sia stato lui?»

«Non pensiamo molto di niente, per il momento, Doug.» Tre settimane. Non aveva mai conosciuto Lisa. Anche se avesse avuto un cervello, lì sarebbe stato del tutto inutile. «Al momento il signor Ramsey è in casa?»

«Io non l’ho visto né entrare né uscire.»

«E ci sono altri ingressi a RanchHaven?»

«No.»

«Allora a che cosa serve quel secondo monitor?»

Gli occhi di Simkins andarono alla console. «Oh, quello. È solo una pista antincendio che corre lungo il confine posteriore della tenuta. Ma non la usa nessuno. Anche quando siamo stati in allarme, il piano era di evacuare tutti attraverso l’uscita principale.»

«È buio, quel monitor.»

«Perché la pista è al buio.»

Petra si avvicinò per guardare meglio lo schermo. «Lì non ci sono custodi?»

«No, c’è solo una di quelle serrature che funzionano con le tessere magnetiche. Tutti i residenti ne hanno una. Ma non la usa nessuno, non c’è motivo.»

«Mi piacerebbe andare a vedere con i miei occhi, Doug.»

«Non saprei…»

«Se vuoi puoi accompagnarmi.» Gli si avvicinò. Quasi si sfiorarono. Il guardiano era madido di sudore.

«Be’…»

«Giusto un’occhiatina, Doug. Ti prometto di non rubare la terra.» Gli strizzò l’occhio. Simkins fremette.

«Sì, d’accordo, solo non disturbare i residenti, per piacere. Perché il culo ce lo rimetto io. A loro piace starsene in pace. È per questo che mi pagano.»

«Come ci arrivo?»

«Segui la strada principale, fino in cima.» Glielo indicò gesticolando, fece in maniera di avvicinarsi di più, le loro spalle si toccarono. «In direzione della villa di Ramsey, in effetti. Ma invece di svoltare a destra, continui a sinistra e dopo un po’ vedi questo grande spiazzo vuoto che dovrebbe essere un campo da golf di nove buche ma non è mai stato completato, probabilmente perché tutti i residenti sono iscritti a qualche club. Tu vai avanti a sinistra, fino in fondo, poi vedrai che la strada gira improvvisamente dall’altra parte. Prosegui finché non puoi andare più avanti.»

Lei lo ringraziò, gli batté amichevolmente la spalla. Lui fremette di nuovo.


Guidò adagio, fermandosi quando fu in vista della villa di Ramsey. Tutte le luci esterne erano accese. All’interno l’illuminazione era più debole. Nessuna automobile parcheggiata davanti all’ingresso. Maledetto quel museo, era impossibile sapere se era in casa.

Osservò la costruzione. Pesante. Come tutte quelle del vicinato. Più aumentavano i soldi, più funebre si faceva l’architettura.

Le indicazioni di Simkins la condussero su un tratto di strada circolare che costeggiava il campo da golf mai finito, ora una tavola grigia punteggiata di giovani ginepri e protetta da una cancellata in ferro battuto. Poi la strada si stringeva infilandosi tra cespugli densi e alti come muri. Al di sopra spuntavano rami contorti di querce, schiacciate dalla cupola nera del cielo. La foschia lasciava trapelare solo poche stelle. La luna era gigantesca, grigiastra, striata di nebbia.

Odore di sterco di cavallo e terra disseccata.

I suoi fari aprivano un tunnel ambra nell’oscurità. Accese gli abbaglianti e proseguì a dieci miglia orarie. A un tratto si trovò davanti l’uscita di sicurezza. Un cancello a battente unico, alto quattro metri, a funzionamento elettrico, stesso motivo decorativo dell’ingresso principale. Solidi montanti in mattoni, cartelli di avviso. Su una colonnina di metallo era montato il lettore delle tessere magnetiche.

Si fermò a dieci metri, estrasse la torcia dallo stipo del cruscotto, lasciò il motore acceso e scese.

Lì l’odore di cavallo era più forte. Silenzio, nemmeno un cinguettio. Ma udiva il rombo baritonale dell’autostrada, insistente, remoto.

