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Ieri il dottor Delaware mi ha detto di mamma. La pancia mi ha preso fuoco e volevo strapparmi la flebo e prenderlo a pugni.

Lui se ne stava seduto lì con l’aria triste. Che diritto aveva di essere triste, lui?

Mi sono girato dall’altra parte e non l’ho più guardato. Mai mi sarei lasciato vedere a piangere da lui, ma appena se n’è andato, non ho potuto trattenermi e ho continuato a piangere per tutto il giorno e la notte. Eccetto quando entrava qualcuno nella mia stanza, allora facevo finta di dormire.

Ogni tanto, quando pensavano che dormissi, discutevano di me, le infermiere, i medici.

Povero ragazzo.

Che spaventosa avventura.

Piccolo ma tosto.

lo non sono affatto tosto. Sono qui perché che altra scelta ho?

Pensare a mamma mi ha fatto venir voglia di essere morto anch’io, ma poi mi sono detto, a che cosa serve? Probabilmente un Dio non c’è, quindi non riuscirei a vederla comunque.

La notte scorsa mi sono affondato le unghie nelle mani e le ho fatte sanguinare. Un po’ di dolore extra mi ha fatto star bene.

Ora è il giorno dopo e ancora non ci credo, continuo a pensare che passerà da quella porta da un momento all’altro. Le chiederò scusa per essere scappato, si scuserà anche lei e ci abbracceremo. Poi mi torna in mente. Non c’è più. È finita. Mai più. Mai! Dio che male!

Piango un sacco, mi addormento, mi sveglio, piango di nuovo.

È da un’ora che non piango più. Forse mi sono prosciugato, non ho più lacrime.

Ehi, dottore, mettimi un po’ di lacrime nella flebo.

Sputo per terra. Se solo potessi svuotarmi la mente come gli inservienti svuotano il mio cestino, via con tutta l’altra spazzatura.

Quando sono solo penso a lei. Anche se fa male. Voglio sentir male.

lo sono abituato a essere solo. Non mi basta mai. Con tutti i medici e le infermiere che vanno e vengono certe volte non sopporto più tutte quelle chiacchiere, tutte quelle belle parole di compassione. Mi viene voglia di prenderli tutti a pugni.

Sam no. Viene tutte le mattine, mi porta caramelle e riviste, mi accarezza la mano e mi dice che io e lui siamo della stessa razza, due duri, due sopravvissuti. Mi dice che non permetterà a nessuno di «incasinarmi» la vita, di stare tranquillo, ha le sue conoscenze. Ripete sempre le stesse cose e certe volte la sua voce mi fa addormentare. Io lotto per rimanere sveglio, non voglio che ci resti male. Lui è stato mio amico quando non avevo nessun altro. Una volta è venuto con la signora Kleinman, ma lei mi ha infastidito, mi toccava la faccia, ha portato del cibo che non volevo mangiare e lei voleva mettermelo in bocca. Sono stato cortese con lei, ma forse Sam ha capito perché non l’ho più rivista.

Petra mi porta dei libri. È molto graziosa, non è sposata, non è una mamma, e penso che forse le piaccio perché le servo per fare pratica da mamma. O perché è una vacanza dal suo mestiere di detective.

L’ha ucciso lei. È una persona seria, non racconta storielle, non cerca di tenermi allegro quando non ne ho voglia. È seria anche quando sorride.

Anche se sono stanco da non reggermi, con lei non posso fare a meno di essere gentile. Ha più o meno l’età di mamma… Ma perché mamma ha dovuto prendere con sé quell’idiota di Moron, mettergli in mano la sua vita, lasciare che spaccasse la nostra famiglia?

Perché mamma non ha saputo imparare a stare sola?

Secondo il dottor Delaware probabilmente è stato un incidente, lui l’ha spinta e lei è caduta, ma non per questo è più viva.

Io penso sempre: se fossi stato lì io, avrei potuto salvarla.

Il dottor Delaware mi ha parlato del senso di colpa, dice che è una reazione normale, poi passa. Lui dice che è compito dei genitori curarsi dei figli, non il contrario. Dice che mamma mi voleva bene sul serio, le sue intenzioni erano buone, ma che ha avuto sfortuna. Dice anche che quello che le è successo è terribile, che non si sogna nemmeno di cercare di venirmi a raccontare che va bene lo stesso, perché non è così.

Però lui è sicuro che mamma sarebbe stata orgogliosa di come me la sono cavato da solo.

Forse.

Lui mi considera «notevole».

Dapprincipio pensavo che fosse un pallone gonfiato, con il suo modo di starsene lì seduto ad aprire la bocca una volta sì e cento volte no. Dapprincipio ho pensato che non gli importasse. Adesso credo che probabilmente ci tiene. Arriva tutti i giorni alle sei del pomeriggio, resta con me per due ore, qualche volta di più, non gli importa se non facciamo niente.

Un giorno ha visto la scacchiera che mi ha lasciato Sam e mi ha chiesto se avevo voglia di giocare. È bravo più o meno come Sam e l’ho battuto due volte su tre. Lui ha detto: «Okay, alla prossima», e io ho detto: «Si prepari a perdere». Lui ha riso e io gli ho chiesto chi lo paga per giocare e lui ha detto che lo paga la polizia, di non preoccuparmi, che non si dimentica mai di passare in cassa.

Certe volte mi racconta qualche barzelletta. Qualcuna fa ridere. Alle infermiere è simpatico. Ho sentito un’infermiera che chiedeva a un’altra se era sposato e l’altra le ha risposto che non era sicura, ma le sembrava di no.

Lui e Petra farebbero una bella coppia.

Me li vedo in una bella casetta, con una bella macchina, dei bambini, un cane. O anche un bambino solo, così dedicherebbero a lui tutte le loro attenzioni. Una bella famigliola felice che se ne va in gita, va a mangiare al ristorante.

Forse succede. Chissà. Non smetto mai di pensare a mamma. La porta si apre e per un momento penso che sia lei.

È Petra ed è vestita di rosso.

Strano, perché è sempre in nero. Ha un sacchetto e me lo dà.

Dentro c’è un libro.

Il libro dei presidenti. Non quello della biblioteca. Un libro nuovo nuovo, con la copertina pulita, le pagine dure. Ha quell’odore speciale da libro nuovo. I colori delle illustrazioni sono belli vivi. Fortissimo.

«Grazie», le dico. «Grazie mille.»

Lei alza le spalle. «Goditelo. Chissà, Billy, un giorno potresti finire anche tu su quelle pagine.»

«Già.» È un’idea balzana, interessante.


FINE
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