Fece scorrere il fascio di luce della torcia sulla strada. Molto trascurata, ricoperta di terriccio. Simkins aveva affermato che nessuno usava l’uscita di sicurezza, ma si vedevano, appena incisi, i disegni dei copertoni di un veicolo. Qualche impronta di zoccoli di cavallo, orme più piccole che potevano essere di un cane o un coyote, Petra non era una scout indiana.

Avrebbe potuto aiutarla papà a interpretare quelle impronte.

Mantenendosi ai bordi della strada, arrivò fino al cancello, poi tornò indietro. Ripeté il tragitto. Il terreno era così compatto che non si sfarinava sotto i suoi piedi. Un po’ di ruggine intorno alla fessura dove introdurre la tessera. Un altro lettore dall’altra parte del cancello.

Facile entrare e uscire.

E la villa di Ramsey era in cima alla tenuta, consentendogli, se avesse voluto, di sgattaiolare fuori senza dover passare davanti a molti vicini.

Rifletté su come avrebbe potuto fare.

Aspetta che Balch si sia addormentato, o gli mette qualcosa nel bicchiere per dargli una mano. Poi prende la Mercedes. Oppure la Jeep, se l’ha riportata a casa da Montecito. Si allontana lentamente a fari spenti. Con le case così distanti dalla strada, tutte quelle recinzioni, quei cancelli, le siepi alte, non c’è motivo perché qualcuno ci faccia caso. La gente che vive in mezzo a piscine, Jacuzzi, home theatre e green personali dove esercitarsi a golf, non se ne sta seduta alla finestra.

La gente a cui stava a cuore quel livello di privacy spesso fingeva che oltre le sue quattro mura il resto del mondo non esistesse.

Osservò più da vicino le impronte dei pneumatici. Troppo sfatte, impossibile decifrare il battistrada; dubitava che potessero essere utili. Tuttavia non le sarebbe dispiaciuto prenderne un calco. Impossibile ottenerlo senza un mandato e non c’erano gli estremi per un mandato. E adesso entrava in scena Larry Schick, addio ai colloqui privati con Ramsey.

Anche se avessero trovato corrispondenza tra le tracce e i copertoni di una delle automobili di Ramsey, erano trascorsi quattro giorni dall’omicidio, Ramsey avrebbe potuto ammettere di essere stato lassù, sostenere di essere andato a fare un giro in collina, a meditare sulla sua tragedia familiare, a sfogare il suo cordoglio.

Le colline… gran bel posto dove far scomparire un cadavere.

Chissà se Estrella Flores era sepolta da quelle parti.

Chissà se la pista antincendio portava solo ai Santa Susanna?

Scese a marcia indietro fin dove la pista si allargava un po’, fece manovra e tornò alla guardiola. Simkins la vide arrivare, posò il suo Rolling Stone e aprì il cancello. Aveva chiuso la finestra, non aveva voglia di parlare. Petra si fermò quando fu alla sua altezza. Lui imbronciò la bocca e venne avanti. Il suo momento di gloria era finito, si sentiva giù di nuovo, avrebbe preferito che se ne andasse alla svelta.

«Trovato niente?»

«No. Era come avevi detto tu, Doug. Dimmi, dove va a finire quella pista antincendio?»

«In montagna.»

«E poi?»

«In un intrico di stradine.»

«Sfocia nella 101?»

«In effetti ci si arriva, ma non si può dire che ci sfoci.» Riuscì a far suonare sporca quell’ultima parola.

«Ma se volessi arrivare all’autostrada passando per quelle stradine, ci riuscirei.»

«Questo sì. Tutto finisce all’autostrada. Io sono cresciuto a West Hills. Si veniva da queste parti a caccia di lepri prima che costruissero questa tenuta. Certe volte scappavano dalla parte dell’autostrada e finivano spiaccicate sull’asfalto.»

«I bei vecchi tempi», sospirò Petra.

Il volto insignificante di Simkins si animò di memorie e un cipiglio risentito gli imprigionò i lineamenti. I ricchi che avevano invaso i ricordi della sua infanzia?

«Ci sono posti bellissimi laggiù.» Emozione sincera. Nostalgia. In quel momento gli fu un po’ più simpatico. Ma non molto.

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